Netanyahu procede con la colonizzazione dell’altura del Golan: uno dei nuovi insediamenti porterà il nome di Donald Trump. Dall’esilio riappare Bashar Al Assad: «La mia partenza non era pianificata. Mosca ha voluto un’immediata evacuazione»
Sindrome siriana Il presidente deposto ha negato di essere fuggito dalla Siria e afferma che la Russia gli ha imposto la partenza per Mosca
Forze militari israeliane pattugliano le linee con la Siria sul Golan – Atef Safadi Epa
A poco serviranno gli ammonimenti soft della Germania a Israele a cui Berlino ha chiesto ieri di rinunciare ai suoi piani appena annunciati per raddoppiare il numero dei coloni nelle Alture del Golan siriano occupato. Il governo Netanyahu procederà incontrastato con il suo programma di colonizzazione, sfruttando ancora le opportunità che l’attuale quadro mediorientale gli sta offrendo. Non mancando allo stesso tempo di indirizzare i suoi cacciabombardieri contro altri paesi della regione per «ragioni di sicurezza». Nella notte tra domenica e lunedì, l’aviazione israeliana ha lanciato almeno 20 attacchi (70 in 48 ore) devastanti in Siria, «da far tremare la terra» hanno riferito testimoni, colpendo la zona di Tartus sulla costa siriana, oltre alle regioni di Hama e Homs. Gli obiettivi, ha detto Tel Aviv, sono stati depositi di armi, missili, munizioni, ma in Siria parlando di danni gravi anche a infrastrutture civili. Nell’ultima settimana Israele ha effettuato centinaia di attacchi azzerando le forze armate siriane.
Dopo aver occupato con le sue truppe, approfittando della caduta di Bashar Assad, la «zona cuscinetto» sulle linee di armistizio del 1973-74 con la Siria, Netanyahu e i suoi ministri hanno dato seguito al piano messo a punto dall’ex premier Naftali Bennett (ultranazionalista religioso) per portare a 50mila entro il 2025-26 (raddoppiando il numero attuale), i coloni nei 1200 kmq di territorio siriano che Israele ha occupato nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni e che si è annesso unilateralmente nel 1981. Annessione riconosciuta da Donald Trump nel 2019, un passo che l’Amministrazione Biden non ha mai messo in discussione. Poco dopo aver preso il suo incarico nel 2021, il segretario di Stato Antony Blinken dichiarò alla Cnn che il controllo del Golan rimane di «grande importanza per la sicurezza di Israele».
Netanyahu investirà subito circa 10 milioni di euro, il piano di Bennett invece ne prevede 300 nel corso di vari anni finalizzati alla costruzione di 7.300 abitazioni a Katzrin, la più importante delle colonie nel Golan, e di infrastrutture. Alle 36 colonie esistenti si aggiungeranno quelle di Asif e Matar e un insediamento che porterà il nome di Donald Trump. I 25mila drusi nel Golan che, per la maggior parte, si considerano sempre siriani e rifiutano l’occupazione israeliana, diventeranno una minoranza. Già oggi un simile numero di coloni vive sulle Alture che la Siria fino a due settimane fa ha sempre rivendicato, mentre non è chiaro l’orientamento dei nuovi padroni di Damasco.
Il jihadista «peace and love» Abu Mohammad Al Julani (Ahmed Shaara), leader di fatto del paese, ha chiesto a Israele di
fermare i bombardamenti aerei, aggiungendo subito dopo che la Siria non cerca la guerra con Tel Aviv. Nel frattempo, la zona demilitarizzata istituita nel 1974 è tutta nelle mani di Israele che nei giorni scorsi ha preso il resto delle Alture, in particolare lo strategico Jabal Sheikh (Monte Hermon) il punto più alto della zona e un luogo ideale per la sorveglianza sia della Siria che del Libano. E non è detto che Israele si fermi qui. Se si tiene conto che Netanyahu ha commentato nei giorni scorsi la caduta di Assad affermando «Qui è accaduto qualcosa di tettonico, un terremoto che non si è verificato nei 100 anni successivi all’accordo Sykes-Picot» e che i suoi alleati di estrema destra collocano l’espansionismo israeliano in un contesto religioso, non si può escludere che queste recenti occupazioni territoriali diventino permanenti come quella del Golan.
Non ha fatto riferimenti alle Alture e ai progetti israeliani in Siria, neanche Bashar Assad che ieri ha rilasciato le prime dichiarazioni dalla sua partenza/fuga dal paese. Le sue parole potrebbero aver generato irritazione al Cremlino. L’ormai ex presidente siriano ha affermato che la sua evacuazione da Damasco in Russia non è stata «premeditata», ma imposta da Mosca. «La mia partenza dalla Siria non era pianificata e non è avvenuta durante le ultime ore della battaglia, contrariamente ad alcune accuse», ha affermato Assad sul canale Telegram della presidenza precisando di non aver mai preso in considerazione l’idea di dimettersi o di fuggire. «Mosca – ha sostenuto – ha voluto un’immediata evacuazione la sera di domenica 8 dicembre», aggiungendo che la Siria è ormai «nelle mani dei terroristi».
Intanto la Russia continua ad evacuare le sue forze dalla Siria. Negli ultimi giorni, in coordinamento con Hay’at Tahrir al Sham (Hts), il gruppo jihadista guidato da Al Julani, sono partiti almeno 400 soldati russi di stanza a Qudsayya, un sobborgo della capitale. Il rimpatrio dei militari, assieme ad armi e attrezzature, avviene con aerei da trasporto dall’aeroporto di Khmeimim e dalla base navale a Tartus, le due postazioni militari che Mosca vorrebbe mantenere nella Siria senza più l’alleato Assad, un esito ritenuto improbabile sul lungo periodo.
Non hanno possibilità di fuga invece i militari e civili considerati dai jihadisti sostenitori del passato regime. Pochi ne parlano e scrivono, però almeno una ventina di siriani considerati filo-Assad sono stati uccisi da bande armate nelle regioni di Damasco, Homs, Hama, Idlib, Latakia e Tartus. In maggioranza alawiti, ma anche cristiani