Donne e bambini Nuovo rapporto dell’Onu: il 44% sono minori, la maggior parte aveva tra i 5 e i 9 anni. Tel Aviv: «Non ci sarà nessun ritorno a nord»
Un gruppo di palestinesi piange i bambini uccisi in un raid israeliano a Deir al-Balah – AbdelKareem Hana/ Ap
Soprattutto donne e bambini. Sull’ormai abituale bollettino della morte a Gaza si è pronunciato ieri l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani (Ohchr), con un nuovo rapporto: il 70 percento delle morti accertate nei primi sei mesi dell’invasione israeliana a Gaza erano donne e bambini. La maggior parte di loro aveva tra i 5 e i 9 anni, e complessivamente i bambini ammazzati sono il 44 percento delle vittime totali. Incrociando le informazioni fornite dai vicini delle case bombardate – i pochi rimasti -, dai familiari, dalle Ong locali e dal personale delle Nazioni unite sul campo con i dati sui registri ospedalieri, il rapporto documenta che la vittima più giovane era un bambino di appena un giorno. Tutto questo nella «sconsiderata noncuranza» di Israele, come denuncia Volker Turk, alto commissario Onu per i diritti umani. Turk ha esortato Tel Aviv a rispettare gli obblighi internazionali, ricordando che ci sono mezzi e modi per «limitare e prevenire le sofferenze umane in tempi di conflitto armato».
PROSEGUENDO nella più totale negligenza delle regole e delle istituzioni internazionali, Israele commenta il rapporto delle Nazioni unite derubricandolo a «informazioni non verificate», nelle parole della missione diplomatica israeliana a Ginevra, e prosegue nell’inflizione di sofferenze che da oltre un mese investe il nord della Striscia. Almeno una ventina di palestinesi uccisi e oltre un centinaio feriti, soltanto nelle ultime 24 ore. Al Jazeera riporta che ieri un attacco aereo dell’esercito israeliano ha colpito le aree orientali di Gaza City e un altro ha abbattuto un’abitazione nel campo profughi di Jabaliya, a nord. Ancora a Jabaliya, diversi palestinesi sono rimasti feriti in un bombardamento israeliano all’ingresso della scuola Halima al Sadia, che ospita alcuni sfollati. La distruzione delle infrastrutture civili non accenna a rallentare: l’agenzia di stampa palestinese Wafa registra almeno quattro vittime nell’attacco a una casa nel quartiere di Al Manshiya, a Beit Lahiya.
ANCHE IL RESTO della Striscia continua a essere bersaglio dell’esercito israeliano, che pure avrebbe istituito nel centro e a sud la «zona umanitaria», dove si rifugiano la
maggior parte degli sfollati provenienti da nord. Nell’area centrale di Gaza: otto palestinesi uccisi in una casa vicina alla clinica Al Daraj, e due morti nel campo profughi di Nuseirat. A sud un bombardamento ha colpito le tende di un gruppo di sfollati a Khan Younis, uccidendo due persone. E mentre si avvicina l’ultimatum degli Stati uniti, che hanno chiesto all’alleato Israele di frenare la crisi umanitaria a Gaza entro la metà del mese, pena le restrizioni agli aiuti militari, l’esercito di Tel Aviv fa sapere che non permetterà ai residenti evacuati dal nord della Striscia di tornare alle loro case.
Itzik Cohen, comandante della 162esima divisione, ha dichiarato ai giornali che «non c’è e non ci sarà alcun ritorno a nord», contraddicendo le dichiarazioni di Israele delle ultime settimane, che assicurava di non voler attuare il «piano dei generali». Ma quando Cohen dice che «a nord non ci sono più residenti», specificando che circa 55mila persone da Jabaliya sono fuggite a sud, al completamento del piano mancherebbe soltanto dichiarare il territorio settentrionale una zona militare chiusa. A conferma di queste intenzioni, l’esercito israeliano ha dichiarato di voler riaprire il valico di Kissufim nel centro di Gaza, per aumentare il flusso di aiuti verso l’estremità sud della Striscia.
NEL FRATTEMPO decine di uomini e donne giordani hanno intrapreso uno sciopero della fame per fare pressione sul loro governo. Chiedono «la chiusura dei valichi giordani alle merci dirette all’occupazione israeliana, fino a quando non saranno consegnati sufficienti aiuti medici e umanitari alla Striscia di Gaza settentrionale», come ha dichiarato lo scioperante Mohammed Awda a Middle East Eye. Gli attivisti vogliono che almeno 500 camion di aiuti entrino a Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun e all’ospedale Kamal Adwan. Interrompendo la vendita delle armi, Stati uniti, Germania e Gran Bretagna potrebbero influenzare le azioni di Israele, ha detto ieri Tirana Hassan, direttrice di Human rights watch (Hrw): «Sanno che queste armi vengono usate per commettere crimini di guerra, allora questo dovrebbe essere sufficiente per fermare le vendite».
DAL 7 OTTOBRE 2023, 43.469 persone uccise e 102.561 ferite, secondo il ministero della sanità palestinese. E mentre il ritmo della morte prosegue incessante, il rapporto delle Nazioni unite ribadisce che gli attacchi contro i civili «commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, possono costituire un genocidio». Su questa scia, l’Irlanda fa sapere che intende unirsi alla causa del Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia