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Al Ministro dell’Interno Marco Minniti
Al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

La scelta che avete fatto di vietare la possibilità di manifestare sabato prossimo a Macerata è sbagliata e pericolosa.

Quello che è successo a Macerata ha un nome preciso. Si tratta di un atto di terrorismo. Una tentata strage, le cui ragioni hanno una matrice precisa: fascismo e razzismo. Non il gesto di un folle, di un pazzo, di un criminale isolato. Qualcosa di molto più grave. Quando dalle parole di passa alle pistole succede qualcosa che non possiamo ignorare. E di fronte a cui occorre reagire.

In tutta Europa, per fortuna, la risposta al terrorismo dell’Isis ha mobilitato un dispositivo largo, composito, determinato. Oggi, qui, occorre una risposta che abbia le stesse caratteristiche. E dobbiamo dirvi che troviamo gravi le parole di chi, come il Sindaco di Macerata, chiede di evitare le manifestazioni in nome di un silenzio rispettoso della città, e delle sue ferite. Non tutte le manifestazioni sono uguali. In questi giorni prima Casa Pound e poi Forza Nuova che annuncia di voler farsi carico delle spese legali di Traini (immaginate cosa sarebbe successo ad una organizzazione che in un qualsiasi posto d’Europa colpito dall’Isis avesse annunciato una simile volontà) manifestano a Macerata.
Fascismo e Antifascismo non sono in nessun modo paragonabili. Né possiamo accettare che in nome di una malintesa responsabilità torni la teoria degli opposti estremismi. Il rischio, altrimenti, è quello di spianare la strada al ritorno delle peggiori culture che abbiamo conosciuto. Per tutte queste ragioni manifestare non è mai un errore. Perché manifestare l’antifascismo, celebrare la nostra religione civile, la nostra Costituzione è sempre giusto. E necessario.

*

Giuseppe Civati

Nicola Fratoianni

Roberto Speranza

 

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 Un importante gruppo di giuristi:
Felice Besostri, Anna Falcone, Vincenzo Vita, Lara Trucco, Gianni Ferrara, Emma Imparato, Paolo Maddalena, Giovanni Palombarini, Antonio Esposito, Antonio Caputo, Aldo Giannuli, Pietro Adami, Giovanni Scirocco, Aldo Ferrara
propongono e si impegnano su un preciso patto in vista delle elezioni

 

La vittoria referendaria del 4 dicembre 2016 e il rifiuto da parte del corpo elettorale, per la seconda volta, di una riforma verticistica, che avrebbe stravolto natura democratica e modello parlamentare della nostra Carta fondamentale, ridotto gli spazi di democrazia e compromesso il primato della sovranità popolare, impongono un impegno stringente a quanti vogliano rispettare le indicazioni del corpo elettorale e farsi garanti delle ulteriori richieste che da quella vittoria sono scaturite: l’attuazione e la messa in sicurezza della Costituzione.

Per questo i sottoscritti si impegnano a contrastare ogni ulteriore proposta di riforma che miri a modificare, palesemente o surrettiziamente, la forma democratica e parlamentare del nostro modello repubblicano, ovvero a costituzionalizzare principi neoliberisti o a limitare la sovranità popolare, i diritti fondamentali delle persone, i diritti politici e la partecipazione politica degli elettori.

Altresì, si impegnano a garantire, nell’ambito del programma elettorale e dell’azione politica della propria Lista o della Lista che sosterranno, la piena e completa attuazione dei principi fondamentali della Costituzione e del dettato costituzionale, con particolare riferimento:

1) All’art. 1 Cost., nell’inscindibile relazione che, nella nostra democrazia, lega l’esercizio della sovranità popolare alla garanzia del diritto al lavoro, e all’inclusione nei percorsi lavorativi delle persone con disabilità, impegnandosi a rendere effettivo tale diritto nella sua accezione più ampia e comprensiva dei diritti assistenziali e pensionistici, parimenti remunerato e tutelato per donne e uomini, per i lavoratori di tutte le categorie e di tutte le generazioni in attuazione del precetto dell’art. 36 Costituzione, per assicurare un’esistenza libera e dignitosa.

2) All’art 3, 2° comma Cost., riaffermando il ruolo della Repubblica, in tutte le sue articolazioni e poteri, nella rimozione delle diseguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali, territoriali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la piena partecipazione di tutti i cittadini e di intere generazioni, gruppi sociali, ampie fasce della popolazione alla vita sociale, politica e democratica del Paese.

A tal fine è imprescindibile garantire la piena effettività di tutti i diritti civili e sociali e il rilancio del modello universalistico dei servizi, a partire da un alto e uguale livello di tutela della salute, come fondamentale diritto garantito dall’art. 32 Cost., e dell’assistenza sociale su scala nazionale e senza discriminazioni territoriali, dal rilancio e rifinanziamento della ricerca e dell’istruzione pubblica, dal diritto di accesso a una giustizia rapida e certa, parimenti accessibile con pari chance e possibilità per tutti i cittadini a prescindere dal reddito.

3) Alla piena attuazione del Titolo III della Costituzione sui «Rapporti economici» tramite un opportuno e necessario intervento pubblico in economia per la garanzia dei diritti fondamentali e dei diritti sociali, alla cui previa effettività devono essere conformate le scelte di bilancio e l’equilibrio dei conti pubblici.

4) All’interpretazione e revisione dei Trattati europei alla luce dei principi inderogabili dettati dalla Costituzione e della previa e preminente effettività dei principi e dei diritti fondamentali, nonché dell’autonomia politica del Paese, anche nell’ambito di una rafforzata cooperazione nella UE, nelle scelte di governo e nel modello di sviluppo più coerenti con il carattere democratico, personalista, pluralista e solidarista della Costituzione.

5) Agli art. 10 e 11 Cost., tramite la firma e la ratifica dei trattati per la messa al bando delle armi nucleari, la revisione delle politiche sui flussi migratori alla luce della piena effettività dei principi costituzionali sul diritto d’asilo, la cancellazione degli accordi che non garantiscano il pieno rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, dei migranti economici e di quanti a qualsiasi titolo fuggano da regimi totalitari, territori di guerra o colpiti da crisi, carestie, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani.

6) Alla piena garanzia, anche giurisdizionale, dei diritti di elettorato attivo e passivo, nonché dei diritti di partecipazione politica, impegnandosi a promuovere una legge elettorale conforme al prioritario rispetto del principio di rappresentanza democratica, dell’autonomia e della centralità del Parlamento e dei parlamentari, tale da sancire il diritto degli elettori a partecipare attivamente alla selezione delle candidature e alla scelta degli eletti, nel rispetto della parità di genere e dell’equilibrio fra generazioni. Di queste tutele è premessa essenziale l’attuazione dell’art. 49 Cost. e la messa in sicurezza dell’art. 138 Cost. da modelli elettorali e composizioni parlamentari che falsino il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti.

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Sono una cittadina qualunque che cerca di seguire come può e come sa le vicende della politica in particolare, avendo una cultura politica di sinistra, seguo con attenzione il dibattito che si svolge a sinistra del PD.

Ho letto molto attentamente le lettere scritte da Montanari e Falcone e anche quella di Antonio Floridia cercando di farmi un'idea su i due modi di vedere una futura formazione politica di sinistra.

Premetto che non sempre mi è facile capire i concetti espressi da entrambi gli scriventi, questo per mio difetto in fatto di istruzione, però trovo che di fondo le visioni si possano definire così : Una, quella di Falcone e Montanari, più partecipativa, che cerca di pescare nella società cosiddetta civile in cerca di idee nuove, moderne, che secondo me, non vogliono dire che i partiti non servono, ma semplicemente che questi si formino in un percorso che si può comporre come un puzzle tassello su tassello, dove potranno emergere personalità nuove, con nuove visioni di società che dovranno andare a risolvere problemi vecchi ormai incancreniti, con metodi nuovi e moderni perché la politica, anche quella che si definisce di sinistra, li continua tutt'ora a gestire senza essersi mai rinnovata nelle idee, nei metodi, nella progettualità.

Esiste in ogni branca istituzionale di questo Paese una diffusa incapacità di rinnovamento, cambiare costa un grande sforzo mentale e psicologico di non poco conto, cambiare è un po come morire, vuol dire rimettersi continuamente in discussione correggere gli errori, ma prima ancora, accettare di averli fatti.

Il rinnovamento è un processo lungo, non ci si può aspettare che dia risultati a breve termine, però se vogliamo cambiare la cultura del “non si può fare” bisogna incominciare a farlo e lavorare con costanza e determinazione sapendo che il percorso è lungo e difficile.

La mia personale esperienza con mio figlio Giovanni per il quale sto cercando di costruire un futuro da uomo libero nonostante il suo deficit mentale, si scontra tutti i giorni con un mare di “non si può fare” perché ancora le istituzioni hanno la mentalità arcaica della protezione di se e degli altri, hanno la mentalità della conservazione che travalica la vita delle persone, infatti non si lavora per l'emancipazione dei soggetti ma li si costringe in luoghi protetti e isolati in funzione di un'ipotetica sicurezza che è divenuta il mantra di questo tipo di società.

La sicurezza prima di tutto, quindi si finisce con isolare ogni tipo di diversità che inevitabilmente resta ai margini.

Per fare questa svolta occorrono forze nuove, mentalità elastiche non ancora condizionate da un vissuto permeato di consuetudini ormai difficili da rimuovere, ci vuole una rivoluzione culturale che è solo di coloro che osano andare contro corrente che pensano che si “si può fare”.

Questi si chiamano precursori e la storia ci racconta che non hanno mai avuto vita facile specie in casa propria.

Con tutto il rispetto per il presidente Grasso, persona stimabile e di grande prestigio ,ma ,come al solito, forse per mancanza di tempo, si è fatta ancora un'operazione di semplice assemblaggio di tre partitini che, mi permetto di dire, fino ad oggi non hanno dato grande esempio di rinnovamento e di forza dirompente e catalizzatrice.

Innovare e rinnovarsi sono le due parole chiave di questo percorso di una nuova sinistra che “ancora non c'è”

Abbiamo perso un'altra occasione?

Chissà, se così fosse la pagheremo sulla nostra pelle, come sempre.

Rita Menichelli

 

 

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di Alessandro Messina

Ha suscitato qualche perplessità nel mondo ampio della sinistra e qualche polemica un po’ rozza, more solito, nel campo renziano la scelta dei gruppi dirigenti dei movimenti della diaspora del partito democratico di Pietro Grasso come front-man (© Rangeri) della nuova formazione politica di Liberi e Uguali. Che è, per ora, qualcosa a metà strada fra un’alleanza elettorale e l’embrione del nuovo partito della sinistra. Un vessillo: questa è la mia tesi e se avete fretta o vi annoio potete fermarvi qui. 
Bandiera, simbolo: non a caso, si dice, finirà “nel” simbolo elettorale. Ma non leader.
Innanzitutto perché è stato nominato e non eletto; nominato dai gruppi dirigenti delle formazioni che confluiscono in LeU. Diciamolo, non esisteva nessuna reale alternativa alla nomina dall’alto del “rappresentante comune" di questi partiti e movimenti. Nemmeno se vi avesse partecipato anche il mondo del Brancaccio. Ma sorge spontanea la domanda: c’era proprio bisogno di un nome unificante, che ha l’aspetto più di un candidato premier che di un capo politico?
Sì ce n’era bisogno, perché il pericolo da tutti agitato era quello di ripetere l’infausta esperienza della lista Arcobaleno: se non ci si mette d’accordo nemmeno sul nome di un rappresentante comune non si dà nessuna credibilità ad una lista che vuole anche essere il primo passo per la costruzione di un nuovo partito unitario della sinistra.
Sì, ce n’era bisogno, perché oramai i media trattano la politica come fosse uno sport o forse meglio come le corse dei cavalli, e quindi un nome ci vuole perché altrimenti i giornalisti nemmeno ti nominano; poi dipende da te se è un capo, un cavallo che si tira dietro tutti e che va dove gli pare, oppure invece è solo il contadino della prima fila de “Il quarto stato”, uno, il più visibile, del branco.
Ma non era meglio eleggerlo piuttosto che nominarlo?
No, non era possibile perché grazie al cielo non si è trattato di una annessione ma di una confluenza, di partiti piccoli, poco formalizzati per fortuna, che non potevano riconoscere la leadership di qualcuno fra loro. E allora, hanno detto i giornalisti ancora una volta “un papa straniero”.
Ma non è così: innanzitutto perché non sarà “papa” e in secondo luogo perché non è “straniero”.
Mi spiego. Se l’ignobile legge elettorale (rosatellumBis) in conformità con la mentalità padronale che accomuna Renzi e Berlusconi, impone di indicare un “capo” della lista (non della coalizione, e non candidato Presidente del Consiglio!) un nome bisognava pur indicarlo e badate bene

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Anna Falcone e Tomaso Montanari raccolgono 'il grido di dolore ...' ma pongono le loro condizioni  "per far ripartire la sinistra del Brancaccio".
pubblicato su Huffington Post del 18 novembre 2017

L’appello firmato da Luciana Castellina e da tante altre personalità pubbliche della Sinistra italiana, e i numerosi altri appelli giunti da tutta Italia in questi giorni tormentati, meritano una risposta seria e responsabile.
Il percorso del Brancaccio è stato il tentativo di costruire una lista che accogliesse, unisse e portasse in Parlamento la Sinistra più diffusa, concreta e carica di futuro. Quella dei cittadini, e delle tante lotte e vertenze disseminate nel Paese, per la difesa di un posto di lavoro, di un territorio, di un bene comune, di uno spazio, un diritto, un servizio o un principio. Quella della Costituzione, e della vittoria del 4 dicembre.
Abbiamo proposto di farlo non contro, ma con, i partiti: in un’alleanza per la democrazia e l’uguaglianza. Perché, come ci ha ricordato anche ieri Maurizio Landini, “il problema non è mettere insieme cose che già ci sono, ma innescare un nuovo processo”.
Ci siamo fermati quando abbiamo avvertito con nettezza, nei soggetti organizzati, la paura di mettersi in gioco fino in fondo, preferendo ad una partita in campo aperto il tratto autoconsolatorio dell’identità, e quello politicista dell’autoconservazione: si stava, e si sta andando, verso la somma di tre partiti già esistenti.
Se l’assemblea del 18 novembre rischiava di liquidare ogni anelito unitario, quella del 3 dicembre si sta costruendo – sono parole dell’appello cui rispondiamo – come mera “ratifica di una scelta interna al tavolo dei partiti”.
Una scelta legittima, certo: ma assai diversa dal “nuovo processo” che avremmo voluto, e che ci siamo promessi al Brancaccio.
Ora, e prima che sia troppo tardi, con sforzo d’immaginazione e ottimismo della volontà, ci par di vedere un solo modo per rimettere in carreggiata quel processo: costruire un processo autenticamente democratico di cui nessuno abbia il controllo.
Un’assemblea che possa decidere, liberamente e realmente, su programma, leadership, criteri delle candidature, comitati etici e di garanzia.
Crediamo che ci siamo ancora due modi per arrivare a questo risultato.
Il primo è costruire un percorso completamente diverso

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In un’intervista al Venerdì di ieri Maurizio Landini ha detto la cosa fondamentale, sulla sinistra italiana: «il problema non è mettere insieme cose che già ci sono, ma innescare un nuovo processo».
Era l’idea del percorso del Brancaccio: un’alleanza tra i partiti (che ci vogliono, eccome: e anzi, che diventano un problema quando sono piccoli e deboli) e i cittadini. I cittadini attivi di Sinistra, impegnati in mille lotte particolari, per il territorio, l’ambiente, l’eguaglianza, ma ormai molto disillusi circa la rappresentanza politica, e spesso rassegnati all’astensione elettorale.
Non sorprendentemente, quel percorso alla fine si è arenato sul modo in cui tenere insieme partiti e cittadini non iscritti ai partiti. Perché i partiti non si fidano l’uno dell’altro: e tutti insieme temono che la partecipazione di cittadini non iscritti possa far perdere loro il controllo della assemblea che uscirà dal percorso. La grande assemblea nazionale che dovrebbe decidere davvero sulla leadership (già scelta dai partiti, sebbene scelta fuori dai partiti…), sul programma, sui cruciali criteri per la formazione delle liste, sui garanti e sui comitati etici.
Quella assemblea è già stata annunciata dai partiti per il 3 dicembre, senza tuttavia che fosse annunciato il percorso attraverso il quale sarebbe stata formata.
È per questo che Anna Falcone ed io non abbiamo potuto firmarne la convocazione: non sappiamo se quel percorso sarà davvero aperto, democratico, fuori dal controllo dei vertici dei partiti.
Oggi sui social sono iniziate a filtrare bozze di regolamento: non so dire se corrispondano all’ultima versione, che sarà annunciata dopo l’approvazione da parte dei singoli partiti. La bozza che ho letto prevede che in ogni assemblea provinciale, la presidenza (composta dai promotori, cioè dai tre partiti) proponga una lista bloccata, e che si voti senza preferenze. Curioso per forze che si oppongono con

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