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di Giuseppe Casadio

La lettura del "Manifesto art. l - Movimento Democratici e Progressisti" e le dichiarazioni dei presentatori (Speranza, Rossi, Errani ... ) rappresentano; oltre che un atto politico in sé innovativo, una attenzione ai temi del lavoro (art. 1), da tempo inusitata nella politica italiana.
Per questo motivo, da ex-responsabile delle politiche del lavoro della CGIL, ho avvertito lo stimolo a trarre un bilancio dell'ultimo ventennio, sulla base delle mie personali esperienze, e sperando di non annoiare troppo. In ogni caso, come sempre, la lettura non è un obbligo, se non la si ritiene interessante.
Da anni ci sentiamo ammannire una paradossale manfrina secondo cui il mercato del lavoro italiano sarebbe da decenni sclerotizzato, ingessato da regole pressoché preistoriche, difese contro tutti e a tutti i costi da un sindacato incapace di comprendere gli epocali cambiamenti in corso.
La realtà è pressoché opposta; da un ventennio a questa parte si è prodotto un profluvio di norme, aggiustamenti, piccoli o grandi strappi, accordi stipulati fra questo o quello dei vari governi succedutisi e soggetti .sociali presuntivamente rappresentativi, spacciati ogni volta come la grande riforma da tempo attesa. Risultato: un groviglio irrazionale e caotico che costituisce oggi terreno fertile per quasi ogni abuso in danno dei lavoratori, giovani ma non solo.
A chi voglia ragionare con buona coscienza, può risultare utile una sintetica rassegna delle tappe fondamentali di tale devastazione, senza reticenze e senza tecnicismi, pur valendosi - chi scrive - della esperienza di coordinatore (per quasi un decennio) delle politiche del lavoro per conto della Segreteria Confederale della CGIL. 

Una breve stagione di autentico riformismo: il primo governo Prodi.
Sconfitto il primo governo Berlusconi, insediatosi nel 1996 il primo governo Prodi, si sviluppò una fase molto costruttiva, perfino entusiasmante, di confronto fra le forze sociali e con il governo. I temi del lavoro furono fra gli argomenti centrali.
Ne scaturì un primo importante accordo, condiviso da tutte le parti in causa, che introdusse elementi reali di flessibilità. Fu superato il tradizionale divieto assoluto di "intermediazione di manodopera", che finiva sempre più per alimentare forme di lavoro irregolare o il ricorso smodato al lavoro straordinario. In particolare fu introdotto nel nostro ordinamento il "lavoro interinale", ma la norma stessa che introduceva l'istituto nel nostro ordinamento, prevedeva anche alcune specifiche condizioni per la sua concreta attivazione: che l'istituto fosse funzionale essenzialmente al reperimento, da parte delle imprese, di profili professionali di livello medio alto che dovesse essere la contrattazione collettiva nell'impresa a verificare la sussistenza delle condizioni per ricorrervi; che il costo del lavoro interinale, per l'impresa, fosse più alto del costo del lavoro ordinario a parità di inquadramento professionale (+4% destinato alla formazione e all'aggiornamento di quei lavoratori).
Contestualmente fu varato il decreto legislativo che responsabilizzava, per la prima volta, Regioni ed Enti Locali nella organizzazione

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Comunicato

A proposito di buche e di buchi

 

Alla mia interpellanza sullo stato delle strade e sulle conseguenti problematiche – illustrata e discussa in Consiglio comunale nel corso della seduta di lunedì 13 scorso – l’Amministrazione ha risposto con argomentazioni che possono essere riassunte nel motto “Più buche sulle strade e sui marciapiedi, meno buchi nel bilancio del Comune”.

Mettere a posto i conti è senz’altro importante, ma come la pensano i faentini? Dal 2010 al 31 dicembre 2016 sono stati asfaltati 35 km di strade dei 500 che costituiscono il sistema viario di competenza comunale, vale a dire il 7 per cento (l’1 per cento all’anno). L’Amministrazione, per bocca dell’assessore Zivieri, dice però che “ci sono strade larghe” e quindi fa il conto dei metri quadrati.

Parallelamente in Commissione Bilancio si stanno snocciolando i dati dei diversi capitoli e del Dup (Documento unico di programmazione) in vista del dibattito in Consiglio previsto per il 27 marzo. Ebbene, risulta che a fronte dei 500mila euro di spesa previsti per riasfaltare le strade, è prevista un’uscita di 240mila euro per l’acquisto di un autovelox e di alcuni “varchi” (telecamere di sorveglianza).

Da faentino mi chiedo: “Ma non si potrebbero destinare anche questi 240mila euro alla sistemazione di strade e marciapiedi?”. Giusto fare prevenzione, ma anziché ricorrere a costosissimi dispositivi percepiti come balzelli, è forse più opportuno ed efficace una maggiore presenza sulle strade della Polizia municipale.

 

Edward Jan Necki

Consigliere comunale de L’Altra Faenza

 

Faenza, 15 marzo 2017

 

 

 

 

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Visti i temi di attualità trattati anche da questo sito quali la legge urbanistica regionale e le problematiche delle città e delle persone che in città vivono come ospiti sgraditi (migranti e poveri), mi permetto di consigliare la lettura dell’ultimo libro dello scrittore e giornalista Suketu Mehta “ La vita segreta delle città”.

 

E’ un libro con storie dove i flussi migratori si mescolano con grattacieli e sviluppo.

Mehta racconta la “storia umana” delle metropoli chiamando in causa architetti, urbanisti e amministratori pubblici.

Se questi ultimi potranno trovare il racconto spesso banale, sono soprattutto coloro che le città le vivono che troveranno interessante questo saggio di scorrevole lettura.

La quarta di copertina recita:

Quale è la storia di una città? Quale è ad esempio la storia di Mumai, di New York, di Sào Paulo? In realtà non c’è una sola storia, ce ne sono tante.

Molto dipende da chi le racconta, e da chi le ascolta. Di ogni luogo esistono almeno due narrazioni: quella ufficiale, spesso dai toni euforici e giubilanti, e quella non ufficiale, più sobria e vera. Mehta ricerca le vite che nessuno racconta, quelle di chi le città le vive davvero, con passione, dolore e spesso molte difficoltà. Le città segrete dei poveri, dei migranti, delle famiglie, della gente in movimento. Perché l’essenziale è non dimenticare mai che le città sono fatte delle persone che le abitano e che le metropoli, che emarginano ed escludono, sono sempre di più luoghi vuoti, parvenze, simulacri di se stesse.”

  • Suketu Mehta, La vita segreta delle città. Einaudi, pp. 96, 16,00 –

 

Daniele Carroli

 

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Sabato 25 febbraio 2017 si è tenuta a Ravenna presso il circolo "Strocchi" una interessante assemblea di militanti del Pd. Per chi volesse avere una conoscenza di prima mano di che cosa si è detto vi segnaliamo qui i link ai filmati degli interventi presenti sul sito di Radio radicale.
Questo il link all'intera registrazione: http://www.radioradicale.it/scheda/501210/assemblea-del-circolo-del-partito-democratico-di-ravenna  (ha una durata di 2 ore e 5 minuti) e può anche essere ascoltata in solo audio.
I vari interventi sono visibili o ascoltabili anche singolarmente.
Sono intervenuti: Domenico Antonio Esposito (segretario dei Giovani Democratici di Ravenna), Luca Ortolani, Luigi Tripoli, Marco Turchetti (segretario del Circolo Pd di Ravenna), Ivan Fuschini, Ilaria Visani, Lorenzo Gottarelli, Gilberto
Coffari, Alberto Minardi, e l'ex Presidente della Regione Emila-Romagna Vasco Errani.
Di particolare interesse, a nostro giudizio, le parole di alcuni giovani esponenti faentini del Pd (la relazione di Luca Ortolani e l'intervento di Ilaria Visani, consiglieri comunali a Faenza), e, naturalmente, il lungo e sofferto discorso di Vasco Errani.
Crediamo si tratti di un dibattito che continuerà a lungo; il sito è disponibile ad ospitare riflessioni e osservazioni in proposito.

La redazione

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Chi visita Berlin e´indotto piu´facilmente a stare a testa all´insu´che a guardare a terra, a meno che non si tratti di strisce pedonali, di opere dei „madonnari“, di tracce segnalate del „muro“ o di artisti di strada dalla fantasia molto sviluppata. Percio´, benche´ siano poco meno di 7.000, non e´raro che passino inosservate le „stolpersteine“, letteralmente „pietre d´inciampo“, sparse per tutta la citta´.

Simili ai sanpietrini, sono pietre con una placca di ottone delle dimensioni di 10x10 cm., che vengono collocate a terra sul marciapiedi o sulla strada, in ricordo di persone perseguitate dal Nazionalsocialismo.

Il progetto fu

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Appello al presidente Obama negli ultimi giorni del suo mandato: conceda la grazia a Leonard Peltier prima di lasciare la Casa Bianca.

Primi firmatari: Alex Zanotelli e Gad Lerner

Leonard Peltier è un attivista per i diritti dei nativi americani. La sua storia è poco conosciuta in Italia, ma rappresenta un’ingiustizia che ancora oggi non è mai stata sanata. Peltier si trova in carcere dal 1976, in seguito a due condanne per omicidio che sono state sentenziate con prove poi risultate non vere. Peltier è accusato di aver favorito l’omicidio di due agenti della FBI uccisi nel 1975. Negli anni 70 Peltier diventò un esponente dell’AIM, il movimento che si batte per i diritti dei nativi americani. In quel periodo si è svolta una dura lotta tra una tribù dei Lakota, che vivevano in una riserva del South Dakota, e lo Stato federale, che voleva controllare i ricchi giacimenti di quei petroli. Uno scontro costato molte vite umane. Durante un’operazione a sorpresa del FBI Peltier fu coinvolto in un prolungato scontro a fuoco, che uccise un indiano americano e due giovani agenti. Tre persone furono accusate d’omicidio, ma solo Peltier fu condannato, dopo che l’estradizione dell’attivista dal Canada dove si era rifugiato. Leonard Peltier ha sempre professato la sua innocenza, e negli anni successivi alla sua condanna sono emerse prove che corroborano questa tesi. Andrea De Lotto, un insegnante italiano che vive a Barcellona e si batte per la liberazione di Leonard Peltier, descrive sinteticamente le contraddizione della sentenza contro l’attivista dei nativi americani. ” Dopo cinque anni, accurati esami balistici riuscono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e alcuni dei testimoni che lo avevano accusato ritirano le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’FBI. A Leonard è stata negata la possibilità di avere una revisione del processo, nonostante le prove che dimostrano la sua innocenza”.  Il regime di carcerazione è stato particolarmente pesante nei suoi confronti. ” Per almeno due volte si è cercato di ucciderlo in carcere, mentre le sue condizioni di salute sono difficili. Operato ad una mascella solo grazie alle pressioni popolari, quasi cieco da un occhio, malato di diabete e di prostata, ma Leonard Peltier resiste e non rinnega nulla della sua lotta”. Una battaglia per i diritti del suo popolo che è costata la libertà all’attivista, come rimarca Andrea De Lotto. ” Leonard Peltier è in carcere perché lottava per i diritti del suo popolo e la sua storia è un esempio delle tante ingiustizie che avvengono in ogni parte del mondo e che vengono taciute perché “scomode”. Peltier in Italia è praticamente sconosciuto, la sua storia non riempie le pagine dei giornali. Eppure è una storia che merita attenzione, perché ci parla dell’apartheid oggi, che non si esprime più nelle forme feroci che si sono vissute in Sudafrica, ma che continua ad esistere anche nei paesi cosiddetti civili. L’apartheid non è soltanto brutale e gratuita violenza verso chi ha la pelle di diverso colore”.

A questi link si possono firmare le petizioni per la sua liberazione. Bill Clinton fu sul punto di graziarlo, ma l’FBI si rivoltò contro quella decisione. Ora si spera che il presidente Obama, negli ultimi giorni del suo incarico, possa liberare Leonard Peltier dal carcere.

 

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