TRANSIZIONE ECOLOGICA. L’Europa è da tempo a pezzi, ora la questione climatica rischia di frantumarla definitivamente e fra i picconatori più solerti c’è il governo Meloni. L’altro ieri si è opposto insieme […]
L’Europa è da tempo a pezzi, ora la questione climatica rischia di frantumarla definitivamente e fra i picconatori più solerti c’è il governo Meloni. L’altro ieri si è opposto insieme al Pp europeo alla messa al bando delle auto diesel e benzina entro il 2035.
Solo qualche settimana fa ha chiamato tassa patrimoniale una timida direttiva che chiedeva entro il 2033 di portare nella modestissima “classe E” il patrimonio abitativo.
La crisi climatica? Le miglia di morti per i veleni sparsi dalle loro adorate auto? Fandonie dei comunisti, titolano i principali giornali della destra.
Eppure solo una settimana fa la Protezione Civile ha temuto che si abbattesse sulla Sicilia un “Medicane”, termine ai più incomprensibile, ma che internet ci spiega essere un evento simile ad un ciclone tropicale, che però potrebbe prodursi nel mediterraneo. Fortunatamente si è risolto solo in grandi piogge e non si è dovuto aggiungere un’altra tragedia a quelle della Marmolada, delle Marche e di Ischia.
Per l’appunto ci si affida alla buona sorte, elettoralmente meno costosa di un piano di adattamento al clima che cambia, il cui primo capitolo non può che essere lo stop al consumo di suolo.
«Che la sorte ci assista» come è noto non è una politica, ma è ciò che sta facendo il governo sul clima.
Oltre ad affondare i provvedimenti su casa ed auto, il 6 febbraio scorso sono stati convocati a Palazzo Chigi i massimi dirigenti di Eni, Enel, Snam e Terna per affidargli l’attuazione del piano Mattei.
Già la composizione degli invitati la dice lunga sulla direzione di marcia che il governo intende dare alle politiche energetiche.
Si punta a far diventare il nostro paese l’Hub europeo del gas. La parola magica per procedere occultando la sostanza fossile del progetto è «diversificazione».
Ciò che si capisce di questo ipotetico mix è inquietante: costruire nuovi gasdotti, con la tentazione di rilanciare il vecchio progetto Galsi, cioè metanizzare la Sardegna, il più grande giacimento di sole e vento di questo paese; raddoppiare quello già esistente che risale l’Adriatico; comprare nuove navi rigassificatrici: riprendere a trivellare l’Adriatico per estrarre le ultime gocce di metano rimaste ed infine sostenere il progetto Eni di «cattura e sequestro della CO2».
In questo minestrone tutto fossile ovviamente c’è spazio per qualche campo eolico e un po’ di fotovoltaico. Il desiderio un po’ irrealistico è fare tutto questo entro il 2026. Stanno mettendo una pesante palla al piede al paese, ulteriormente appesantita dalla scelta di ieri sulle auto e da quella di qualche tempo fa sulla casa.
A questo punto si impongono due considerazioni. La prima è che l’avvento di un governo politico non ha cambiato la sostanza e cioè che a decidere le politiche energetiche e climatiche del paese sono le imprese, l’Eni, Fiat o i grandi costruttori. La seconda è che questo blocco di potere non ha opposizione. che scelga di porre al centro della propria iniziativa la crisi climatica, chiamando il paese a mobilitarsi per costruire l’alternativa 100% rinnovabile. L’isolamento politico non significa però che siano condivise le loro scelte.
Il paese è percorso da tante mobilitazioni che potrebbero metterle in difficoltà. C’è bisogno però di un salto di qualità. Per dare espressione a questo potenziale dissenso non bastano cortei e gesti esemplari, ma sono necessarie proposte che parlino ai disagi diffusi delle persone, a cominciare dal caro bollette. Insomma disturbiamo il loro fare, ma costruiamo con pazienza anche il nostro, ad esempio dando vita ovunque a comunità energetiche solidali. Serve un grande lavoro di informazione per convincere milioni di persone a praticare l’autoconsumo, a procurarsi i servizi energetici dal sole e dal vento, a diffondere una cultura della sobrietà e del consumo intelligente. Darebbe una bella spinta alla loro diffusione se dal movimento del Fridays partissero vertenze per trasformare i tetti delle loro scuole in centrali fotovoltaiche, costruendo con le persone che abitano il quartiere comunità solidali per sfruttare l’energia che l’impianto produce