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INTERVISTA. Il coordinatore Forum Disuguaglianze: «Nel futuro della sinistra uno scontro tra radicali e conservatori. Non so se il Pd sia riformabile». «La vittoria di Meloni è una rivincita della politica, ma non darà risposte al malessere sociale. Temo faticherà a tenere a bada frange violente contro poveri e comunità lgbtq+»

Risultati immagini per immagini fabrizio barca

Fabrizio Barca, economista, ex ministro con Monti, coordinatore del Forum Diseguaglianze e diversità. Come valuta il risultato delle urne?

Purtroppo questo esito era prevedibile. I programmi dei partiti di centrosinistra riflettevano solo in parte il fermento sociale e imprenditoriale che c’è nel paese. Ma neppure di quello hanno parlato, penso ad esempio alla sacrosanta proposta Pd di 500mila nuovi alloggi popolari senza consumare nuovo suolo. Non hanno mostrato agli elettori che il centrosinistra è responsabile verso di loro, specie quelli più colpiti dalle disuguaglianze. Sono apparsi responsabili, ancora una volta, verso astratte istituzioni, e gli elettori si sono rivolti a un altro sarto.

A quali istituzioni si riferisce?

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Le previsioni del ”Cattaneo” sul risultato elettorale del 25 settembre 2022, punto più punto meno, sono state azzeccate.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone e spazio al chiuso
 
Quelle previsioni, da me ritenute attendibili, hanno concorso a determinare la mia scelta di voto per questa occasione, resa nota e motivata prima delle elezioni. Per questo non sono sorpreso del risultato.
 
 Ciò non significa che io non sia molto preoccupato. La mia preoccupazione anzi risale molto indietro nel tempo, perché pensavo che molto probabilmente, prima o poi, saremmo arrivati a questo disastro.
 
Il punto di svolta organica, preceduta da un processo di sperdimento ideale e valoriale, è stata la fondazione del PD, progetto ormai fallito, come era scritto nel suo atto di nascita, ma che ha distrutto della sinistra politica ciò che restava in Italia.
 
Sia chiaro, so che questa nostra realtà purtroppo non è isolata. In tutto l’Occidente la sinistra politica ormai è ai margini. Da altre parti non c’è.
 
Di fronte ai cambiamenti epocali avvenuti a livello globale, la sinistra politica non ha saputo reinventarsi, e ha finito per aderire all’ideologia liberista. Per esempio, in Italia si  è persa la consapevolezza  dell’esistenza del conflitto di interessi tra le classi, mentre invece da parte della classe dominante (finanzcapitalismo) si proclamava che “la guerra di classe esiste, e l’abbiamo vinta noi”. 
 
Da li sono discese le scelte liberiste, in Italia e non solo, della presunta sinistra, di abbandono del radicamento nella realtà degli oppressi e dimenticati: lavoratori e disoccupati, piccola e media impresa produttiva. Le bastonate alla scuola e ricerca pubblica, alla sanità pubblica (“affamiamo la bestia”), per giustificare e legittimare le perniciose privatizzazioni. Questa politica,tra l’altro, ha concorso  all’aumento intollerabile delle diseguaglianze.
 
Grandi masse sono state abbandonate, le quali ovviamente hanno sentito nella loro carne la solitudine, lo sfarinamento della solidarietà tra oppressi, e quindi son stati indotti spesso a comportarsi come i capponi di Renzo, perdendo di vista i veri responsabili.
 
Molti di loro hanno disertato le urne e altri hanno abboccato alle proposte semplici ma ingannevoli della destra, anche estrema. Se la sinistra politica lascia un vuoto, altri lo occupano, come è successo.
 
C’è anche altro. Di fronte alla drammatica crisi climatica, questa presunta sinistra politica o area progressista, affronta la necessaria transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili, con la testa rivolta all’indietro, ingrossando le fila dei “luddisti del ventunesimo secolo”, conseguentemente allontanando da se i movimenti ambientalisti, i quali hanno presentato proposte concrete, rimaste senza risposta.
 
A sostegno di questi miei giudizi e di quelli che seguiranno, ci sono dati di fatto che non ho elencato per non appesantire questa nota.
 
La sinistra politica va costruita partendo dai fondamentali, sapendo che non ci si riuscirà restando nell’ambito di un solo paese, ma da qualche parte bisognerà cominciare.
 
Intanto, dobbiamo essere consapevoli  che nello scontro mondiale in atto tra le grandi potenze, la sinistra non è da nessuna parte e non c’è neanche l’aspirazione alla ”pace perpetua” della quale parla Kant (mai letto, perché molto al di sopra della mia capacità di comprensione).
 
Nella Russia c’è l’autocrazia. L’ultimo atto è stato la guerra all’Ucraina. In Cina c’è la dittatura del partito unico. In Occidente c’è una democrazia malata, dove comanda il finanzcapitalismo, del quale la politica è ancella (Francesco). Fa direttamente guerre o le fomenta in tutto il mondo. Dove vede colpiti i propri interessi interferisce nella politica di altri stati in vari modi, per abbattere i governi non graditi. La sinistra politica esistente, che governa in aree limitate ed è debole nel resto dell’Occidente, non può prendere parte a favore di nessuna di queste potenze e deve lottare contro ognuna di esse.
 
Detto questo, il PD, di fronte a questo nuovo disastro elettorale, ovviamente dovrà fare il suo congresso, ma coloro che al suo interno nutrono intenti di sinistra (la minoranza), sarebbe auspicabile che prendessero atto che il progetto PD è giunto al capolinea e non potrà essere un soggetto utile, come tale, alla nascita della sinistra politica del ventunesimo secolo. E’ patetico l’affollamento dei candidati alla segreteria di un partito finito, almeno per la sinistra politica.
 
Che fare dunque? Non chiedetelo a me.
 
Io posso solo rendere noto ciò che mi frulla in testa.
 
Coloro che vogliono costruire la sinistra del ventunesimo secolo, si parlino, comincino a incontrarsi. Nessuno inviti altri a casa propria. Ripartire dai fondamentali, ovviamente ripudiando il liberismo. Abbandonare il produttivismo, puntare alla smaterializzazione di beni e servizi e abbandonare la dittatura del PIL. Adottare il principio dell’eguaglianza, non nella versione egualitarista: a situazioni diseguali non si danno risposte uguali. Le elezioni sono importanti, ma i progetti devono essere lungimiranti, vedere bene nel medio e più lontano futuro. Unificare lotta e i progetti per l’eguaglianza e per il superamento della crisi climatica, che per gran parte di per sè sono intrecciate. Proporre questa prospettiva, potrà mobilitare sentimento e ragione.
 
Intanto, dobbiamo fare i conti con il governo di destra, lottando contro le sue scelte inaccettabili e per le nostre proposte, le quali devono essere coerenti con il nostro disegno generale e, quindi, non dobbiamo inseguire l’avversario sul suo terreno,  come purtroppo è già stato fatto. Dobbiamo costringerlo a battersi sul nostro terreno. Quasi duemila quattrocento anni fa, Demostene sferzava gli ateniesi, dicendo loro che sbagliavano strategia nella lotta contro Filippo il macedone. Accorrete sempre dove si trova Filippo, “ gli tenete dietro correndo di qua e di là: è lui il vostro stratego”.
 
Imparando dagli errori, non è detto che il governo di destra duri cinque anni.
 
Sulla campagna elettorale di chi si è opposto alla destra e sulla strategia delle alleanze del PD, stendiamo un velo pietoso. Conseguenza di quanto detto in questa nota.
 
Rino Gennari
 
29 settembre 2022
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SOCIETÀ. Con le elezioni del 25 settembre è giunta al pettine anche la crisi della democrazia, resa evidente dall’incolmabile distanza che separa la vita quotidiana dall’autoreferenzialità delle élite politiche che ha contrassegnato una surreale campagna elettorale, sfociata nell’ulteriore ed esponenziale aumento dell’astensione.

Una ricognizione tra i soggetti delle lotte sociali Renato Mambor, Uno per tutti

Come ampiamente previsto, avremo un governo post-fascista che, mantenendo inalterata l’agenda delle politiche liberiste, con ogni probabilità peggiorerà il clima sociale, mettendo a rischio i diritti delle donne, i diritti civili, il reddito di cittadinanza e i diritti dei migranti. Rendendo, se possibile, ancor più drammatico l’autunno che sta arrivando, tra caro-energia e povertà, attacco ai diritti del lavoro, una guerra che rischia di precipitare tutte e tutti nel baratro e una crisi eco-climatica che investe territori e comunità.

Con le elezioni del 25 settembre è giunta al pettine anche la crisi della democrazia, resa evidente dall’incolmabile distanza che separa la vita quotidiana dall’autoreferenzialità delle élite politiche che ha contrassegnato una surreale campagna elettorale, sfociata nell’ulteriore ed esponenziale aumento dell’astensione. C’è una fetta sempre più ampia di popolazione e settori sempre più larghi di società che non hanno alcuna rappresentanza politica e istituzionale.

E’ un problema enorme che non può essere risolto né attraverso i percorsi ‘entristi’ di alcune forze politiche radicali nell’alveo del centro-sinistra, né dai reiterati, e fallimentari, tentativi di mettere insieme piccoli partiti di sinistra radicale. Con il massimo rispetto per chi vi dedica passione, tempo ed energie, dobbiamo dirci che non è questa la strada e che la reiterazione approfondisce l’impasse.

Non può più essere neppure considerata come una questione che attiene ai soli partiti. Se una società ricca di lotte, di conflitti e di esperienze alternative dal basso non riesce a incidere minimamente sulle scelte politiche generali, il problema riguarda tutte e tutti: non si vive di sola generosità, serve anche una certa efficacia, soprattutto per chi non vuole solo testimoniare nel mondo, ma cambiarlo in profondità.

Qui occorre affrontare l’altro corno del problema: come stanno i movimenti e le esperienze sociali che si muovono dal basso nella società? Siamo desolatamente privi di una rappresentanza politica, ma possiamo dire di contare su una rappresentanza sociale unitaria e convergente?
Molte realtà sociali hanno contribuito a costruire importanti percorsi di convergenza dal basso, affermando come dalle multiple crisi del modello dominante si possa uscire solo costruendo un’altra società.

Sono stati percorsi ricchi, articolati, inclusivi, che hanno permesso l’intreccio tra esperienze di lotta e culture differenti. Pensiamo ad esempio alla costruzione dello spazio politico “Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura”, nato durante il lockdown e partecipato da oltre 450 esperienze, organizzazioni e realtà associative e da oltre 2000 persone attive a livello individuale, luogo di riferimento e di convergenza fra diverse lotte ed esperienze.

O pensiamo a un’esperienza territoriale come quella di Civitavecchia, dove le lotte per la salute e per l’occupazione hanno coinvolto abitanti e lavoratori di un intero territorio, fino a far retrocedere Enel e Governo e a far approvare un progetto di riconversione energetica senza utilizzo di energia fossile, accompagnato da un piano di conversione ecologica delle attività portuali, delle attività produttive e della mobilità.

E, ancora, alla straordinaria lotta operaia dei lavoratori Gkn di Campi Bisenzio (Fi), capaci di costruire, intorno alla loro vertenza, un’insorgenza dell’intero territorio circostante e di diventare uno dei motori di propulsione della convergenza dei movimenti, in grado di parlare ad ogni territorio e ad ogni luogo di lavoro del Paese. Sono tuttavia sufficienti a reggere l’impatto dell’autunno che ci aspetta? O corriamo il rischio di aver prodotto diversi e importanti percorsi di convergenza fra le lotte, ma di ritrovarci dentro un contesto di “convergenze parallele”, senza riuscire a fare un ulteriore salto di qualità?

Sono questi i temi che vorremmo affrontare, tutte e tutti assieme, nell’assemblea nazionale di convergenza che si terrà sabato 1 ottobre a Roma (presso Scup, Sportculturapopolare).
Senza pretesa di risoluzione immediata, ma provando a fare una discussione vera che aiuti tutte e tutti a fare un passo avanti e a rendere più ampie, inclusive ed efficaci le mobilitazioni e le campagne che sono già in calendario

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VOTO. I partiti di centrosinistra, e in particolare il Pd che ne era l’esponente maggiore, hanno compensato la dissoluzione della loro base sociale con la solida vita nei governi degli enti locali e regionali e, a partire da Prodi, anche del governo nazionale.

Partito senza società, società senza partito Renato Mambor, Ombre immutabili

Arte dell’autocritica. Subito dopo il voto in tanti hanno insistito su due punti. Primo, la distorsione della volontà popolare tramite la trasformazione maggioritaria dei voti in seggi: chi vince col 40% dei voti ottiene il 60% dei seggi; così una vittoria di misura diventa successo travolgente. Secondo, l’idiozia di tutti i gruppi alternativi al centrodestra che rinunciano a priori a una loro coalizione, si presentano separati e in concorrenza tra loro. Da qui la necessaria sconfitta.

Tutto vero, ma resta fuori dal ragionamento la sua origine sociale. La cui vera causa sta nel mutamento della società e nell’ormai almeno ventennale erosione della base sociale che sorreggeva lo schieramento di centrosinistra, giunto al voto ignaro di galleggiare sul vuoto.
Perdere in Toscana 10 collegi uninominali su 13, vedere a Stazzema più votato di tutti il partito di Meloni è uno schiaffo che costringe alla meditazione.

Ma ciò che la stampa progressista e alcuni politici di centrosinistra ora ammettono si sapeva da molto tempo. Vent’anni ci separano dall’allarme lanciato dai Girotondi del 2002. Ma l’incubazione è ancora più lunga e risale alla fase di smantellamento delle grandi fabbriche, alla moltiplicazione della fabbrica diffusa, alla dislocazione delle attività produttive nei mercati del lavoro a basso costo, alla trasformazione della massa solidale del lavoro operaio nel volgo disperso che nome non ha del moderno lavoro precario.

Qui la data iniziale di riferimento può essere addirittura la manifestazione dei 40.000 quadri Fiat (1980!) contro la lotta operaia e la conflittualità urbana. Da allora la composizione sociale -che esprimeva antagonismo radicale e alle scadenze elettorali non poteva che votare partiti di centrosinistra- è stata rovesciata in una pluralità di ceti frazionati, separati, non comunicanti e in virtuale concorrenza reciproca.

I partiti di centrosinistra, e in particolare il Pd che ne era l’esponente maggiore, hanno compensato la dissoluzione della loro base sociale con la solida vita nei governi degli enti locali e regionali e, a partire da Prodi, anche del governo nazionale. Di contro: riferimenti sociali sempre più evanescenti, legami sempre meno stretti, mondi alla fine distaccati.

I campanelli d’allarme sono stati numerosi, sia nella dialettica sociale e culturale, sia sullo stretto piano elettorale: i tirapiedi di Berlusconi eletti nel collegio di Mirafiori! Alla lunga il consenso si è ritirato nella ridotta delle regioni rosa ma ora anche quella salvezza temporanea viene meno e il dramma precipita.

E la soggettività sociale che fine ha fatto? E’ scomparsa dalla scena politica e si è diffusa nei cento rivoli dell’azione sul territorio. Volontariato di ogni genere, associazionismo, comitati, gruppi di quartiere, iniziative culturali, colloqui interetnici, sostegno agli immigrati, occupano il tempo di coloro che erano disponibili per l’attività politica e che oggi non vi trovano soddisfazione né speranza. A questa dispersione si può forse attribuire anche la presenza intermittente degli studenti, a parte rare eccezioni di robuste azioni collettive. Ogni tanto qualche grande manifestazione nazionale, vissuta come momento di svolta e qualche tempo dopo ricordata per il fascino illusorio.

Si sarebbe potuto pensare che tutta quella generosa energia potesse dedicarsi a un partito di autentica sinistra in grado di indicare la via della redenzione al più grande e moderato Pd. Niente di tutto questo. I tentativi in questo senso sono stati ripetuti e molteplici e hanno solo frazionato le forze. Comunque il risultato finale è stato marginale e privo di efficacia.

Questo ora è il momento: partito senza società, società senza partito. E’ questione che non si risolve con un nuovo segretario, di qualsiasi sesso sia. E se il ripensamento complessivo invocato sarà esercitato da chi ha prodotto il disfacimento l’insuccesso è assicurato. Forze vive tocca a voi: se ci siete fatevi avanti.

 

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Ci ostiniamo a dire post-fascista, sbagliando perché non si richiama al ventennio mussoliniana irriproducibile, ma a settanta anni di insidia della democrazia rappresentata dal Msi e dalle sue evoluzioni partitiche, in una litania di strategie della tensione, spesso interne agli apparati dello Stato e con legami internazionali, che ha disseminato di stragi la storia repubblicana

Una vittoria che insidia l’Europa

Una stagione di disfatta a sinistra, insieme così nuova e tetra in Italia non c’è mai stata dal dopoguerra a oggi, con l’affermazione netta, a man bassa – alla fine grazie al ’iniquo Rosatellum,-non democratica, se si vedono i voti reali – e con risultati che sconvolgono non solo il quadro partitico italiano ma le stesse istituzioni democratiche sostenute dalla Costituzione nata dalla Resistenza antifascista. Perché la

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Tomaso Montanari - Wikipedia

A disastro puntualmente avvenuto è necessario, ma non sufficiente, cogliere le responsabilità di chi ha sbagliato tutto nell’ultimo miglio. I numeri dimostrano che la partita era contendibile, e che se Enrico Letta e la dirigenza del Pd non avessero impedito la coalizione ‘di resistenza’ con i 5 Stelle, si sarebbe arrivati a un sostanziale pareggio, e a un Parlamento ben diverso. Invece ora – grazie all’ovvia profferta dei mercenari Renzi e Calenda – la Costituzione è in pericolo: e su questo il Paese dovrà reagire, con pacifica determinazione, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze.

Per tutto il resto, non basta una veloce plastica facciale al vertice del Pd: o c’è una comprensione profonda delle cause dell’arrivo al governo della destra

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