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 Sinistra. Costruire nuova rappresentanza fuori dai giochi autoreferenziali della politica

 

C’è una spaccatura profonda, a sinistra. Ma non è quella tra le sigle, i nomi, i cartelli: è quella tra chi è dentro il gioco autoreferenziale della «politica» praticata e chi ne è fuori. Una spaccatura che contribuisce in modo decisivo ad allargarne una ancora più profonda: quella tra chi vota e chi non vota più.

Per questo gli interventi centrali dell’assemblea di domenica al Brancaccio sono stati, per me, quelli di Andrea Costa (Baobab) e Giuseppe De Marzo (Rete dei numeri pari, Libera).

Hanno fatto capire come non esista più nessun rapporto tra il loro lavoro quotidiano (politico, se ce n’è uno) e l’idea stessa di rappresentanza parlamentare. Detto in altri termini: chi ogni giorno davvero cambia lo stato delle cose a favore degli ultimi, cioè chi riduce concretamente le diseguaglianze, ha ormai messo la croce sull’idea stessa di incidere sul processo democratico.

La proposta che Anna Falcone ed io abbiamo fatto è quella di portare quel mondo in Parlamento. Di riannodare i fili tra questa sinistra delle cose e i partiti (come Sinistra Italiana e Possibile) che combattono la stessa battaglia, ma che da soli non bastano.

La partecipazione e la rappresentanza come strumenti per costruire eguaglianza.

Non per caso queste due cose sono intrecciate nell’articolo 3 della Costituzione, che abbiamo eletto a bussola di questo processo. E invece sono anni che giochiamo al bricolage dello Stato avendo rinunciato allo Stato, che è il bene comune da cui dipendono tutti gli altri beni comuni.

I giornali ne parleranno solo quando questo processo sarà diventato inarrestabile: ed è a questo che stiamo lavorando.

Per ora di cosa parlano, i giornali? Del risiko di cui sopra. Le cui coordinate fondamentali, se ho ben capito, sono le seguenti: per una parte del gruppo dirigente fuoriuscito dal Pd è difficile tornare sotto l’ombrello di Matteo Renzi. Ma (come avverte Michele Serra) bisogna che questa «sinistra» stia con Renzi, perché sennò non va al governo.

Quale la via d’uscita? Eccola: Giuliano Pisapia otterrà «discontinuità». Una volta ottenuta, si tornerà al centro-sinistra unito, dove il centro è il Pd di Renzi.

Lo schema è ancora Bertinotti-che-condiziona-a-sinistra-Prodi: ma con Pisapia e Renzi. Cioè tutto uguale, anzi tutto incredibilmente spostato a destra. Se il finale sarà questo vedremo un’astensione record e un Movimento 5 Stelle di nuovo al comando.

Noi diciamo: un’altra strada è possibile.

Abbiamo detto con forza che l’obiettivo dovrebbe essere costruire rappresentanza. E abbiamo provato a spiegare perché non ci convince più la retorica della governabilità, della sinistra maggioritaria, della sinistra di governo.

Intendiamoci: la sinistra (intesa come coloro che hanno interesse a redistribuire la ricchezza) è maggioritaria nelle cose perché, come dicevano a Zuccotti Park, «siamo il 99%». Ma la realtà è che in questi ultimi vent’anni la sinistra italiana ha scambiato i fini con i mezzi: il governo è diventato un fine, e ci siamo dimenticati a cosa serviva, governare. «Ci siamo dimenticati dell’uguaglianza», ha scritto Romano Prodi nel suo ultimo libro.

Domenica ho fatto una lista (parziale) di ciò che dobbiamo al centro-sinistra: riscritture della Carta votate a maggioranza; chiusura sull’immigrazione; precarizzazione del lavoro; privatizzazioni, liberalizzazioni, alienazioni di patrimonio pubblico; deliberata assenza di una legge sul conflitto di interessi; smantellamento finale della progressività fiscale; federalizzazione dei diritti; e, sì, anche una guerra costituzionalmente illegittima (non ho detto illegale) che rappresenta il contributo dell’Italia alla stagione delle «operazioni di polizia internazionale».

Per essere chiari: tutto questo precede Renzi. E serve a dire che il problema sarebbe stato immenso anche se fossimo ancora al governo Letta.

Renzi ha rappresentato un salto di quantità mostruoso, ma non una discontinuità di politiche. Si può dire che le sue scelte – continuate, salvo dettagli, da Gentiloni – radicalizzano un processo ventennale che ha fatto dell’Italia il paese europeo in cui la diseguaglianza è maggiormente cresciuta. Che è esattamente il processo per cui la Sinistra si è ridotta al nulla, e metà del Paese, quella sommersa, non vota più.

Ecco: deve essere chiaro che la rotta è invertita. Che la rotta è diametralmente opposta a tutto questo.

Al netto di qualche fischio, il messaggio dell’assemblea di domenica è che l’unico modo per fare davvero unità a sinistra è proprio invertire la rotta, e puntare ad un orizzonte diverso. Per farlo ci vuole un processo aperto a tutti coloro che vogliono condividere una nuova rotta: quella (per esempio) dell’articolo 18, di una vera progressività fiscale, di una seria tassa patrimoniale, di una strutturata politica di accoglienza dei migranti, di un consumo di suolo zero, di una scuola pubblica e un’università non aziendali, di una tutela pubblica del patrimonio culturale.

Spero che saremo in tanti: perché se l’obiettivo è costruire (come dice Corbyn) «a country for the many, not the few», allora ci vuole una sinistra di tutte e di tutti.

 

 

 

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Il 18 giugno a Roma. È necessario uno spazio politico nuovo, ci vuole una sinistra unita e una sola, grande lista di cittadinanza aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati

 

Siamo di fronte ad una decisione urgente. Che non è decidere quale combinazione di sigle potrà sostenere il prossimo governo fotocopia, ma come far sì che nel prossimo Parlamento sia rappresentata la parte più fragile di questo Paese e quanti, giovani e meno giovani, in seguito alla crisi, sono scivolati nella fascia del bisogno, della precarietà, della mancanza di futuro e di prospettive. La parte di tutti coloro che da anni non votano perché non credono che la politica possa avere risposte per la loro vita quotidiana: coloro che non sono garantiti perché senza lavoro, o con lavoro precario; coloro che non arrivano alla fine del mese, per stipendi insufficienti o pensioni da fame.

 

La grande questione del nostro tempo è questa: la diseguaglianza. L’infelicità collettiva generata dal fatto che pochi lucrano su risorse e beni comuni in modo da rendere infelici tutti gli altri.

La scandalosa realtà di questo mondo è un’economia che uccide: queste parole radicali – queste parole di verità – non sono parole pronunciate da un leader politico della sinistra, ma da Papa Francesco. La domanda è: «E’ pensabile trasporre questa verità in un programma politico coraggioso e innovativo»? Noi pensiamo che non ci sia altra scelta. E pensiamo che il primo passo di una vera lotta alla diseguaglianza sia portare al voto tutti coloro che vogliono rovesciare questa condizione e riconquistare diritti e dignità.

Per far questo è necessario aprire uno spazio politico nuovo, in cui il voto delle persone torni a contare.

Soprattutto ora che sta per essere approvata l’ennesima legge elettorale che riporterà in Parlamento una pletora di “nominati”. Soprattutto in un quadro politico in cui i tre poli attuali: la Destra e il Partito Democratico – purtroppo indistinguibili nelle politiche e nell’ispirazione neoliberista – e il Movimento 5 Stelle o demoliscono o almeno non mostrano alcun interesse per l’uguaglianza e la giustizia sociale.

Ci vuole, dunque, una Sinistra unita, in un progetto condiviso e in una sola lista. Una grande lista di cittadinanza e di sinistra, aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati, società civile. Un progetto capace di dare una risposta al popolo che il 4 dicembre scorso è andato in massa a votare “No” al referendum costituzionale, perché in quella Costituzione si riconosce e da lì vorrebbe ripartire per attuarla e non limitarsi più a difenderla.

Per troppi anni ci siamo sentiti dire che la partita si vinceva al centro, che era indispensabile una vocazione maggioritaria e che il punto era andare al governo. Da anni contempliamo i risultati: una classe politica che si diceva di sinistra è andata al governo per realizzare politiche di destra. Ne portiamo sulla pelle le conseguenze, e non vogliamo che torni al potere per completare il lavoro.

Serve dunque una rottura e, con essa, un nuovo inizio: un progetto politico che aspiri a dare rappresentanza agli italiani e soluzioni innovative alla crisi in atto, un percorso unitario aperto a tutti e non controllato da nessuno, che non tradisca lo spirito del 4 dicembre, ma ne sia, anzi, la continuazione.

Un progetto che parta dai programmi, non dalle leadership e metta al centro il diritto al lavoro, il diritto a una remunerazione equa o a un reddito di dignità, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione.

Un progetto che costruisca il futuro sull’economia della conoscenza e su un modello di economia sostenibile, non sul profitto, non sull’egemonia dei mercati sui diritti e sulla vita delle persone.

Un progetto che dia priorità all’ambiente, al patrimonio culturale, a scuola, università e ricerca: non alla finanza; che affronti i problemi di bilancio contrastando evasione ed elusione fiscale, e promuovendo equità e progressività fiscale: non austerità e politiche recessive.

Un simile progetto, e una lista unitaria, non si costruiscono dall’alto, ma dal basso. Con un processo di partecipazione aperto, che parta dalle liste civiche già presenti su tutto il territorio nazionale, e che si apra ai cittadini, per decidere insieme, con metodo democratico, programmi e candidati.

Crediamo, del resto, che il cuore di questo programma sia già scritto nei principi fondamentali della Costituzione, e specialmente nel più importante: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).

È su questa piattaforma politica, civica e di sinistra, che vogliamo costruire una nuova rappresentanza. È con questo programma che vogliamo chiamare le italiane e gli italiani a votare.

Vogliamo che sia chiaro fin da ora: noi non ci stiamo candidando a guidarla. Anzi, non ci stiamo candidando a nulla: anche perché le candidature devono essere scelte dagli elettori. Ma in un momento in cui gli schemi della politica italiana sembrano sul punto di ripetersi immutabili, e immutabilmente incapaci di generare giustizia ed eguaglianza, sentiamo – a titolo personale, e senza coinvolgere nessuna delle associazioni o dei comitati di cui facciamo parte – la responsabilità di fare questa proposta. L’unica adeguata a questo momento cruciale.

Perché una sinistra di popolo non può che rinascere dal popolo.

Invitiamo a riunirsi a Roma il prossimo 18 giugno tutti coloro che si riconoscono in questi valori, e vogliono avviare insieme questo processo.

 

 

 

 

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Si accelerano i tempi della crisi e si avvicinano le scadenze elettorali: sembra che il dibattito nella sinistra cominci a poggiare i piedi per terra e ad assumere toni comprensibili anche ai comuni mortali. Ne proponiamo qui di seguito un esempio: il recente intervento di Vincenzo Vita sul Manifesto del 28 maggio 2017

Una lista, non più di una. A sinistra del partito democratico  -nelle ormai imminenti elezioni politiche- spazio per avventurose duplicazioni (o peggio) non c’è. Il rischio che numerose aree del disagio e del bisogno siano escluse dalla rappresentanza è altissimo. Al di là dei ceti politici. Il corpo a corpo sembra essersi ristretto, infatti, alla polarità dialettica costituita dal Pd centrista e moderato, nonché dall’ eclettico e contraddittorio Mov5Stelle. Interi pezzi di società non si riconoscono in quei poli e ingrossano la vera maggioranza relativa: l’astensionismo. A parte la destra tuttora divisa tra aziendalisti berlusconiani e sovranisti xenofobi di Salvini, cui però è difficile affidare future magnifiche sorti, la contesa sembra essersi ristretta e rinsecchita. E questo è il problema principale, visto che ampi settori di tradizionale simpatia per la gauche sono già andati a finire nell’imbuto del non-voto o –limitatamente- nel consenso pentastellato. Per mancanza di attendibili alternative. All’origine delle difficoltà sta proprio il forte ridimensionamento di un credibile progetto di e per una sinistra moderna: capace di rilanciare i valori fondamentali della libertà, dell’etica, dell’uguaglianza, del lavoro e della conoscenza: riscritti nella sintassi digitale. Innanzitutto, dunque, è essenziale ricostruire il filo di culture politiche adeguate,  immaginando con creatività contenuti e forme nuovi di organizzazione tra piazze e social, leggendo l’attualità dei conflitti cui non va dato il nome di comodo di “populismi”.

Ci vuole del tempo, né si possono improvvisare slogan e soluzioni puramente mediatiche. E’ indispensabile, però, arrivare alla fase del rilancio con i soggetti interessati o interessabili vivi e non defunti. E con il coraggioso ripristino di una concreta affidabilità morale verso l’universo scomposto e deluso delle persone in carne e ossa.

Su tali temi nei giorni scorsi l’Associazione per il rinnovamento della sinistra ha convocato un riuscito incontro con le varie forze in campo. Sono intervenuti Maurizio Acerbo (Rifondazione), Mauro Alboresi (Pci), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Miguel Gotor (Mdp-Art.1), Massimo Torelli (Altra Europa), assente giustificato Pippo Civati (Possibile). Nel corso del dibattito –introdotto da chi scrive e concluso da Aldo Tortorella- Maria Luisa Boccia presidente del Centro per la riforma dello stato  ha dato la parola anche ad Anna Falcone, Alberto Benzoni, Roberto Biscardini, Salvatore Bonadonna, Bia Sarasini, Alfonso Gianni e Roberto Bertoni. E’ emersa una volontà condivisa di verificare la praticabilità di un traguardo unitario, a patto che sia chiara la discontinuità con le linee del passato: le “terze vie” subalterne al liberismo (il D’Alema di oggi è diverso da quello di ieri, Mdp-Art1 ha votato contro il ripristino dei voucher), il fantasma di un’ormai improbabile riedizione del “centrosinistra”, la cancellazione delle (contro)riforme di questi anni. Il tutto va declinato, però, in positivo, attraverso programmi credibili e il superamento dei vecchi metodi del e nel far politica.

La forma della lista non è meno importante dei suoi contenuti. Non può, non deve ricordare passate esperienze di sommatorie di sigle, accordi di potere, logiche spartitorie. E’ moneta fuori corso e ricordare quelle stagioni perdenti assomiglia ad un grottesco latinorum. Lo sguardo va rivolto –per usare un criterio- al vastissimo popolo che ha permesso la schiacciante vittoria del No al referendum costituzionale lo scorso 4 dicembre, nonché a quello contiguo (in buona parte sovrapposto) che ha animato l’enorme manifestazione con i migranti sabato 20 maggio a Milano. Sono emerse, tra le altre, personalità fresche e autorevoli come la citata Anna Falcone –vicepresidente del Comitato del No-  e l’apprezzato presidente di “Libertà e giustizia” Tomaso Montanari. E chissà quante altre figure “civiche” si celano sotto la superficie dei segni conosciuti da una politica troppo ripetitiva. Una lista di sinistra, anzi, va incrociata con il miglior “civismo”. L’Ars, ovviamente, non ha il compito di fare nomi o suggerire soluzioni operative. Anzi, lo statuto recita che l’Associazione non si presenta alle elezioni. Tuttavia, è giusto prendere atto della lezione della realtà: una lista che, pur non avendo pregiudizi verso le espressioni partitiche, sia davvero aperta ai movimenti, all’associazionismo, ai protagonisti delle mobilitazioni sociali e culturali.

Naturalmente, tutto questo esige la sconfitta dell’ennesimo patetico giro di valzer sulla legge elettorale, che prende ogni giorno sembianze diverse: dal “rosatellum” al “tedesco” ora in discussione. Il sottotesto è un altro sussurrato “Patto del Nazareno” (del resto, il caos sulla Rai il sospetto lo fa venire). Il voto del 4 dicembre ci ha consegnato il mandato di batterci per una seria riforma proporzionalista, purissima o meno, ma chiara, restituendo il potere di scelta ai cittadini.

Vincenzo Vita

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Riprendiamo dall'inserto del settimanale Setteserequi, del 26 maggio 2017,  "ll Castoro" - giornale degli studenti del Liceo "Torricelli-Ballardini" di Faenza - una interessante intervista al presidente del Cineclub Raggio Verde, Enrico Gaudenzi, sulla vicenda Arena Borghesi.

Finalmente alcune questioni mai dette dall'Amministrazione Comunale e da Conad vengono alla luce, per esempio, è chiarificatore leggere: " ....Con la nuova formula l'amministrazione ci ha proposto il cambiamento di questo tipo di gestione: il privato non deciderà solo per lo spazio di sua competenza, ma gestirà anche buona parte della stagione cinematografica, scegliendo almeno i due terzi dei film e lasciando solo 20, 25 serate di programmazione in mano al cineclub....".

Adesso è più chiaro cosa significava il tanto sbandierato "dono" dell'Arena all'amministrazione, è piuttosto il contrario: la cessione a Conad anche della programmazione cinematografica!

Avanti con la modernità della giunta Malpezzi: cementificare e privatizzare spazi pubblici di pregio, cedere la funzione pubblica e la cultura ad una catena di supernercati !

 

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intervento di Nicola Fratoianni su Huffington Post. 

La questione per la sinistra italiana è più semplice di quanto la racconti il dibattito quotidiano. Basterebbe guardare alla realtà piuttosto che affannarsi tra la ricerca di un "federatore", gli appelli a Matteo Renzi e al PD perché recuperi lo spirito del centrosinistra (basta che sia nuovo) o dell'Ulivo (purché sia almeno 2.0) e il richiamo continuo e quasi salvifico alla mitica cultura di governo da opporre a un fantomatico radicalismo minoritario.

Guardare alla realtà e fare quello che la Politica dovrebbe fare: scegliere da che parte stare. Gli anni che abbiamo alle spalle hanno visto crescere a dismisura la diseguaglianza fino a livelli che solo qualche tempo fa non avremmo nemmeno immaginato. E' aumentata la precarietà e il lavoro, anche quello che c'è, per la grande maggioranza è sempre più povero, sottopagato, sfruttato e deprivato di diritti e tutele.

Il sistema formativo, dalla scuola primaria all'università e al comparto della ricerca, ha subito un pesante definanziamento con conseguenze molto concrete: diminuzione degli immatricolati, dei laureati, aumento dell'abbandono scolastico, impoverimento generale della capacità competitiva del Paese. Sono crollati gli investimenti pubblici in nome di austerità e liberismo, lo smantellamento del welfare e l'attacco ai servizi pubblici ha ridotto sensibilmente le possibilità di fette sempre più larghe di popolazione di accedere a diritti fondamentali come sanità e casa. In breve, negli anni della crisi in pochi si sono arricchiti e moltissimi si sono drammaticamente impoveriti.

Elusione, evasione e corruzione continuano a pesare come macigni sui bilanci e l'attuale struttura dei trattati su cui si regge l'Europa risulta sempre più incompatibile con qualsiasi ipotesi di svolta e con la stessa sopravvivenza del progetto europeo. Questa situazione non è il frutto di un destino cinico e baro. E' il risultato concreto e del tutto prevedibile di scelte e politiche precise. In Italia, solo per stare al recentissimo passato portano i nomi di Jobs Act, Buona scuola, Sblocca Italia.

In Italia come in Europa queste scelte hanno padri e madri: sono in buona parte figlie di una cosiddetta sinistra di governo che si è progressivamente trasformata nel notaio dei grandi poteri economico finanziari.

Occorre partire da qui se vogliamo almeno provare a capire le ragioni di quello che succede nel ventre della società, italiana ed europea. La rabbia sociale cresce in modo direttamente proporzionale alla crescita della diseguaglianza e dell'ingiustizia. Ed è qui che cresce la destra peggiore, che tornano razzismo xenofobia e violenza. E' in questo contesto che trova nutrimento la sfiducia quando non il disprezzo per la politica percepita solo come la guardia del corpo delle élites e dei loro interessi.

Dunque eccoci al punto.

Può la sinistra essere credibile se immagina di allearsi prima o dopo il voto con i responsabili di questa situazione?

Davvero c'è qualcuno che pensa che l'appello ad una sorta di union sacrée contro i barbari alle porte possa funzionare?

La mia risposta è semplice: no. Per riconquistare ciò che è stato perso in termini di credibilità serve tutt'altro.

Serve innanzitutto il coraggio di una proposta e di una piattaforma chiara. Una proposta che parli ai molti che hanno pagato il prezzo della crisi e delle politiche che ne hanno acuito gli effetti, che chieda il conto a chi ha solo preso senza nulla dare, che rimetta l'interesse generale al centro della politica.

Una lotta senza quartiere alla diseguaglianza e all'ingiustizia, fondata su poche semplici cose. Redistribuzione della ricchezza con misure di sostegno al reddito e un riforma fiscale che intervenga sulle grandi ricchezze e sui grandi patrimoni, un piano di investimenti pubblici per rilanciare l'economia, la riduzione del tempo di lavoro per fare dell'innovazione una opportunità e non una condanna e per redistribuire il lavoro che manca. La restituzione dei diritti espropriati a cominciare dall'articolo 18 perché difendere i lavoratori dai licenziamenti ingiusti significa difendere il lavoro ma soprattutto la libertà. E poi gratuità dell'istruzione e ricostruzione del welfare, dalla sanità al diritto alla casa.

Sono alcune delle questioni che a me paiono più urgenti. Apriamo una discussione su questo, contribuiamo a costruire uno spazio aperto e partecipato nel quale definire una piattaforma, decidere le priorità. Facciamolo a partire da un metodo che consenta a tutti e a tutte di partecipare e decidere. Non solo alle organizzazioni della sinistra politica ma soprattutto a chi non si riconosce in nessuna di queste. Un metodo per il quale ci aiuta ancora una volta la semplicità: democrazia.

Democrazia per definire la piattaforma, per scegliere i candidati, per individuare chi meglio possa rappresentare pubblicamente questa proposta politica ed elettorale, magari immaginando forme plurali e certamente non monosessuate. Facciamolo attraversando l'Italia, provincia per provincia, comune per comune.

Si può fare ed è necessario farlo. Ma occorre muoversi. Senza steccati e senza veti preventivi. Ma con chiarezza e decisione.

L'unica discriminante di cui abbiamo bisogno ha che fare col coraggio di immaginare e proporre una alternativa radicale allo stato di cose presenti perché radicale è la natura dei problemi che abbiamo davanti.

Per queste ragioni mi rivolgo a tutti quelli che sentono questa urgenza, alle forze politiche e ai loro segretari, a Civati, Speranza, Acerbo, Pisapia a chi nell'esperienza di governo municipale si è opposto all'umiliazione dei territori e alla mercificazione dei beni comuni, alle tante liste civiche e di alternativa che si sono misurate alle amministrative scorse e che stanno costruendo da protagoniste questa campagna elettorale, a chi si è battuto per difendere la Costituzione, a chi ogni giorno organizza politica sui propri territori dalla parte dei più deboli. Cominciamo subito, pubblicamente e con determinazione a costruire questo cammino. Con unità e umiltà.

 

http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/cari-civati-speranza-pisapia-ricostruiamo-la-sinistra-insieme_a_22100472/

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Aldo Carra da "il Manifesto" del 19 maggio 2017.
Ci risiamo. Dopo alcune legislature con sistemi elettorali post-proporzionali, costruiti di volta in volta su misura per i contendenti più forti, torniamo allo stesso gioco. Stiamo per concludere una legislatura nata con una legge incostituzionale, abbiamo consumato governi che hanno immiserito anche quel poco di nobile che c’era nella stessa vocazione maggioritaria, abbiamo bruciato bipolarismo e bipartitismo, siamo nel pieno di un tripolarismo multipartitico con partiti e movimenti, vecchi e nuovi, tanti come mai prima.
Ebbene chi dopo tutto questo sperava si potesse aprire una fase nuova e discutere di una legge rispondente alle esigenze generali del paese oggi, rinunci alle speranze. Le posizioni del M5S, prima proporzionalista, adesso favorevole ad una legge maggioritaria, e l’ultima trovata del Pd di un modello tedesco in salsa italiana che con una scheda unica costringerebbe a listoncini locali fatti su misura per premiare Pd e alleati locali e per rendere inutile i voti ai partiti piccoli (da SI ad Art.1) ripropongono un altro modello di legge su misura per un confronto muscolare e diretto tra i due principali contendenti.
Ci stiamo così candidando a raggiungere il record di 5 leggi elettorali, tanto su misura quanto inefficaci e costituzionalmente precarie, in 25 anni.

Come mai? Se tutto questo può accadere nel nostro paese è perché le soluzioni sperimentate non hanno sciolto il nodo del rapporto tra rappresentanza e governabilità adottando compromessi che lo hanno aggrovigliato invece di scioglierlo. Ed oggi, quando una persona indubbiamente sensibile alla rappresentanza ed alla società civile come Pisapia afferma «Sono per perseguire governabilità, conoscere il candidato e votarlo; è possibile un sistema misto; tra proporzionale e maggioritario si può trovare una soluzione», mi pare che proseguiamo sulla stessa via senza uscita. L a rilevanza politica crescente che la governabilità sta assumendo a sinistra rispetto alla rappresentanza non tiene conto della mutazione nell’assetto strutturale del nostro sistema politico: non siamo più nel tradizionale bipolarismo con due partiti egemoni, ma in un tripolarismo strutturato con tre aree che rappresentano ciascuna un terzo degli elettori.
Se si vuole garantire che una delle tre forze/aree abbia il 53-55% dei seggi – quasi raddoppiandone il peso reale e quindi dimezzando quello degli altri partiti – il problema non è di sistema elettorale, ma di sistema istituzionale. O si va verso un sistema di premierato forte o di presidenzialismo in cui magari col ballottaggio si sceglie “chi” deve governare, riconfigurando di conseguenza gli altri livelli istituzionali con accresciuti poteri di riequilibrio (così è nel sistemi presidenziali francese e statunitense) o si sceglie di restare dentro un sistema parlamentare in cui si eleggono le forze politiche lasciando ad esse il compito di conquistare il consenso della maggioranza degli elettori e se non ce la fanno di allearsi con le forze politiche più vicine ed omogenee (come avviene ad esempio in Germania). Tertium non datur.
Nel nostro caso specifico, poiché abbiamo alle spalle un referendum che ha detto No ad una mutazione costituzionale che configurava il primo modello bisogna prenderne atto e bisogna che lo facciano tutti, sia quelli che hanno votato no che quelli che hanno votato si. Ma c’è un altro ragionamento da fare. L’assetto politico delle democrazie occidentali è in mezzo ad una bufera che scuote le tradizionali divisioni sinistra-destra, progressisti-conservatori mentre nuove diadi emergono tra alto e basso, protezione ed apertura. Siamo, insomma, in una fase di delicata mutazione.

Come ritrovare la bussola per costruire un nuovo assetto partitico se non rimettendo al centro di esso gli elettori e la loro rappresentanza? E come fare questo se non dando vita ad una legislatura ri-costituente che abbia il coraggio storico di consentire agli elettori di esprimere liberamente le loro volontà, senza ricatti di meno peggio e “voti utili forzati”, e di ripartire da uno straordinario bagno di democrazia rappresentativa per ricostruire la politica?
Pur riconoscendo che la discriminante destra-sinistra, progresso e conservazione è stata messa in discussione da processi oggettivi (globalizzazione) e soggettivi (subordinazione culturale delle forze di sinistra al mercato), penso che essa rimanga ancora una linea di demarcazione sulla quale si articola ogni democrazia. E penso che le forze come il M5S che, invece, allignano sulla non scelta tra destra e sinistra vadano sfidate proprio su questo terreno. Ma per fare questo la sinistra deve farsi protagonista essa di una fase nuova: assumere il proporzionalismo come necessità storica della fase attuale. Solo così lo spazio che si è creato con la ricollocazione al centro del Pd può essere riempito da una soggettività politica nuova, con una massa critica significativa. Senza restare invischiati nello scontro tra populismo di governo e populismo antiestablishment.
Per un nuovo campo largo di sinistra capace anche di condizionare, ma a partire dalla propria autonomia progettuale.

 

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