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Il decreto. Il governo approva il provvedimento che recepisce i due quesiti referendari. La segretaria Camusso: «Un grande successo, ma va convertito in Parlamento». Il ministro Poletti: «Confronto con le parti sociali su un nuovo strumento per il lavoro occasionale»

Il governo ha abolito per decreto i voucher e ristabilito la responsabilità sociale negli appalti: il provvedimento, varato ieri dal consiglio dei ministri, ricalca i due quesiti del referendum indetto dalla Cgil. Ci sono tutte le condizioni, quindi, perché il 28 maggio non si voti più: ma ovviamente la consultazione resta in piedi fino a quando lo stesso decreto non verrà convertito dal Parlamento. Il premier Paolo Gentiloni ha spiegato che «sarebbe stato un errore dividere il Paese nei prossimi due mesi», mentre la segretaria Cgil Susanna Camusso, incassando quello che ha definito «un grande successo», ha comunque chiarito che «finché non sarà approvata una legge, la campagna di mobilitazione va avanti». Inclusa, tra le altre iniziative, la manifestazione nazionale dell’8 aprile a Piazza del Popolo.

«IL CONSIGLIO dei ministri – ha spiegato Gentiloni – ha approvato un decreto che abroga le norme sui voucher e sugli appalti, oggetto di referendum il prossimo 28 maggio. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che l’Italia non aveva certo bisogno nei prossimi mesi di una campagna elettorale su temi come questi e che questa decisione è coerente con l’orientamento maturato nelle ultime settimane in Parlamento». «Dividere nei prossimi mesi il Paese – ha proseguito il presidente del consiglio – sarebbe stato un grave errore per l’Italia. La nostra decisione azzera e in un certo senso apre una fase nuova».

IL GOVERNO STAREBBE già studiando uno strumento sostitutivo, o potremmo dire “compensativo” (se pensiamo alle proteste di parte della maggioranza, l’Ncd, e delle imprese): «Useremo le prossime settimane per rispondere a una esigenza che certamente l’eliminazione dei voucher non risolve – ha concluso Gentiloni – per una regolazione seria del lavoro saltuario e occasionale».

C’è chi parla di tradurre nel mercato italiano i mini-jobs tedeschi o i voucher alla francese, o chi pensa a un rafforzamento del lavoro a chiamata, rimuovendo le attuali limitazioni per fasce d’età. Sarà comunque essenziale non sovrapporre o confondere (come già si è fatto nelle ultime settimane) le esigenze delle famiglie con quelle delle imprese, e le tutele di cui dovrebbe essere dotato in ogni caso il prestatore.

LA CGIL HA UNA sua idea per la regolamentazione del lavoro accessorio o occasionale: è contenuta negli articoli 80 e 81 della Carta dei diritti universali del lavoro: si chiama «lavoro subordinato occasionale» e prevede – accanto alla inevitabile flessibilità dello strumento – comunque l’esistenza di un contratto e le tutele e i diritti base del lavoro dipendente. La platea dei prestatori è molto limitata (studenti, inoccupati e disoccupati, pensionati) come sono contingentate le attività di applicazione (lavoretti domestici saltuari o piccoli eventi organizzati da privati).

Il decreto varato ieri dispone lo stop immediato della vendita dei tagliandi, mentre quelli che sono stati già acquistati potranno essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, dal canto suo, ha negato che la decisione possa rappresentare un cambio di passo rispetto al Jobs Act: «Non c’è stata nessuna gara con la Cgil – ha spiegato – e non è previsto un cambio di passo nelle politiche del governo sul lavoro perché i voucher non erano materia del Jobs Act». Ma è abbastanza evidente che la scelta è da attribuire tutta al Pd, azionista di maggioranza dell’esecutivo, e in particolare all’ex premier Matteo Renzi: ha voluto evitare una seconda batosta da referendum dopo quella del 4 dicembre, ma in questo modo tenta anche di recuperare consensi nel grande popolo della Cgil e delle persone che lavorano.

IL MINISTRO POLETTI ha annunciato che «per la messa a punto di un nuovo strumento che risponda alle necessità del lavoro occasionale, verrà aperto al più presto il confronto con le parti sociali». Un punto di vista coincidente con quello della Uil, che con Carmelo Barbagallo chiede «un accordo con il governo, dopo che l’abolizione dei voucher, risolvendo un problema, ha creato uno scompenso». La Cisl, polemicamente, nota invece che il l’esecutivo ha preso «una decisione tutta politica e incomprensibile».

Hanno ribadito la loro contrarietà tutte le associazioni di impresa: Confindustria, Confcommercio, Confagricoltura, Coldiretti, Confapi.

NEL DECRETO è stato risolto, come detto, anche il nodo appalti: «Con riferimento alla disciplina in materia di appalti di opere e servizi- spiega la nota diffusa da Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri – il provvedimento mira a ripristinare integralmente la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per garantire una miglior tutela in favore dei lavoratori impiegati».

 

 

 

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Segnaliamo l'appello, molto critico sulla bozza di legge urbanistica regionale. promosso da 

Ilaria Agostini, Pier Giovanni Alleva, Rossanna Benevelli, Jadranka Bentini, Antonio Bonomi, Paola Bonora, Sergio Caserta, Piero Cavalcoli, Pierluigi Cervellati, Mauro Chiodarelli, Vezio De Lucia, Paolo Dignatici, Marina Foschi, Mariangiola Gallingani, Michele Gentilini, Giulia Gibertoni, Giovanni Losavio,Tomaso Montanari, Cristina Quintavalla, Ezio Righi, Giovanni Rinaldi, Piergiorgio Rocchi, Edoardo Salzano, Maurizio Sani, Sauro Turroni, Daniele Vannetiello

pubblicato sul manifesto Bologna, oltre che sul manifesto cartaceo, a seguito della giornata seminariale svolta a Bologna il 3 febbraio "Fino alla fine del suolo".

LEGGI TUTTO SU il manifesto bologna

 

La giunta dell’Emilia-Romagna il 27 febbraio ha deliberato il disegno di una nuova legge urbanistica regionale, proponendolo all’approvazione dell’Assemblea legislativa. Secondo l’assessore alla programmazione territoriale Raffaele Donini, che l’ha presentata, la nuova legge sarebbe fondamentale per affermare il principio del consumo di suolo a saldo zero, promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione degli edifici, semplificare il sistema di disciplina del territorio, garantire la legalità. Sono slogan che mascherano l’obiettivo essenziale del disegno di legge, ovvero l’impianto di un regime privilegiato a favore delle iniziative immobiliari private.

Proclamando risparmio di suolo e qualificazione urbana, la legge va in senso opposto. Il limite del tre per cento posto all’espansione dei territori urbani, già in sé molto elevato, è aggiuntivo, non alternativo all’ulteriore occupazione di suolo che i piani urbanistici ammettono. E l’«addensamento» indiscriminato, concepito e ribadito come unico modo della rigenerazione urbana, non promette qualità, ma ecomostri.

La realizzazione di nuovi insediamenti residenziali, produttivi, commerciali, e le operazioni di addensamento e rigenerazione urbana mediante la demolizione e ricostruzione di edifici o di interi isolati, sarebbero esenti da qualsiasi condizionamento e disciplina urbanistica cogenti, e interamente rimesse ad «accordi operativi» congegnati a esclusivo vantaggio della parte privata.

Ai comuni sarebbe tassativamente vietato disporre una disciplina urbanistica cogente per i nuovi insediamenti e per la «rigenerazione» di parti urbane. Esautorati dai poteri di pianificazione urbanistica e obbligati a raggiungere l’accordo con i privati entro scadenze brevi e perentorie, i comuni non avrebbero modo di impedire né selvagge intensificazioni in aree urbane già congestionate, né lo sparpagliamento di strutture commerciali, stabilimenti industriali, insediamenti residenziali attorno ai centri urbani. E per di più sarebbero defraudati di contributi oggi dovuti per questo genere di iniziative dai privati proprietari, che la proposta di legge intenderebbe invece esonerare, in tutto o in parte secondo i casi.

Le implicazioni per le centinaia di comuni di minore dimensione nella nostra regione, e per sistemi insediativi policentrici o diffusi, come nelle realtà montane, sono totalmente ignorate.

Sostanzialmente invariata resterebbe invece la condizione delle trasformazioni diffuse del patrimonio edilizio esistente. L’adeguamento di abitazioni, capannoni, uffici e negozi alle esigenze di famiglie e attività economiche resterebbe soggetto alle consuete e non sempre razionali limitazioni disposte dalla disciplina urbanistica ed edilizia, e ai consueti oneri.

L’autentico intento dalla proposta legge sta dunque nell’impianto di un doppio regime urbanistico, in cui le iniziative immobiliari poste in atto da imprese di costruzione e promotori godrebbero di privilegi e arbitrio inusitati, lasciando le esigenze di famiglie e attività economiche soggette ai vecchi dispositivi, del cui rinnovamento è in certa misura avvertita la necessità, ma non sono nemmeno intravisti i modi.

Con queste finalità il disegno di legge non esita a porsi in frontale contrasto con l’ordinamento nazionale, e violare con ciò la Costituzione. La diffusione di leggi analoghe in altre regioni andrebbe a soverchiare i fondamentali istituti di tutela e disciplina del territorio nel nostro paese, dalla periferia riuscendo in ciò che ripetuti tentativi parlamentari hanno fallito.

Non serve una nuova legge urbanistica regionale. La legge 20/2000, dall’origine mal compresa, peggio attuata e poi variamente pasticciata, ha certamente bisogno di una robusta rielaborazione, ma per fermare il dispendio di suolo e qualificare il territorio, in particolare quello urbano, servono buone politiche di cui i comuni siano attori principali, con rinnovati strumenti e nel quadro di solidi riferimenti nel piano territoriale regionale e nei piani di area vasta. La consegna del territorio agli interessi della speculazione fondiaria va in senso del tutto opposto.

 

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Sabato 25 Febbraio 2017 - da faenzanotizie.it

Folta e appassionata l'assemblea della Strocchi. Molti i militanti in bilico, che non sanno ancora decidere se restare nel PD o andare via come Vasco Errani

Vasco Errani se ne va. La conferma è arrivata oggi. Lascia il PD che aveva contribuito a fondare 10 anni fa, perchè lui "ci aveva creduto a quel progetto". Lo fa con garbo, con passione, senza rancore, con una bella lezione di buona politica davanti a due-trecento persone assiepate nella storica sezione Strocchi, la sua sezione. Lo fa dicendo a chiare lettere che non se ne va per ragioni di leadership o di date di un congresso o di statuto, se ne va perché il "progetto del PD di far nascere una nuova cultura politica di centrosinistra è sostanzialmente fallito."

Ma siccome il gruppo dirigente del PD attuale non vuole ragionare di questo fallimento, lui si vede costretto a uscire e a imboccare un’altra strada. Sottolinea con forza che non capisce più dove Renzi voglia portare il PD e aggiunge “non sono disponibile a percorrere una strada per andare in un posto dove non voglio andare”. Insomma, Vasco Errani si mette in movimento per un nuovo progetto e per una nuova sinistra, che rappresenti chi oggi è escluso e non rappresentato, ma non un nuovo partito, “non lo voglio fare e non lo farò”, dice.

Il PD discute del nulla o si scinde sul nulla? Come dichiara dalla California – con scarsa eleganza – l’ex segretario del partito Matteo Renzi. Qui la sostanza a onor del vero c’è tutta. Nel catino della Strocchi stracolmo, c'è realtà concreta, c'è un pezzo di popolo, e soprattutto va in scena in un sabato pomeriggio di fine febbraio tutto il dolore, lo smarrimento, lo psicodramma dei militanti del Partito Democratico che non capiscono più il loro partito e il loro leader, che non sanno se restare o andare via, che sono con il cuore fuori e con la testa dentro, perchè non sanno dove andare a sbatterla quella testa. Letteralmente.

Ma veniamo alla cronaca della giornata. Annunciata con grande clamore mediatico dopo la scelta di Errani di venire qui a spiegare le ragioni di un probabile addio, l’assemblea degli iscritti e militanti autoconvocati della Strocchi diventa ben presto l’assemblea di Errani e di un amore ferito ma non spezzato. Ci sono anche le tv e tanti giornalisti. Pacche sulle spalle, baci, abbracci. Occhi lucidi e voci strozzate. È una storia collettiva che va in pezzi, qualunque cosa succeda. E sono tante storie personali in grandissima sofferenza. Molti sperano che Errani – almeno lui – ci ripensi, che ci sia un colpo di scena finale. E provano a dirglielo in tutte le maniere. Ma lui tiene il punto, fino alla fine. Perché il problema non è solo o tanto Renzi, il problema è il fallimento di un progetto. E lui da lì vuole cominciare e ripartire. Da un’altra parte, perché dentro il PD non è più possibile. Magari con la gente del PD, quello sì, e a quella gente dice – “ci ritroveremo, ne sono sicuro” - ma non più dentro la struttura del PD. Non c’è più spazio. 

 A Roma, Bersani e gli altri hanno annunciato un movimento, non un partito, che si chiamerà Democratici Progressisti, DP. È PD all'incontrario, basta solo invertire le lettere dell’acronimo. Potevano essere almeno più originali. Ma non è più questione di sigle o di nomi. È questione di sostanza, di carne e sangue di un popolo di sinistra che non si sente più rappresentato e che anche alla Strocchi viene a raccontarsi, a fare autocoscienza, e viene ad ascoltare Vasco Errani, uno che invece i militanti li ha saputi ascoltare, rappresentare, governare. Uno che conoscono bene e di cui si fidano.

 Lui arriva alle 14.28 puntualissimo e scatta subito l’applauso. Passano 15 minuti e comincia l’assemblea. Ci sono tre ex parlamentari – Mercatali, Albonetti, Preda – ma mancano i parlamentari in carica Pagani, Collina e Idem. Ci sono due ex consiglieri regionali Fiammenghi e Mazzotti. Non ci sono quelli in carica. Ci sono diversi consiglieri comunali (Turchetti, Campidelli, Mantovani) ma molti della maggioranza mancano; ci sono tre Assessori – Baroncini, Morigi e Bakkali – ma non ci sono gli altri. Non ci sono i Sindaci più importanti. Né de Pascale, né Malpezzi, né Ranalli, né Coffari. E non c’è nemmeno la segretaria provinciale del PD Proni. Noi non l'abbiamo vista.

Ma non è una conta fra chi va e chi resta. Fra chi sta con uno e chi con l’atro. Perché alla fine nessuno sa bene cosa fare e molti – con la faccia stravolta – dicono che non sanno ancora quale scelta faranno.

 

È un partito strano il PD, dove i massimi dirigenti locali non vanno a un’assembla di popolo PD vera, forte, intensa, appassionata come quella della Strocchi. Non vanno ad ascoltare Vasco Errani che fino a ieri – fino ad oggi e forse lo sarà anche domani – era uno dei dirigenti più amati e stimati della sinistra ravennate. Sembra quasi che chi ha una posizione, qualcosa da perdere e da difendere si tenga alla larga da questa assemblea. Solo chi non ha nulla da perdere o un po’ di coraggio si espone e viene qui ad ascoltare, a capire cosa bolle nella pancia del partito.

Cominciano gli interventi. E va in scena lo spaesamento della base che non si ritrova più nelle scelte dei vertici del partito. Che attacca Renzi e le sue scelte, dai voucher al referendum. Che non risparmia critiche al leader che sembrava fino all'altro giorno invincibile e che si riscopre invece debole, quasi un re travicello a cui tutti addebitano di tutto. Persino uno strano viaggio in America mentre la casa comune brucia.

Introduce Luca Ortolani ed è un pesante j’accuse alle scelte del PD e al suo leader. Poi tocca a Luigi un ragazzo di 20 anni che parla del dramma dei voucher e dichiara candidamente che non sa cosa fare, non sa se restare o andare via. Prende la parola Marco Turchetti - segretario del circolo e consigliere comunale - che annuncia di restare, per ora, anche perchè lui è sempre stato in minoranza e stare in minoranza non gli fa paura. Prende la parola Ivan Fuschini e parla di unità, poi Ilaria, una ragazza, che ricorda come la crisi venga da lontano e si sia rotto il senso della comunità nel PD; anche lei non sa cosa farà.

Un appello affinchè tutti restino è quello di Lorenzo, segretario del circolo Casadei Monti, che riecheggia i temi cari alla maggioranza renziana del partito e raccoglie un tiepido applauso. Assai più forti gli applausi per un "vecchio" dirigente come Gilberto Coffari, già Sindaco di Cervia e poi a capo della Lega delle Cooperative di Ravenna, che da due anni non prende più la tessera del PD e attacca Renzi e quella parte dei democratici che vuole rompere ed espellere dal partito la tradizione di sinistra. E se vogliono fare questo, allora questa non è più casa mia, conclude. Non cambia il filo rosso dell'assemblea con l'intervento del giovane Antonio Domenico Esposito, mentre il medico Minardi fa un appello in extremis a Errani e quasi gli intima di fermarsi, di non andare via. Ma è tardi. Vasco Errani prende la parola e conferma che se ne va, inesorabilmente. Come abbiamo detto, lo fa senza recriminazioni, senza rancori, senza strepiti, senza accuse facili. Lo fa ragionando di politica e spiegando perchè lui ricomincia da un'altra parte, perchè non è più possibile farlo dentro il PD.

LA LEZIONE DI VASCO 

Errani spiega che questa assemblea per lui è una parentesi, che prima e dopo tornerà ad accuparsi solo del terremoto. E precisa che la scelta personale annunciata in questa occasione non c'entra nulla con il terremoto. Sentiva che c'era bisogno di spiegare le sue ragioni e voleva farlo nel suo circolo. Perchè "non me la sono sentita di prendere la comoda posizione di stare nascosto" dice. Il momento è troppo difficile per non fare scelte importanti. "Ma non mi interessa qui ragionare delle responsabilità o sulle colpe di questa situazione: è una cosa troppo mediocre che non voglio fare", ha detto. Così come ha aggiunto che detesta la deriva che sembra farsi strada nel PD, tutta legata a questioni di mera leadership e di potere.

"Non ho contestato la leadership di Renzi. - sostiene Errani, che ha condotto un'analisi spietata della crisi di un partito sempre più slegato dal paese reale e sempre più autoreferenziale - Non l'ho vissuto come un intruso. Ho lavorato per la sintesi fra le varie anime del partito. Ma oggi cosa siamo diventati? Non ci ascoltiamo più fra noi e soprattutto non ascoltiamo più il paese. Non capisco più quale sia la nostra cultura, chi vogliamo rappresentare, dove vogliamo andare e io non voglio più dare deleghe in bianco a nessuno." A queste parole c'è stato un grande applauso liberatorio della sala.

Poi Errani ha ripercorso alcune tappe della storia del PD, con il superamento "necessario" di DS e Margherita con l'obiettivo di fondere le due culture politiche per creare una nuova cultura di governo di centrosinistra: ma quel progetto è fallito, ha detto. La sfida ora è "quella di un nuovo progetto, di una nuova cultura per dare risposte nuove ai problemi del nostro pease: una risposta a chi è escluso, a chi è tagliato fuori, ai quattro quinti della società che soffrono colpiti dalla crisi e dalle trasformazioni della globalizzazione non ben governate".

Secondo Errani lo scontro appare oggi fra chi è incluso e chi è escludo e "se il PD viene percepito dalla parte di chi è incluso e protetto, dalla parte dell'establishment allora il PD è finito", ha chiarito. C'è una nuova destra sovranista in Europa e c'è Trump che vince in America. Quella vittoria ci interpella, dobbiamo chiederci perchè? dice l'ex governatore dell'Emilia Romagna. Se Trump vince vuol dire che c'è un vuoto di cultura e di risposta politica della sinistra, che non sa più parlare ai ceti più deboli e agli esclusi: "Non possiamo più rispondere con il mantra del liberismo e della flessibilità. Serve un progetto radicale, che dia risposte agli esclusi e colpisca la rendita che non produce ricchezza sociale. Serve un nuovo welfare inclusivo, welfare che non è un costo ma sarà l'economia del futuro."

Alla fine, la conferma: "Non voglio fare un nuovo partito e non lo farò. Ma voglio portare avanti queste idee. Voglio costruire un movimento per un nuovo campo di idee del centrosinistra. Nessuno ha l'esclusiva della sinistra, anche perchè la sinistra non è nostalgia del passato, ma deve reinventarsi per il futuro." E poi ha aggiunto: "Vado verso una nuova avventura. Non è facile. Non è un addio. Sono sicuro che ci rivedremo."

Ecco, è finita. Applausi. Tanti abbracci. Molta commozione. E tutta l'incertezza sul volto di militanti e iscritti: che si fa? Restiamo ancora? O andiamo via anche noi? La domanda è sempre quella. In definitiva, quanti dei convenuti alla Strocchi seguiranno Errani nella nuova avventura non si sa. È presto, troppo presto per dirlo.

 

A cura di P. G. C. 

 

 

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Referendum Cgil. Il segretario Fiom vede un filo rosso che lega il voto su voucher e appalti a quello sulla Costituzione: «Ma Gentiloni fissi la data». Il Pd? Si è diviso perché non ha affrontato fino in fondo i temi del lavoro.

«Noi continuiamo a chiedere al governo, ogni giorno, che venga fissata la data dei referendum. E che venga accorpata a quella delle amministrative, perché significherebbe anche un risparmio di spese per i cittadini». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, è impegnato già da diverse settimane nella campagna per sostenere i due quesiti su voucher e appalti, come d’altronde lo sono i colleghi sindacalisti, a partire da Susanna Camusso.

Pensate che il quorum sia a portata di mano?

Non ci nascondiamo che non è un obiettivo facile, scontato. Bisogna portare a votare 26 milioni di persone: i segnali che vedo, però, sia dal mondo del lavoro, ma più in generale anche dai giovani, dagli stessi imprenditori, mi confortano. Adesso però è importante che il governo fissi una data, come ho detto, e che possibilmente coincida con le prossime elezioni amministrative.

Quindi anche alcuni imprenditori sarebbero interessati a partecipare al voto?

Parlo ovviamente di quelli che puntano sugli investimenti e l’innovazione, sulla qualità del lavoro: imprese che fanno concorrenza sleale tramite l’uso smodato dei voucher e gli appalti al massimo ribasso rappresentano per loro uno degli ostacoli maggiori.

Insomma confidate nella voglia di partecipare.

Beh, se ragioniamo sul referendum del 4 dicembre, dove sono andati a votare quasi il 70% degli aventi diritto, la possibilità c’è. E ricordo che si è trattato di sei milioni in più di v otanti rispetto alle elezioni europee: persone che evidentemente non si sentivano rappresentate da nessun partito, hanno poi deciso di esprimersi sulla Costituzione. Era anche un esplicito voto di dissenso rispetto alle scelte economiche e sociali del governo Renzi.

E rispetto al governo Gentiloni? Secondo voi deve durare fino a fine legislatura per affrontare i dossier più urgenti? Magari anche i vostri?

Il mio problema non è la durata, ma cosa fa. Se volesse potrebbe fare una legge che cancelli i voucher e una nuova normativa sulla responsabilità solidale negli appalti. C’è il problema delle pensioni, di far ripartire gli investimenti. E a fine anno si riapre la discussione sul Fiscal compact: dobbiamo ripensare quei vincoli che ci hanno addirittura portato a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, riuscire a scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti. Un altro nodo è il reddito di dignità. E infine una riforma seria degli ammortizzatori sociali: è assurdo che a una impresa costi di più ricorrere alla cassa integrazione o al contratto di solidarietà che non fare dei licenziamenti.

Il dibattito riaperto a sinistra, dalla nascita di Sinistra Italiana alla scissione del Pd, è interessante per chi lavora? Si prepara a vostro parere più un nuovo Ulivo o un secondo Patto del Nazareno?

Io parto sempre dall’autonomia del sindacato, e mi pare che la Fiom e la Cgil – con i due referendum e la Carta dei diritti universali del lavoro – l’abbiano dimostrata in pieno. Se poi posso dire la mia sul Pd, mi pare che la scissione venga proprio dal non aver voluto affrontare fino in fondo il tema del lavoro e della condizione delle persone che lavorano. C’è una domanda di unità, oggi, nel Paese: abbiamo fatto un contratto unitario con Fim e Uilm, introducendo elementi di innovazione importanti. Nessuno di noi ha rinunciato alle sue idee, ma abbiamo trovato un compromesso con le imprese. E soprattutto Federmeccanica ha accettato che l’accordo è valido dopo che la maggioranza dei lavoratori lo ha approvato.

Tra un anno la Cgil riunirà il congresso, e presto la Fiom dovrebbe entrare in segreteria confederale. State convergendo su tutti i temi? Su partecipazione, elezione dei dirigenti, pratiche d’azione?

Mi pare che il percorso di referendum e Carta – mi ripeto – dimostri una convergenza. Poi io vorrei discutere di temi come la riduzione del numero dei contratti, di una rappresentanza più ampia di tutte le forme di lavoro, come estendere e redistribuire il lavoro, come far partecipare di più i nostri iscritti, le delegate e i delegati.

 

 

 

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La Grecia ha intrapreso la strada per uscire dalla crisi. Il Fmi e la Commissione Europea pretendono nuove misure di austerità per dopo il 2018, peraltro in contraddizione tra di loro, che non sono previste né dai Trattati europei né nella costituzione di nessun paese al mondo, e per questo assolutamente ingiuste, dannose ed inaccettabili. Non solo la Grecia, ma anche altri Paesi, subiscono le conseguenze nefaste delle politiche di austerità,  nuove richieste di sacrifici e contro riforme.
 
Sessant’anni dopo la firma dei Trattati di Roma, l’Europa deve tornare alle sue radici democratiche, di pace, di solidarietà e di giustizia sociale. L’Europa deve riprendere il processo di integrazione, all'insegna di unità e solidarietà. Ciò significa archiviare la stagione dell'austerità con le sue ricadute negative, oltre che mettere in discussione la cultura del Patto di stabilità e del Fiscal Compact. 

L’austerità ha scatenato la frammentazione dell’Europa, ha sfregiato le costituzioni democratiche con l’assurdo Patto di stabilità, ha creato disoccupazione di massa in tanti paesi, impoverimento e marginalizzazione. 
L’Europa non deve tornare nei suoi nazionalismi egoistici, i fili spinati, la divisione dei suoi popoli e dei suoi lavoratori, la xenofobia e il razzismo.
L’Europa deve e può uscire dalla crisi unita e solidale cambiando politica e riscrivendo i Trattati ingiusti, creando un grande programma di investimenti pubblici e privati per far ripartire le sue economie e creare posti di lavoro veri per la prosperità di tutti i suoi cittadini.
 
È necessario che l'Europa avvii una politica di contrasto al dumping salariale e sociale e faccia di questo il fondamento del Pilastro europeo dei diritti sociali attualmente in discussione, rilanciando un'idea di welfare inclusivo e di protezione sociale su scala continentale. Si tratta di scelte urgenti soprattutto per restituire speranza e fiducia nel futuro si giovani europei.
 
Facciamo un appello a tutte le forze democratiche a prendere posizione e a mobilitarsi e al governo italiano di sostenere la Grecia nella riunione dell’Eurogruppo del 20 di febbraio e chiediamo che già il Consiglio Europeo del 25 di marzo per il 60° anniversario dei Trattati istitutivi dell’UE sia l'occasione per rivendicare un’Europa diversa e migliore, quella dei suoi popoli e dei suoi principi democratici.
 
L’Europa, il suo e il nostro futuro, sono nelle nostre mani!
 
·            Susanna Camusso, segretario generale CGIL
·         Francesca Chiavacci, presidente ARCI
·         Andrea Camilleri, scrittore, sceneggiatore e regista
·         Stefano Rodotà, giurista, politico ed accademico
·         Vezio De Lucia,  urbanista                          
·         Luigi De Magistris, sindaco di Napoli 
·         Olga Nassis, presidente delle comunità greche in Italia
·         Renato Accorinti, sindaco di Messina
·         Monica Di Sisto, giornalista, campagna contro il TTIP
·         Anna Falcone, avvocato, costituzionalista
·         Paolo Favilli, storico
·         Carlo Freccero, c.d.a RAI
·         Tomaso Montanari, storico dell’arte, vicepresidente di Libertà e Giustizia
·         Moni Ovadia, attore teatrale, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante
·         Marco Revelli, storico, sociologo e politologo 
 
 
 
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Accumulava conoscenze ed esperienze, Ivan Cicconi. Ma non erano finalizzate ad aumentare le sue possibilità lavorative o per costruire relazioni. Al contrario Ivan si impadroniva dei meccanismi più reconditi e apparentemente incomprensibili del sistema degli appalti pubblici in Italia e lo dipanava a favore di tutti. Di tutti coloro che non avevano avuto come lui la fortuna di studiare. Era insomma un grande intellettuale divulgatore di idee che aumentavano il livello delle coscienze, che aiutavano a comprendere i meccanismi con cui il paese corrotto degli anni ’90 ha spolpato l’Italia.

L’esperienza che cambia la vita del bravo ingegnere avviene infatti negli anni ’90 quando solo poche persone riescono a comprendere la logica mostruosa delle grandi opere e in particolare della realizzazione dell’alta velocità ferroviaria. Ivan si butta fino in fondo nella mischia, studia con sistematicità le procedure, gli affidamenti, le scorciatoie e infine denuncia il gigantesco buco nel bilancio dello Stato creato dalla scelta scellerata di affidare appalti miliardari senza trasparenza.

Un titolo per tutti. Nel 1998 pubblica La storia del futuro di tangentopoli, un libro fondamentale per comprendere in anticipo la spirale che si sarebbe aperta nel paese. Ma proprio in quegli anni la politica abbandona per bassi interessi economici e imprenditoriali – denunciati alla perfezione da Ivan – le battaglie sui principi che devono regolare lo stato di diritto. Cicconi, e tanti altri come lui, rimangono orfani della sinistra che sapeva denunciare malefatte e costruire alternative.

Ma la solitudine fu passeggera. Dopo una breve parentesi nel 2000 al ministero dei Lavori pubblici con il ministro Nerio Nesi, inizia la fase del rapporto profondo con i tanti comitati di cittadini che lo chiamavano per denunciare misfatti ma soprattutto per avere da lui la spiegazione strutturale che aveva generato quelle mostruosità. Dalla Val di Susa, allo scempio della Quadrilatero che interessava le sue amate Marche, dalla Firenze del tunnel ferroviario inutile, alla follia del Mose, Ivan sarà il punto di riferimento per centinaia di luoghi e migliaia di cittadini. Fino all’altro saggio fondamentale per comprendere l’Italia di oggi, quel Libro nero dell’alta velocità pubblicato nel 2011. Ed è questa l’eredità più bella di un uomo generoso che ha incontrato e amato l’Italia migliore fornendo strumenti per le lotte. Una vita spesa bene quella di Ivan Cicconi.

 

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