I fatti di Amsterdam Perché la deriva ultrà è la perfetta metafora spettacolare del nostro tempo, dove la violenza trova le sue ragioni, ormai in mancanza degli spazi necessari della politica che tace e chiude gli occhi
Un gruppo di ultrà mentre strappa la bandiera palestinese da una casa di Amsterdam
Ecco che per i fatti di Amsterdam torna l’accusa di antisemitismo. Un’accusa che è stata dolorosamente quanto vergognosamente utilizzata spesso per zittire ogni onesta e rigorosa denuncia della politica israeliana, accusa che si è enfatizzata con l’eccidio del 7 ottobre ad opera di Hamas e soprattutto con quello che ne è seguito: il massacro dei civili inermi a Gaza, quel «plausibile genocidio» anche per la Corte di giustizia internazionale e quei crimini di guerra per i quali è stato emesso dalla Cpi un mandato d’arresto. Oltre che per i leader di Hamas, anche per il premier Netanyahu e per il suo “oppositore”,il ministro della difesa Gallant.
Ma saremmo miopi nel non vedere che il vento odioso dell’antisemitismo rischia di riprendere fiato e forza per soffiare con maggiore vigore, in assenza di consapevolezza sugli avvenimenti e sulla loro storia, e di fronte alle chiacchiere o peggio al silenzio assordante dei governi occidentali di fronte alla «tranquilla» strage di palestinesi, una mattanza ormai abitudinaria di decine di migliaia di esseri umani di serie B, ridotti a ombre che camminano sotto le bombe di uno Stato potente, e ridotti alla fame e alla disperazione tra le macerie, per la quale sembra non esserci più parola per descriverla o titolo per nominarla.
Anzi, nell’incapacità a imporre nemmeno un cessate il fuoco, si annunciano «ritorni alla normalità» come auspica ipocritamente il governo italiano, come se dopo tutto quello che è accaduto e che accade ogni giorno possa esserci davvero un «ritorno alla normalità», come se esistesse davvero una normalità sotto una criminale occupazione militare che dura da decenni.
Certo, il vento sporco da fermare, insieme al razzismo, è quello dell’antisemitismo, ma il primo responsabile, ricorda con coraggio il libro di Anna Foa “Il suicidio di Israele” è esattamente il governo israeliano in carica: «…Ma i morti di Gaza sono opera di uno Stato che si definisce democratico, l’unica democrazia del Medio Oriente – scrive Anna Foa -, ma che non esita a colpire vecchi e bambini per uccidere un solo capo di Hamas, un capo che sarà sostituito dopo pochi giorni. E gli ebrei del mondo – continua Anna Foa – di quella diaspora che si riempie la bocca e la mente di etica ebraica e di pensiero ebraico, come possono accettarlo senza reagire? Come possono parlare solo di antisemitismo senza guardare a ciò che in questo momento lo fa divampare, la guerra a Gaza?».
Condanniamo dunque la malapianta dell’antisemitismo – sottolineiamo un’ultima evoluzione: si può infatti essere suprematisti come Orbán e islamofobi come il razzista Wilders, nonché di formazione antisemita come il neonazista partito tedesco Afd e l’almirantiana Meloni ma mimeticamente anche strenui amici d’Israele. E certo c’è da stare ogni giorno attenti a non confondere mai i termini, perché una cosa è il governo israeliano con dentro fascisti dichiarati, un’altra sono i sionismi e la loro storia – realizzata, ahimè, sulla pelle delle aspirazioni negate ai palestinesi – e un’altra ancora l’ebraismo.
Ma può davvero bastare? Può bastare, di fronte all’odio seminato, pensando a quel che sarà la memoria di chi ha vissuto da bersaglio nella Striscia di Gaza? Può bastare allo sguardo lungo nel tempo di quei bambini?
Lì, sotto le macerie e nelle fosse comuni è ormai seppellita la grande solidarietà dovuta ad Israele per il 7 ottobre; lì c’è un serbatoio d’odio che agita il mondo alle fondamenta, che si diffonde perché non trova più ascolto, lenimento, conforto umanitario o mediazione politica, se addirittura le istituzioni dell’Onu sono state dichiarate «terroriste» dalle istituzioni israeliane. Così pensare di rilanciare da copione l’infame accusa di antisemitismo – così fan tutti, da Netanyahu che grida alla «notte dei Cristalli come nel ’38″, al governo di destra olandese, dal re a Ursula von der Leyen – approfittando delle degenerazioni da condannare di tifoserie di calcio contrapposte, come è accaduto a Amsterdam – la città di Anna Frank, dalle profonde radici ebraiche (oggi capitale della xenofobia europea) – è davvero un penoso rito che banalizza la storia della persecuzione ebraica e la memoria anti- nazista d’Europa, portando solo acqua all’arroganza di Netanyahu.
Che con la sua guerra di vendetta espone al pericolo le comunità ebraiche, e che, appunto, pensa di ridurci alla dimensione della “tifoseria”. Ma Gaza non è una trasferta di calcio. Perché la deriva ultrà è la perfetta metafora spettacolare del nostro tempo, dove la violenza trova le sue ragioni, ormai in mancanza degli spazi necessari della politica che tace e chiude gli occhi, come i media, di fronte alla verità. Se è vero com’è vero che non c’è stata solo, dopo, la grave caccia all’israeliano in nome dei “bambini di Gaza”, ma che gli stessi tifosi israeliani del Makkabi hanno inscenato ben prima della partita provocazioni in più episodi, con gesti sprezzanti e violente rivendicazioni delle stragi di palestinesi. Se quello di Amsterdam è un pogrom, che cosa è la mattanza in corso in queste ore a Gaza, in Cisgiordania e in Libano?