Matteo Renzi ha giocato sporco: cinicamente sicuro che la situazione sanitaria e sociale del Paese non avrebbe consentito le urne – e la prevedibile estinzione d’Italia Viva dalla scena politica nazionale – ha fatto cadere il governo Conte e quindi posto condizioni inaccettabili per un nuovo governo politico. A quel punto il Presidente della Repubblica ha giocato la sua ultima carta.
Mario Draghi è quindi l’alternativa alle elezioni, la soluzione politica della crisi di Governo, ma impraticabile in questo delicatissimo momento.
La prima cruciale mossa di Draghi è stata l’incontro – di un’ora – con Conte. Senza il sostegno del partito trionfatore alle ultime elezioni, e al governo prima con la Lega poi col PD, i margini di manovra per Draghi sarebbero stati strettissimi. Così, nell’arco temporale di due settimane, si è definita una nuova collocazione dei 5S, che sembrano ormai ancorati al campo del centrosinistra e subiscono una scissione. Vedremo se si tratta di versipelle o cosa più seria. La novità è, comunque, clamorosa.
Con lo scontato consenso di Forza Italia, la maggioranza Ursula era quindi pronta e confezionata (secondo le più pigre attese) e Salvini stava per sedersi all’opposizione, quando gli è stato spiegato che non vi era rendita da incassare da quei banchi (a meno di tragedie nazionali). Fratelli d’Italia è così rimasto l’unico partito fuori dal governo, confermando la sua identità trumpista: un sovranismo antisistema e allergico – anche in momenti d’emergenza nazionali – alle responsabilità costituzionali.
L’estesa adesione delle forze politiche si è tradotta in un loro più ampio coinvolgimento nella compagine di governo, ma è parso subito evidente che i dicasteri chiave sono stati affidati a uomini e donne che hanno la fiducia di Mario Draghi.
Con una sobrietà di altri tempi, senza rilasciare alcuna dichiarazione agli organi di stampa e commento sui social (dov’è finita la streaming democracy dei 5S? Dove sono i twitter di Renzi? Chi indossa le felpe di Salvini?), mercoledì 17 febbraio Mario Draghi si è presentato al Senato con un discorso scritto di suo pugno. E’ questo il primo documento sul quale si possono giudicare le attuali intenzioni del nuovo Presidente del consiglio.
Ho letto con attenzione un testo che ho trovato serio e onesto (al netto di scusabili accenti retorici dovuti all’occasione e – forse – alla confessata forte emozione per la responsabilità assunta). Draghi si muove nel solco della tradizione liberal-socialista italiana, quella illustrata dagli economisti Sylos Labini e Federico Caffé; più lontana si intravede l’ombra di Keynes, colui che affrontando la crisi del 1929 ebbe a dire che la cosa difficile non è tanto sviluppare nuove idee, ma liberarsi delle vecchie.
Sbaglierò, ma Draghi non ci propone vecchie ricette. A sinistra qualcuno lo sta criticando perché non ha fatto proposte più radicali, ovvero non ha fatto le nostre proposte: che ingenuità. Draghi ha fatto una cosa diversa: ha collocato la politica italiana – riluttante se non oppositiva – sul versante di coloro che sono convinti che è in atto un cambiamento epocale. Stanno saltando vecchi paradigmi, vengono a mancare le certezze di ieri, le urgenze sono sotto gli occhi di tutti e la pandemia, come correttamente scrive Draghi, è conseguenza di una profonda crisi in atto da più tempo.
Quando Draghi scrive che la sua generazione (ha 73 anni) è stata meno generosa e responsabile verso figli e nipoti rispetto a quella precedente, io penso che sia sincero e vuole rimediare agli errori (anche suoi). L’attenzione ai giovani, alle donne, ai precari, ai malati (ha un accenno anche a quelli mentali) è seria e non rituale. Draghi accenta il lavoro, non l’impresa; profila un diverso modello sanitario, una riconversione ecologica, una scuola moderna, una riforma fiscale progressiva a vantaggio di tutti i cittadini. Non entra nei dettagli, ma fa capire che la sua intenzione è intervenire in profondità sulle strutture portanti del Paese. Le parole sull’Europa – centellinate – sono preziose. Il sovranismo è bandito; la riforma in senso politico dell’UE è sottintesa con chiarezza.
La sfida che lancia a tutti è ineludibile. La crisi che stiamo vivendo sta cambiando le nostre abitudini, i nostri ambienti lavorativi, i nostri spazi sociali, le nostre relazioni familiari; le nostre menti e i nostri corpi. Essa avrà effetti di una intensità non pienamente immaginabile, ma sicuramente profondi.
Nel discorso di Draghi l’urgenza del momento e la necessità di azioni nuove e coraggiose di natura strutturale, io le vedo. Se i fatti mi smentiranno, lo riconoscerò. Più di tutto temo l’imbelle, litigiosa, egoista e rancorosa classe dirigente che ci ha spinto fino sull’orlo del burrone. Per questo chi ha a cuore il futuro di questo Paese dovrebbe tendere una mano a Mario Draghi: da solo può non farcela.
Martino Albonetti