Draghi porterà a termine la legislatura e dopo si tornerà alle urne; ma noi sinistra come ci presenteremo, ognuno col suo partitino, la sua frazioncina, con i suoi fedelissimi come l’armata Brancaleone?
Vogliamo costruire una sinistra con la S maiuscola della quale siamo orfani da tempo o lasciare il campo alle destre di lotta e di governo?
La mia generazione over 70 darà ciò che può della propria storia e delle proprie idee, ma saranno le nuove generazioni a costruire un mondo nuovo che sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto.
Allora cari compagni e amici vogliamo farlo questo passo decisivo e rinunciare al proprio orticello. Mi rivolgo ad art.1 a SI, a Rifondazione Comunista a Potere al popolo e alle tante piccole frange. Mi rivolgo ai tanti ex, ma anche a dirigenti della sinistra ritiratisi nell’ombra. Ma penso anche ai tanti amministratori sparsi nei comuni d’Italia e nelle regioni che possono dare una nuova spinta per una Sinistra del futuro.
Nella mia regione penso ad Elly Schlein e all’ enorme potenziale che abbiamo nel nostro Paese. Vogliamo prendere questo ultimo treno e dopo Draghi presentarci alle elezioni con una Sinistra degna del suo nome e della sua storia.
Se non ora quando?
Valerio Benuzzi, Bologna
Commenta (0 Commenti)Il combinato disposto del colpo di mano di Renzi e dei comportamenti dei dirigenti di questa classe politica, ai vari livelli e collocazioni, ci ha portato a Draghi “salvatore della patria”.
Naturalmente, “il merito” non è solo di Renzi, dietro di lui si sono mossi molti e diversi interessi, alcuni più forti, altri semplicemente vassalli (pensiamo ai tanti commentatori, non solo schierati apertamente a destra, che attaccavano il governo Conte, incluso diverse posizioni dentro il PD).
Ma oggi siamo qui e credo sarebbe utile, per chi continua (con + o – entusiasmo e attivismo) a ritenersi nel campo delle sinistre, provare a ragionare su cosa sarebbe necessario - e si potrebbe - fare ora.
Intendo non solo limitarci a prendere posizione se era giusto o no dare, da sinistra, la fiducia a Draghi in Parlamento.
Non voglio passare per cerchiobottista, ma credo che nella situazione data, ci fossero ragioni per stare dentro questa strana compagine di governo, così come sarebbe necessario che qualcuno presidiasse una opposizione di sinistra, per non lasciare questo necessario spazio solo alla destra e alla Meloni.
Per quello che conterà - e questo lo vedremo - queste due cose sono già successe: quasi tutta LEU sostiene il Governo e il buon ministro Speranza; mentre Sinistra Italiana e una parte dei 5 Stelle (di cui vedremo l'evoluzione complessiva) saranno all'opposizione.
Mi pare ci siano due questioni sulle quali quasi tutti gli interventi (su questo sito e su il manifesto) convengono: vedere le scelte concrete che il nuovo governo farà; la preoccupazione per la frammentazione e la (scarsa) incidenza della sinistra.
Vorrei sommariamente provare a tenere insieme le due cose.
Io penso che questo governo, al di là dello stile e della sobrietà che gli può essere riconosciuta, si collocherà più a destra del precedente, ma su alcune questioni potrebbe aprire qualche spazio e tenere a bada gli istinti peggiori delle componenti peggiori (Salvini, Berlusconi, Renzi...) ma questo può dipendere unicamente da una pressione (e da una opposizione) di merito che sarebbe necessario si sviluppasse nel paese, ancor prima che in Parlamento.
Provo a spiegarmi meglio: qualcuno ha giudicato un “endorsement un po' precipitoso” la dichiarazione di Landini su Draghi, può essere, ma va ricordato che il sindacato, e la Cgil, possono permettersi di fare una apertura di credito, sostenendo che serve il blocco dei licenziamenti, ammortizzatori sociali, sviluppo sostenibile, contrasto alle emissioni inquinanti e alla crisi climatica ...e che per farlo c'è bisogno del consenso e del coinvolgimento del mondo del lavoro e della società civile ..., dicendo implicitamente che se non ci fossero queste condizioni il sindacato potrebbe mobilitarsi contro.
Credo che il riferimento alla società civile non sia casuale (Landini aveva lanciato a suo tempo l'idea di una Coalizione sociale) e che questa possa essere una indicazione anche per i vari pezzi delle sinistre politiche, dell'associazionismo sociale e ambientale, anche verificando le possibili convergenze con quelle parti del M5S che sono oggettivamente su posizioni progressiste.
Il problema non è cominciare col tentare una (ennesima) aggregazione che si proclama soggetto politico della sinistra (che naturalmente sarebbe necessario), ma piuttosto sviluppare e coordinare tutte le azioni politiche e sociali che vanno nella direzione di un'altra idea di sviluppo sociale e ambientale (perché credo sia proprio l'idea del modello di sviluppo l'obiettivo di chi, in questo secolo, immagina un superamento del neoliberismo).
Partiamo da una questione di attualità: la Transizione Ecologica, su cui si è fatto addirittura un ministero, anche su richiesta specifica di Grillo e del M5S.
Il fatto che il titolo sia messo all'ordine del giorno è importante, l'indicazione delle persone a cui vengono affidate le responsabilità, a partire dal Ministro Cingolani, non necessariamente è la migliore. Ma il problema sarà vedere le politiche concrete che verranno messe in campo e su queste è possibile esercitare “una pressione”, sia a livello politico e parlamentare, che a livello sociale e territoriale. Teniamo presente che per mettere in moto un vero processo di transizione non servono solo strategie e politiche generali, queste devono essere declinate, ma anche implementate, ai diversi livelli settoriali e territoriali. In particolare su questi livelli può incidere la dimensione locale e territoriale dell'iniziativa politica e sociale.
Sugli stessi argomenti, è certamente interessante che durante la replica in Senato Draghi abbia ventilato un possibile inserimento in Costituzione dei concetti di ambiente e sviluppo sostenibile, naturalmente la questione non può ridursi solo a un annuncio formale.
Ancora più urgente invece sarebbe una precisa mobilitazione, con tutte le forze disponibili, su alcune questioni, per esempio: una legge elettorale proporzionale che permetta di scegliere i candidati; la richiesta di accantonare le ipotesi di autonomia differenziata da parte di alcune regioni; sostenere l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di ragazze e ragazzi nati e/o cresciuti in Italia; chiedere che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti delle case farmaceutiche non impediscono l'accesso ai vaccini per tutti; ecc...
Alcune di queste battaglie potrebbero essere vincenti, altre magari no, ma tutto questo può contribuire a coalizzare un fronte progressista che possa essere in campo contro la destra, quando questa fase di emergenza sarà finita.
Vittorio Bardi
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Dopo Draghi? Come sarà il ritorno della politica? Se leggete il Corriere potete facilmente accorgervi che loro ci pensano già. E vagheggiano, come ho già in altra occasione osservato, ora uno scenario alla Macron con Draghi che dirige l’operazione seduto al Quirinale, ora con un passaggio di riforme istituzionali. Veltroni non pago rilancia il bipartitismo sotto le spoglie di una legge elettorale maggioritaria adatta a scelte (dice lui) bipolari. Ma non ci ha già provato? Non si è dimesso da segretario del Pd stesso? Non è fallita miseramente la sua costruzione di un partito clintoniano? Boh, il tempo passa ma lui non impara niente, anzi pontifica!
Pur consci che questo governo può avere un effetto dirompente sul sistema politico italiano, io consiglio di volare bassi, stare sul concreto, come fa Draghi stesso d’altra parte e partiamo dalle cose più semplici e quindi probabili. L’uscita dal “governo di (quasi) tutti” può avvenire solo se i partiti saranno in grado di proporre una alternativa credibile al “governo di tutti”. E potrà essere un governo che ne raccoglie l’eredità o un governo che ne registra il fallimento. Pensate al dopo Monti: socialdemocrazia (Italia bene comune la proposta più avanzata degli ultimi 20 anni), o populismo?
Questa volta sarà diverso, forse di nuovo destra-sinistra. Guardiamo in faccia la realtà, la destra è molto meglio posizionata dell’alleanza PD M5S Leu. Ha un piede ben saldo nel governo (Giorgetti, i Berluscones, i tecnocrati, ma anche un piede all’opposizione, la Meloni ed i suoi: una posizione ideale. Si raccoglie il consenso che fra le classi dirigenti del Nord procura loro la spesa pubblica del Recovery Plan e contemporaneamente si fa leva sull’elettorato che protesta e si sente escluso. Il cinismo e il trasformismo della Lega, la faccia di bronzo dei suoi dirigenti fa da cerniera con l’affarismo dei berlusconiani e la protesta sociale dei Fratelli d’Italia.
A sinistra, invece, le cose appaiono più complicate, per una serie di fattori che ostacolano la formazione di uno schieramento PD M5S LEU con a capo Conte o altro.
Elenchiamoli: il processo di disgregazione dei 5 stelle, non di per sé ma perché mantenendo legata alla prospettiva dell’alleanza soltanto l’ala governi sta rischia alla fine di consegnare i movimentisti più alla destra che a sinistra.
La forte presenza di renziani nel partito democratico: non tanto perché io creda a teorie complottiste (le quinte colonne, a parte alcuni …) ma piuttosto perché la formazione culturale, la provenienza politica, le compromissioni del passato rendono una buona metà dei gruppi parlamentare naturalmente refrattari ad un’operazione di sinistra e ad un’alleanza non puramente strumentale con i 5 stelle.
La debolezza della leadership: Conte è stato quasi un miracolo ma senza la visibilità e l’esercizio della funzione di capo del governo faticherà molto a mantenere quella grande popolarità che è stata il suo piedistallo.
Le divisioni molecolari a sinistra del Pd, con formazioni sempre in concorrenza fra loro e sempre meno in sintonia con i loro potenziali elettori. Professionisti del piccolo cabotaggio che anche quando rivendicano la necessità di una palingenesi generale vedono chi gli sta più vicino come il principale avversario da combattere (in questo Scotto ha fatto la parte più penosa del dopo Conte). I dirigenti, ma lasciatemi dire anche l’opinione pubblica della sinistra vera hanno lo sguardo rivolto indietro e con grandissima difficoltà si misurano con la sfida di un cambiamento profondo e repentino del quadro e delle prospettive politiche.
Lo dimostra tutto il dibattito in corso su Draghi. Starci per cercare di orientare o stare fuori per opporsi e ricostruire un’identità. Tutto lecito, anzi direi tutto opportuno e anche, se vogliamo naturale, ma le argomentazioni mi sono apparse spesso inadeguate. Non si può costruire l’opposizione al governo Draghi basandosi soltanto sui curricula dei ministri o sulla presenza della Lega in un governo per definizione di salvezza o unità nazionale. O discutere per giorni sul fatto che conta poco che Draghi sia stato o meno allievo di Caffè o del fatto che conta di più il neoliberismo professato durante la crisi greca e parte della conduzione della BCE. La politica non è questo, non ci può essere solo il determinismo. Se il MES non si prende (ci può piacere o meno, non è questo il punto) è perché al governo ci sono certe forze, se il blocco dei licenziamenti viene prorogato è perché dentro il governo ci sono certi equilibri e perché le opposizioni altrimenti avrebbero uno spazio troppo largo. Ci sono scelte che si fanno perché qualcuno le propone (pensate alla sanità) e qualcuno che dall’opposizione può orientare l’opinione pubblica e mobilitare la protesta sociale.
Credo di essermi spiegato: bisogna scegliere sulla base di valutazioni complessive, ma poi bisogna riconoscere che ognuno ha un ruolo, di promozione riformatrice e di opposizione alle scelte reazionarie o conservatrici. Con eguale dignità e senza che questo metta in crisi una prospettiva di alleanza. Ci saranno tanti snodi difficili, tante curve pericolose sulla strada di questo governo, il come prevale sul cosa. Come si sta nel governo e come si sta all’opposizione: se l’obiettivo di un’alleanza politica è saldo e ricco di contenuti condivisi un governo di emergenza non può essere un ostacolo.
Lo so la destra è cinica ed è più facile a Berlusconi e Salvini riannodare in 5 minuti con i Fratelli d’Italia (lo hanno già fatto ai tempi dell’alleanza giallo-verde). La sinistra deve essere capace di farlo con dignità a partire dagli obiettivi. Lasciare alla destra “sociale” (che poi vuol dire fascista) il monopolio dell’opposizione sarebbe un grave errore; non è una difesa d’ufficio della scelta di Sinistra Italiana, è la constatazione ch’essa si fa interprete di una parte non trascurabile dell’orientamento dell’opinione di sinistra. La vedo come una posizione debole, ma attenzione, può essere anche una risorsa.
Stare dentro un governo di emergenza non vuol dire rinunciare al proprio progetto riformatore di riduzione delle disuguaglianze, di rilancio del ruolo dello Stato nell’economia, di tutela dei più deboli e dei diritti civili e sociali ecc., tutti obiettivi che non potranno certamente essere realizzati compiutamente in un governo insieme con la destra. Conclusa quella fase solo l’incontro con tutte le forze progressiste può garantire una prospettiva di governo del paese e l’appoggio dell’opinione pubblica di sinistra oggi così fortemente sconcertata dalla necessità di sostenere Draghi senza rinunciare definitivamente ai propri ideali e progetti, domani forse frustrata dal prezzo pagato per un’alleanza così innaturale per quanto transitoria.
Alessandro Messina
Commenta (0 Commenti)IL MIO PUNTO DI VISTA SUL L'INSEDIAMENTO DEL GOVERNO CON MARIO DRAGHI A PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.
Prima di scrivere alcune mie valutazioni a proposito di questo discorso, ho voluto ascoltare anche molte delle dichiarazioni dei senatori e deputati riguardo alle loro intenzioni di voto ed aver cercato di capire le ragioni per le quali questo esecutivo abbia avuto tanta adesione.
Leggendo anche le posizioni di alcuni miei compagni, fra chi approvava in pieno il discorso e chi faceva critiche, commentando anche un articolo di Alfonso Gianni apparso su "Il Manifesto "del 18/2/2021, sono partita dalla considerazione che Draghi si definisce un" liberalsocialista ", che ha studiato con l'economista Federico Caffè e basato il suo lavoro sulle politiche economiche keynesiane. Cito brevemente alcuni punti riguardanti questo tipo di politiche : il capitalismo viene visto come un sistema pieno di imperfezioni e che può essere condizionato da vari miglioramenti. Soprattutto il miglioramento rivolto al benessere delle popolazioni è considerato una riforma molto importante, con tre obbiettivi irrinunciabili e non barattabili :piena occupazione, egualitarismo, realizzazione vera e piena dello stato sociale. Purtroppo, un progetto largamente incompiuto, perché il capitalismo ha avuto cambiamenti di forma, ma è rimasto identico nella sostanza e le forze progressiste non hanno saputo operare per effettuare cambiamenti realmente significativi.
Draghi può aver dimostrato, almeno in parte, questa sensibilità, nella sua gestione della BCE, durante le gravi crisi economiche dell'ultimo decennio, ed anche nel suo discorso ha indicato con sicurezza la necessità di sviluppare lavoro adeguato, soprattutto per i giovani e le donne. Chiaramente non poteva mancare la forte spinta ad avere una sanità adeguata al grave momento attuale, indicando la necessità di rafforzarla sul territorio, cose indicate anche dal governo di Conte. Riguardo all'industria, la sua posizione è quella di sostenere le imprese che sappiano dimostrare di lavorare in profitto, valutando cosa fare per quelle che necessitano di continui sussidi statali (Alitalia?).
La forte proposta di un Ministero della Transizione Ecologica,
Leggi tutto: Apriamo il dibattito: Il mio punto di vista su Draghi - di Maria Rossini
Commenta (0 Commenti)Matteo Renzi ha giocato sporco: cinicamente sicuro che la situazione sanitaria e sociale del Paese non avrebbe consentito le urne – e la prevedibile estinzione d’Italia Viva dalla scena politica nazionale – ha fatto cadere il governo Conte e quindi posto condizioni inaccettabili per un nuovo governo politico. A quel punto il Presidente della Repubblica ha giocato la sua ultima carta.
Mario Draghi è quindi l’alternativa alle elezioni, la soluzione politica della crisi di Governo, ma impraticabile in questo delicatissimo momento.
La prima cruciale mossa di Draghi è stata l’incontro – di un’ora – con Conte. Senza il sostegno del partito trionfatore alle ultime elezioni, e al governo prima con la Lega poi col PD, i margini di manovra per Draghi sarebbero stati strettissimi. Così, nell’arco temporale di due settimane, si è definita una nuova collocazione dei 5S, che sembrano ormai ancorati al campo del centrosinistra e subiscono una scissione. Vedremo se si tratta di versipelle o cosa più seria. La novità è, comunque, clamorosa.
Con lo scontato consenso di Forza Italia, la maggioranza Ursula era quindi pronta e confezionata (secondo le più pigre attese) e Salvini stava per sedersi all’opposizione, quando gli è stato spiegato che non vi era rendita da incassare da quei banchi (a meno di tragedie nazionali). Fratelli d’Italia è così rimasto l’unico partito fuori dal governo, confermando la sua identità trumpista: un sovranismo antisistema e allergico – anche in momenti d’emergenza nazionali – alle responsabilità costituzionali.
L’estesa adesione delle forze politiche si è tradotta in un loro più ampio coinvolgimento nella compagine di governo, ma è parso subito evidente che i dicasteri chiave sono stati affidati a uomini e donne che hanno la fiducia di Mario Draghi.
Con una sobrietà di altri tempi, senza rilasciare alcuna dichiarazione agli organi di stampa e commento sui social (dov’è finita la streaming democracy dei 5S? Dove sono i twitter di Renzi? Chi indossa le felpe di Salvini?), mercoledì 17 febbraio Mario Draghi si è presentato al Senato con un discorso scritto di suo pugno. E’ questo il primo documento sul quale si possono giudicare le attuali intenzioni del nuovo Presidente del consiglio.
Ho letto con attenzione un testo che ho trovato serio e onesto (al netto di scusabili accenti retorici dovuti all’occasione e – forse – alla confessata forte emozione per la responsabilità assunta). Draghi si muove nel solco della tradizione liberal-socialista italiana, quella illustrata dagli economisti Sylos Labini e Federico Caffé; più lontana si intravede l’ombra di Keynes, colui che affrontando la crisi del 1929 ebbe a dire che la cosa difficile non è tanto sviluppare nuove idee, ma liberarsi delle vecchie.
Sbaglierò, ma Draghi non ci propone vecchie ricette. A sinistra qualcuno lo sta criticando perché non ha fatto proposte più radicali, ovvero non ha fatto le nostre proposte: che ingenuità. Draghi ha fatto una cosa diversa: ha collocato la politica italiana – riluttante se non oppositiva – sul versante di coloro che sono convinti che è in atto un cambiamento epocale. Stanno saltando vecchi paradigmi, vengono a mancare le certezze di ieri, le urgenze sono sotto gli occhi di tutti e la pandemia, come correttamente scrive Draghi, è conseguenza di una profonda crisi in atto da più tempo.
Quando Draghi scrive che la sua generazione (ha 73 anni) è stata meno generosa e responsabile verso figli e nipoti rispetto a quella precedente, io penso che sia sincero e vuole rimediare agli errori (anche suoi). L’attenzione ai giovani, alle donne, ai precari, ai malati (ha un accenno anche a quelli mentali) è seria e non rituale. Draghi accenta il lavoro, non l’impresa; profila un diverso modello sanitario, una riconversione ecologica, una scuola moderna, una riforma fiscale progressiva a vantaggio di tutti i cittadini. Non entra nei dettagli, ma fa capire che la sua intenzione è intervenire in profondità sulle strutture portanti del Paese. Le parole sull’Europa – centellinate – sono preziose. Il sovranismo è bandito; la riforma in senso politico dell’UE è sottintesa con chiarezza.
La sfida che lancia a tutti è ineludibile. La crisi che stiamo vivendo sta cambiando le nostre abitudini, i nostri ambienti lavorativi, i nostri spazi sociali, le nostre relazioni familiari; le nostre menti e i nostri corpi. Essa avrà effetti di una intensità non pienamente immaginabile, ma sicuramente profondi.
Nel discorso di Draghi l’urgenza del momento e la necessità di azioni nuove e coraggiose di natura strutturale, io le vedo. Se i fatti mi smentiranno, lo riconoscerò. Più di tutto temo l’imbelle, litigiosa, egoista e rancorosa classe dirigente che ci ha spinto fino sull’orlo del burrone. Per questo chi ha a cuore il futuro di questo Paese dovrebbe tendere una mano a Mario Draghi: da solo può non farcela.
Martino Albonetti
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