Dopo Draghi? Come sarà il ritorno della politica? Se leggete il Corriere potete facilmente accorgervi che loro ci pensano già. E vagheggiano, come ho già in altra occasione osservato, ora uno scenario alla Macron con Draghi che dirige l’operazione seduto al Quirinale, ora con un passaggio di riforme istituzionali. Veltroni non pago rilancia il bipartitismo sotto le spoglie di una legge elettorale maggioritaria adatta a scelte (dice lui) bipolari. Ma non ci ha già provato? Non si è dimesso da segretario del Pd stesso? Non è fallita miseramente la sua costruzione di un partito clintoniano? Boh, il tempo passa ma lui non impara niente, anzi pontifica!
Pur consci che questo governo può avere un effetto dirompente sul sistema politico italiano, io consiglio di volare bassi, stare sul concreto, come fa Draghi stesso d’altra parte e partiamo dalle cose più semplici e quindi probabili. L’uscita dal “governo di (quasi) tutti” può avvenire solo se i partiti saranno in grado di proporre una alternativa credibile al “governo di tutti”. E potrà essere un governo che ne raccoglie l’eredità o un governo che ne registra il fallimento. Pensate al dopo Monti: socialdemocrazia (Italia bene comune la proposta più avanzata degli ultimi 20 anni), o populismo?
Questa volta sarà diverso, forse di nuovo destra-sinistra. Guardiamo in faccia la realtà, la destra è molto meglio posizionata dell’alleanza PD M5S Leu. Ha un piede ben saldo nel governo (Giorgetti, i Berluscones, i tecnocrati, ma anche un piede all’opposizione, la Meloni ed i suoi: una posizione ideale. Si raccoglie il consenso che fra le classi dirigenti del Nord procura loro la spesa pubblica del Recovery Plan e contemporaneamente si fa leva sull’elettorato che protesta e si sente escluso. Il cinismo e il trasformismo della Lega, la faccia di bronzo dei suoi dirigenti fa da cerniera con l’affarismo dei berlusconiani e la protesta sociale dei Fratelli d’Italia.
A sinistra, invece, le cose appaiono più complicate, per una serie di fattori che ostacolano la formazione di uno schieramento PD M5S LEU con a capo Conte o altro.
Elenchiamoli: il processo di disgregazione dei 5 stelle, non di per sé ma perché mantenendo legata alla prospettiva dell’alleanza soltanto l’ala governi sta rischia alla fine di consegnare i movimentisti più alla destra che a sinistra.
La forte presenza di renziani nel partito democratico: non tanto perché io creda a teorie complottiste (le quinte colonne, a parte alcuni …) ma piuttosto perché la formazione culturale, la provenienza politica, le compromissioni del passato rendono una buona metà dei gruppi parlamentare naturalmente refrattari ad un’operazione di sinistra e ad un’alleanza non puramente strumentale con i 5 stelle.
La debolezza della leadership: Conte è stato quasi un miracolo ma senza la visibilità e l’esercizio della funzione di capo del governo faticherà molto a mantenere quella grande popolarità che è stata il suo piedistallo.
Le divisioni molecolari a sinistra del Pd, con formazioni sempre in concorrenza fra loro e sempre meno in sintonia con i loro potenziali elettori. Professionisti del piccolo cabotaggio che anche quando rivendicano la necessità di una palingenesi generale vedono chi gli sta più vicino come il principale avversario da combattere (in questo Scotto ha fatto la parte più penosa del dopo Conte). I dirigenti, ma lasciatemi dire anche l’opinione pubblica della sinistra vera hanno lo sguardo rivolto indietro e con grandissima difficoltà si misurano con la sfida di un cambiamento profondo e repentino del quadro e delle prospettive politiche.
Lo dimostra tutto il dibattito in corso su Draghi. Starci per cercare di orientare o stare fuori per opporsi e ricostruire un’identità. Tutto lecito, anzi direi tutto opportuno e anche, se vogliamo naturale, ma le argomentazioni mi sono apparse spesso inadeguate. Non si può costruire l’opposizione al governo Draghi basandosi soltanto sui curricula dei ministri o sulla presenza della Lega in un governo per definizione di salvezza o unità nazionale. O discutere per giorni sul fatto che conta poco che Draghi sia stato o meno allievo di Caffè o del fatto che conta di più il neoliberismo professato durante la crisi greca e parte della conduzione della BCE. La politica non è questo, non ci può essere solo il determinismo. Se il MES non si prende (ci può piacere o meno, non è questo il punto) è perché al governo ci sono certe forze, se il blocco dei licenziamenti viene prorogato è perché dentro il governo ci sono certi equilibri e perché le opposizioni altrimenti avrebbero uno spazio troppo largo. Ci sono scelte che si fanno perché qualcuno le propone (pensate alla sanità) e qualcuno che dall’opposizione può orientare l’opinione pubblica e mobilitare la protesta sociale.
Credo di essermi spiegato: bisogna scegliere sulla base di valutazioni complessive, ma poi bisogna riconoscere che ognuno ha un ruolo, di promozione riformatrice e di opposizione alle scelte reazionarie o conservatrici. Con eguale dignità e senza che questo metta in crisi una prospettiva di alleanza. Ci saranno tanti snodi difficili, tante curve pericolose sulla strada di questo governo, il come prevale sul cosa. Come si sta nel governo e come si sta all’opposizione: se l’obiettivo di un’alleanza politica è saldo e ricco di contenuti condivisi un governo di emergenza non può essere un ostacolo.
Lo so la destra è cinica ed è più facile a Berlusconi e Salvini riannodare in 5 minuti con i Fratelli d’Italia (lo hanno già fatto ai tempi dell’alleanza giallo-verde). La sinistra deve essere capace di farlo con dignità a partire dagli obiettivi. Lasciare alla destra “sociale” (che poi vuol dire fascista) il monopolio dell’opposizione sarebbe un grave errore; non è una difesa d’ufficio della scelta di Sinistra Italiana, è la constatazione ch’essa si fa interprete di una parte non trascurabile dell’orientamento dell’opinione di sinistra. La vedo come una posizione debole, ma attenzione, può essere anche una risorsa.
Stare dentro un governo di emergenza non vuol dire rinunciare al proprio progetto riformatore di riduzione delle disuguaglianze, di rilancio del ruolo dello Stato nell’economia, di tutela dei più deboli e dei diritti civili e sociali ecc., tutti obiettivi che non potranno certamente essere realizzati compiutamente in un governo insieme con la destra. Conclusa quella fase solo l’incontro con tutte le forze progressiste può garantire una prospettiva di governo del paese e l’appoggio dell’opinione pubblica di sinistra oggi così fortemente sconcertata dalla necessità di sostenere Draghi senza rinunciare definitivamente ai propri ideali e progetti, domani forse frustrata dal prezzo pagato per un’alleanza così innaturale per quanto transitoria.
Alessandro Messina