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Ursula von der Leyen disegna la nuova Commissione europea a sua immagine. Rigida in economia, in frenata sul Green deal e dura sull’immigrazione. L’ideale per allargare ai conservatori, con l’Italia a fare da battistrada. E cresce il peso dei paesi dell’Est

Fianco destro Oscilla tra europeismo e sovranismo la Commissione presentata da Ursula von der Leyen. Rigidità sui conti e niente sociale

Ursula von der Leyen presenta la nuova Commissione europea foto di Mathieu Cugnot Ursula von der Leyen presenta la nuova Commissione europea – foto di Mathieu Cugnot

Una Commissione molto più a destra di quella precedente, situazione che dipende dai colori dei governi dei 27, a cui si è adeguata con grande agio la presidente Ursula von der Leyen, che oggettivamente aumenta il suo potere personale di esponente del Ppe, anche grazie alla debolezza dei due grandi in Consiglio, la Francia in piena crisi politica e la Germania con il governo Scholz incalzato dalle destre.

È una Commissione liquida, con attribuzioni fluide e spezzettate, che si incrociano, dove a qualche apertura si affianca immediatamente la chiusura, all’europeismo il sovranismo. Il compito della nuova Commissione sarà di rispondere all’angoscia del rischio della «lenta agonia» indicato dal rapporto Draghi: la scelta di bilanciare le appartenenze politiche, mettendo sempre un guardiano pro business per temperare eventuali velleità sociali, segnala la volontà di sacrificare sull’altare della riconquista della competitività regole e protezioni.

L’esempio più chiaro è la transizione climatica: il clima è bilanciato tra la socialista spagnola Teresa Ribera alla Transizione, grande lottatrice che è stata anche negoziatrice Onu sull’ecologia, e l’olandese Wopke Hoekstra al Clima, un rigido ex ministro delle Finanze “frugale”. Per l’Energia c’è il danese socialdemocratico Dan Jørgensen e all’Economia circolare la svedese (partito dei moderati) Jessika Roswall, una seconda scelta per Stoccolma. Le cariche dedite alla spesa sono sotto controllo del polacco Piotr Serafin, esponente del più grosso paese a guida Ppe, molto apprezzato dai “frugali”, che avrà un rapporto diretto con Ursula von der Leyen per tenere stretti i cordoni della borsa.

L’EST è in netta crescita di importanza e la prima certezza, con lo spostamento del potere dalla «vecchia Europa», è la conferma dell’appoggio all’Ucraina: accanto a Kaja Kallas (Estonia, ex prima ministra e candidata sfortunata alla segreteria Nato), che alla Politica estera sostituisce Josep Borrell – e si esporrà anche molto meno a favore dei palestinesi – c’è un

altro esponente dell’est, il lituano Andrius Kubilius, che va alla Difesa, un nuovo posto creato a causa della guerra (che però non ha per il momento ancora un’importanza di primo piano). Alla Sovranità, Sicurezza e Demografia, con una vice-presidenza, c’è la finlandese Henna Virkkunen, molto vicina a von der Leyen. L’Allargamento (Balcani occidentali, ma anche Moldavia e Ucraina) va alla slovena Marta Kos (con ritardo di conferma da parte di Lubiana), mentre la croata Dubravka Suica occuperà il nuovo posto dedicato al Mediterraneo, relazioni diplomatiche ma anche competenze sull’immigrazione, dove il controllo dei flussi è affidato al falco austriaco Magnus Brunner. Von der Leyen lo ha voluto esplicitamente al «rafforzamento dei nostri confini» e lui ha subito detto che «in Austria stiamo vincendo la battaglia contro l’immigrazione illegale», non disdegnando di guardare al modello inglese delle deportazioni. Non a caso l’immigrazione è il terreno di elezione per sperimentare lo spostamento dell’asse della Commissione ancora più a destra in direzione dei Conservatori di Giorgia Meloni.

Sulla carta, il sud ha avuto la sua parte, la Coesione e le Riforme all’Italia (ma Fitto è un esponente di Ecr, partito che si è sempre opposto alle riforme), un ruolo importante per la socialista spagnola Ribera, i Servizi finanziari alla portoghese Maria Luís Albuquerque, una ex ministra delle Finanze che si è fatta conoscere per i tagli al welfare e per l’imposizione di una severa austerità nel 2013-15 e che ora avrà il compito di portare avanti la creazione del mercato dei capitali.

LA FRANCIA, che per tradizione fa da ponte tra sud e nord, ottiene per Stéphane Séjourné, stretto collaboratore di Macron, la Prosperità e la Strategia industriale (ma perde il controllo sul Digitale, che aveva il predecessore Thierry Breton e che ora passa alla finlandese Virkkunen). Benché uno dei vice-presidenti, Séjourné dovrà fare i conti con il polacco Serafin e con la stessa von der Leyen. Che ha provato ad avere una Commissione paritaria ma si è fermata al 40% di donne malgrado abbia ottenuto di far cambiare le proposte di alcuni paesi, soprattutto piccoli. Alla fine però per le donne ci sono 4 vice-presidenze e 2 per gli uomini: 3 ex perdono questa posizione, tra cui lo slovacco Maros Sefcovic che si consola con l’importante carica del Commercio e Valdis Dombrovskis, all’Economia e Produttività, che dovrà condividere con Fitto il controllo sull’andamento e la conclusione del NextGenerationEu. Sarà ancora lui, in posizione chiave, a calmare le inquietudini dei mercati e le ansie dei “frugali” e con lui sarà più duro per i paesi sotto procedura di deficit eccessivo negoziare qualche flessibilità. Von der Leyen è riuscita anche a liberarsi dei vecchi commissari più intraprendenti e ingombranti, il francese Thierry Breton (che lunedì ha dato «dimissioni immediate»), il lussemburghese Nicolas Schmit, eliminato dal suo governo, come l’italiano Paolo Gentiloni. In precedenza era già stata voltata la pagina dello spagnolo Josep Borrell alla politica estera.

LA COMMISSIONE è nominata ma non è ancora in carica. A parte la stessa presidente e con lei Kaja Kallas, tutti gli altri devono ancora passare l’esame delle audizioni del Parlamento europeo, due settimane in ottobre dove è facile prevedere attacchi e offensive – di partito e di nazionalità – che, come già è successo nel passato (e non solo a danno di palesi incompetenti), possono bocciare delle personalità. In bilico sarà probabilmente l’ungherese Olivér Várhelyi , che passa alla Salute (e al «benessere animale»), pur provenendo da un paese che ha ceduto alla propaganda no-vax e che ha in portafoglio anche la sicurezza alimentare, sottratta all’Agricoltura, in solide mani Ppe (Lussemburgo)