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Sicuramente la nostra regione vanta l'eccellenza in ambito sanitario. Un primato quindi da tutelare e implementare.

Tecnologia e formazione sono all'altezza delle esigenze. Ricerca e innovazione non lasciano certo nulla al caso. Ma cosa sospinge un settore di così alto profilo? Ebbene la risposta è: il Capitale Umano!

La politica lo sa e se da l'impressione di non saperlo, finge. Si perché le nostre persone, quelle che mettono le proprie competenze a disposizione della comunità, sono spesso oggetto di sperticati elogi da parte di politici e amministratori che parlano di: coraggio, eroismo, spirito di sacrificio, abnegazione. Se ci è permesso l'accostamento, sono le parole che risuonavano nella propaganda che sospingeva migliaia di giovani al macello sulle trincee del Carso.

Un accostamento forzato e cruento che nulla a che vedere con l'argomento qui trattato, tranne il triste uso della retorica. E' un atteggiamento dal quale ci dissociamo, non siamo in presenza di uno stuolo di stoici missionari che aprono le frontiere dell'assistenza caritatevole in terre lontane, con tutto il rispetto per costoro.

Siamo in presenza di professionisti preparati e competenti che possiedono un contratto di lavoro, anche se spesso fatica a diventare stabile. Se L'obiettivo è quello della sostenibilità ed universalità delle cure, questi operatori vanno sostenuti con adeguati riconoscimenti economici, adeguati riposi e rapporto lavoro-tempo vita accettabile. Purtroppo dobbiamo registrare che sul nostro territorio, l'ambito ravennate, una quota di professionisti medici abbandonano le strutture pubbliche a favore di quelle private. I motivi sono quasi sempre gli stessi: scarse garanzie di progressione professionale, livelli stipendiali modesti in relazione alle alte responsabilità connesse, tempo vita umanamente improponibile.

Dobbiamo poi tenere conto del doppio danno, perchè il professionista che si forma a carico della funzione pubblica finisce col spendere l'investimento a favore dell'imprenditore privato. La situazione va risolta, la strada percorribile è una sola: assumere il personale adeguato ai carichi di lavoro e adeguare gli stipendi alle responsabilità. Vero è che a livello nazionale alcune grosse sviste non hanno previsto la formazione in alcuni settori specialistici, ma è anche vero che gli investimenti nel settore restano inadeguati. Gli ultimi provvedimenti di legge collegati alla finanziaria, danno alle regioni la possibilità di spendere in termini di assunzione e ci aspettiamo che ciò avvenga.

Poco ci aspettiamo dalla possibilità di ferma fino ai 70 anni di età dei medici specialisti pensionandi, un provvedimento asfittico che poco raccoglie in termini di implementazione, come per altro l'immissione degli specializzandi nelle corsie ospedaliere, fenomeno già ben presente da molto tempo. Sul fronte del comparto, infermieri, o.s.s. tecnici sanitari non va meglio, le unità operative che ancora non ancora dotate di organici completi provvedono spesso all'assistenza saltando i riposi, con le ovvie ripercussioni sulla salute di tutti.

La politica e la direzione delle aziende sanitarie assumano un'altro atteggiamento verso coloro che la propria grande responsabilità la esercitano già da tempo.

Un operatore sanitario locale

 

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Risultati immagini per immagini pendolari

I pendolari della linea Rimini - Bologna sono riuniti in un comitato pendolari ROMBO che cerca di portare le istanze degli stessi pendolari, con alterne fortune ai tavoli della Regione.
La Regione ha costituito da anni il CRUFER, che riunisce i diversi comitati della Regione che francamente non produce nessun tipo di risultato significativo e andrebbe ripensato. Basti pensare che, da quel poco di informazioni che ho in quanto anche all'interno del nostro comitato le informazioni non circolano, viene convocato praticamente a decisioni già prese o quasi. quindi con scarse possibilità di influire in qualche modo sulle decisioni prese.
Bisogna rivedere il ruolo del CRUFER.
 
Sulla linea permangono da anni condizioni critiche legate ai ritardi, sovraffollamento, manutenzione, composizione delle carrozze inadeguata al numero di passeggeri, specie negli orari pendolari e nelle giornate a ridosso dei maggiori spostamenti studenti/lavoratori (weekend, lunedì).
 
In questi anni le segnalazioni alla Regione hanno prodotto la risposta dell'introduzione dei nuovi treni Rock e Pop, che sono inutili se non sono adeguati come composizione al numero di passeggeri in salita, non contando la media dei passeggeri nel percorso. 
 
A fronte delle continue segnalazioni non si comprende quante e quali sanzioni siano state fatte al titolare del contratto di servizio e per quali motivi la Regione non riesca a supervisionare se questo contratto venga rispettato. Bisogna migliorare la.supervisione del contratto e il rapporto con Trenitalia che è un fornitore di servizi.
 
L'introduzione in questi anni sulla linea adriatica dei Freccia Rossa e la sostituzione recente dei Freccia Bianca con i Freccia Argento, ha peggiorato la condizione dei pendolari e creato inevitabili rallentamenti sulla linea. Infatti quando sono stati introdotti i Freccia Argento si è venuto a creare un duplice problema: taglio delle fermate nelle stazioni intermedie e sostanziale inutilizzo dell'abbonamento a supporto di quello regionale per viaggiare sugli ex Freccia Bianca.
- I pendolari potranno viaggiare con un'integrazione anche in futuro sulle Frecce?
- Come mai a fronte di un tempo di percorrenza immutato devono pagare di più?
- Le fermate nelle stazioni intermedie come Faenza, saranno mantenute in futuro?
 
La Regione deve essere consapevole che un gran numero di pendolari utilizzava le Frecce, calmierando di fatto la situazione sui Regionali. Se salta questo sistema (e sta già succedendo perché non tutti possono permettersi di pagare biglietti delle Frecce a prezzi assurdi e nessuno ha informazioni dalla Regione sui nuovi abbonamenti) salta tutto il trasporto Regionale.
 
Il pastrocchio degli orari della linea per Ravenna: ci sono ancora criticità introdotte l'anno passato col nuovo orario che devono essere risolte insieme ai Sindaci delle città interessate.
Vedo un sostanziale disinteresse dei Sindaci e degli assessori alla mobilità romagnoli sui temi dei pendolari: delle vicende ci si interessa solo quando si presentano problemi o lamentele.
Sulla rigenerazione della stazione di Faenza, dato che si parla di soldi regionali, anche qui i pendolari non sono MAI stati coinvolti né in fase di progetto né dopo.
Molti dei suggerimenti dati in questi anni al Comune non sono stati presi in considerazione, nonostante provenissero da chi usa il treno quotidianamente.
 
Nota finale: se si parla di patto per la mobilità bisogna cominciare ad uscire dalle stanze della Regione e tastare con mano i problemi di chi usa i mezzi pubblici.
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Il prossimo sabato 11 gennaio, presso la Sala San Carlo di Faenza, verrà presentato il libro "Cardinale Pio Laghi" curato dal vescovo Mario Toso.

Visto che sull'operato del cardinale, durante i suoi anni nell'Argentina della dittatura, continuano a permanere molte zone d'ombra, ho inviato una lettera aperta al settimanale diocesano Il Piccolo.
La condivido ora anche con le altre testate di informazione locale.
Grazie. RB
Posso provare a immaginare alcune delle motivazioni che hanno indotto il vescovo di Faenza Mario Toso a occuparsi del cardinale Pio Laghi nel libro di recente pubblicazione. Ma per ora lasciamole sullo sfondo, rimandando a un giudizio più circostanziato dopo una attenta lettura del volume.
 
A proposito del ruolo che l'allora nunzio vaticano ebbe durante gli anni della feroce dittatura in Argentina, io so che Pio Laghi si è sempre negato a un confronto pubblico per rispondere alle molte accuse che gli sono state rivolte. I più benevoli hanno scomodato la figura di Don Abbondio, per le sue debolezze e ambiguità, per i tanti silenzi che ha opposto a chi gli chiedeva una parola chiara. Un uomo fragile e inadatto a ricoprire quella alta funzione.
Ma atteniamoci ai fatti, ad alcuni fatti precisi.
 
Fin da quando (era il 1984) cominciarono a circolare le prime voci sulle sue responsabilità nell'aver coperto gli orrori della dittatura, il cardinale ha sempre sdegnosamente respinto le accuse affermando che lui “non sapeva quello che stava accadendo”. Ma come è possibile che l'ambasciatore del Vaticano non sapesse e non vedesse le violenze della dittatura con 30.000 desaparecidos, 15.000 fucilati, 9.000 prigionieri politici, un milione e mezzo di esiliati? Ma, se questo non bastasse, allarghiamo la visuale anche al mondo di cui Pio Laghi era un autorevole rappresentante.
Come in tutte le vicende lunghe e complesse, non c’è stata in Argentina una sola voce della Chiesa, ci fu chi appoggiò apertamente la giunta militare e chi invece ne denunciò la violenza e ne fu vittima. Come è possibile “non sapere e non vedere” quando furono uccisi o fatti scomparire anche centinaia di sacerdoti, suore e perfino il vescovo di La Rioja Enrique Angelelli, il 4 agosto 1976?
Angelelli (che Papa Francesco ha beatificato lo scorso anno insieme ad altri tre martiri argentini) era il simbolo di una Chiesa che all’epoca si era posta dalla parte dei lavoratori sfruttati in quelle terre, un vescovo dalla voce profetica che denunciava senza paura le ingiustizie e gli eccessi del regime. Loro vedevano, loro sapevano quello che stava accadendo.
Il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, durante l'omelia per la beatificazione, ha detto: “Di fronte a un regime che cercava di strumentalizzare la religione cristiana per i propri interessi, essi operarono perché il Vangelo diventasse fermento nella società di una umanità nuova fondata sulla giustizia, sulla solidarietà, l’uguaglianza. Scelsero, dunque, di restare fedeli a Cristo e, per questo, furono uccisi” (Avvenire, 27 aprile 2019).
 
Ma torniamo al nostro Pio Laghi.
La sua linea di difesa (“non sapevo”) durò fino al 1995 quando arrivano le prime ammissioni, prima a Famiglia Cristiana (27 aprile 1995) e poi al Resto del Carlino (30 aprile 1995). Dichiarò: “Come potevo supporre che stavo trattando con dei mostri, capaci di buttare persone dagli aerei e altre atrocità simili? Mi si accusa di delitti spaventosi per omissione di aiuto e di denuncia, quando il mio unico peccato era l’ignoranza di ciò che veramente capitava”. E poi: “Ho fatto il possibile per salvare vite umane”. Quindi sapeva. Perché allora negarlo per tanti anni?
 
La vita di Pio Laghi si intreccia con quella di un'altra faentina, Elda Casadio.
Nata a Faenza nel 1926, sposò un soldato polacco conosciuto durante la guerra, nel 1945 a Forlì nacque il suo primo figlio, Estanislao. Emigrò in Argentina nel 1946 dove è nata la sua seconda figlia, Teresa. Vivevano tranquillamente a Bernal, a 17 chilometri da Buenos Aires, fino al 1976. Il 28 maggio di quell'anno Estanislao fu sequestrato e di lui non si seppe più niente, uguale nella sorte toccata a una intera generazione pensante di intellettuali, sindacalisti, tecnici, operai (e preti e suore…).
Elda è morta nel 2006 in seguito alle ferite riportate durante una rapina subita in casa. Una vita segnata dalla violenza.
Secondo una sua testimonianza, dopo il sequestro, come altre madri e nonne, tentò tutte le strade per aver notizie del figlio. Incontrò una prima volta anche monsignor Pio Laghi, nella sede della Nunziatura apostolica di Buenos Aires, che le disse di non poter fare niente perché aveva “le mani legate”.
Stessa risposta anche durante il loro secondo incontro, qui a Faenza al Cimitero, quando le disse anche di “aver fatto tanto per tanti italiani”.
Riconoscere di avere le mani legate senza spiegare il perché, significa ammettere di avere interessi comuni e forse coinvolgimenti inconfessabili con i carnefici?
Intrattenere rapporti diplomatici con le alte cariche di uno stato rientra nelle prerogative di un nunzio apostolico ma qui si è andati ben oltre, come nei non mai smentiti incontri per amichevoli partite a tennis con l'ammiraglio Massera (e a tennis si gioca con le mani libere), “ma solo tre o quattro volte” come ammise candidamente lo stesso Laghi.
 
Il mio giudizio sull’operato di Laghi in Argentina sta tutto nelle parole dello scrittore Emilio Fermìn Mignone, autore del libro “La testimonianza negata – Chiesa e dittatura in Argentina” (EMI, 1988): “La responsabilità etica, religiosa e politica di Laghi sta nel non aver fatto pesare, attraverso una denuncia profetica e pubblica, quello stato di cose. Lo avrebbe potuto fare perché la sua influenza era immensa e un regime che si vantava di difendere la civiltà cristiana e il cattolicesimo, non avrebbe potuto resistere a una rottura con la Chiesa”.
E se davvero Pio Laghi temeva per la sua vita (come dichiarò in varie occasioni), perché non tornare a Roma e di qui far sentire la sua voce?
 
Non voglio infine entrare in un terreno che non mi compete, ma consentitemi in conclusione di esprimere la mia amarezza per l'intitolazione proprio a Pio Laghi di una sala di lettura nella nuova Biblioteca del Seminario, un pessimo esempio per i tanti giovani e gli studiosi che la frequentano, almeno fino a quando questa brutta pagina per la Chiesa (anche quella faentina) non sarà stata chiusa.
 
Renzo Bertaccini




 
 
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Purtroppo devo ancora battere sullo stesso chiodo e lo dovrò fare, temo, per molto tempo ancora. Partendo dalla lettera del prof. Minardi cercherò di esprimere al meglio quello che è il mio pensiero.
Facendo sintesi dello scritto del professore, direi che il centro del testo di Everardo Minardi si concentra sulla parola” cambiamento” e mi scuso per l’estrema sintesi.
Partiamo dai servizi socio sanitari e socio assistenziali perché questo è l’argomento che mi tocca più da vicino. Viene sottolineata come non convincente l’insistenza sulla sussidiarietà, proverò ad argomentare.

Al prof. Minardi risponderei che la sussidiarietà è già in atto da tempo intesa come iniziativa di privati (associazioni) che operano sul territorio per il bene comune senza scopo di lucro. La difficoltà di collaborare con le istituzioni locali sta nel mancato coinvolgimento delle stesse al progetto privato. Il “cambiamento” avviene dal basso e le istituzioni preposte faticano a sostenerlo divulgarlo, farlo proprio. Le resistenze e gli arroccamenti sono palpabili, il cambiamento è faticoso, bisogna saper rinunciare all’esistente e alla comodità del “fatto una volta per tutte” e immaginarsi qualcosa di diverso e contrario che mette in discussione un welfare ormai obsoleto. 

Cambiare non può voler dire mettere delle toppe al sistema, vuol dire capovolgere il sistema. Cambiare la cultura dell’ assistenzialismo per quella della promozione umana, per accompagnare le persone in un percorso di autonomia e autodeterminazione. Sul territorio sono in atto, ormai da tempo, proposte, iniziative, progetti che vanno in questa direzione nei vari ambiti della vita di comunità. 

Questo vale per tutti, per i bambini, nella scuola, per i disabili costruendo percorsi educativi, lavorativi, abitativi.  Per gli anziani che devono vivere più a lungo nelle loro case  con un supporto leggero che si può fare se accompagnato da buone pratiche e progetti qualificanti.

L’associazione G.R.D. oltre ad aver messo in piedi un lavoro altamente educativo e innovativo e che mira alla piena inclusione delle persone con disabilità nella comunità e nella società , ha costruito un rete di supporto riuscendo a coinvolgere altre associazioni di ogni settore e privati cittadini a condividere i progetti, le iniziative i sogni di autonomia dei nostri ragazzi che hanno scoperto con stupore la meraviglia della conoscenza, della consapevolezza di se e dei “loro” desideri.

Direi, caro Everardo Minardi, che c’è già un gran lavoro dal basso che viene disatteso dalle istituzioni che si sono “incartate” in un sistema difficile da smantellare in quanto  condizionato da privilegi acquisiti come diritti e che orientano fortemente le scelte politiche.

 Per fare un lavoro che guardi al benessere collettivo delle persone bisogna essere liberi da strutture e, una volta si diceva sovrastrutture, ma soprattutto bisogna essere in grado di fare scelte anche impopolari, almeno per il momento ,per progettare a medio e lungo termine e  poter guardare con fiducia al futuro.  Spesso non è neanche questione di soldi ma da come si spendono,(male).

 Del resto, a dichiarazione del Presidente Bonaccini , la regione spende 48 milioni l’anno per la disabilità cioè 3 in più di quanto lo stato spende per il resto delle regioni italiane. Dovremmo avere tappeti d’oro, invece non abbiamo un soldo per un progetto che supporti  un “dopo di noi” in appartamento con 6 persone ed un unico operatore.  Il carrozzone istituzionale spesso non è la soluzione, ma il problema.

Per l’Altra Faenza : al momento , come si evince da quello che ho or ora descritto, pensare che l’ istituzione sia la protagonista di questo cambiamento e possa intervenire sul sistema in atto è pura follia. Alla presentazione della lista Emilia-Romagna coraggiosa ero presente e anche in quell’ occasione si è parlato di cambiamento e del primato della persona. Però non ci è stato spiegato come si intende procedere.

Negli anni i discorsi , le premesse, “bisogna fare questo e quello“ sono rimaste lettera morta, passa il periodo elettorale e tutto ricomincia come prima anche perché e non solo, si parla troppo, e non si ascolta.

Com’è possibile che nessuno degli oratori e degli organizzatori non abbiano pensato di fare un dibattito pubblico?

Come pensano di mettere al centro la persona se non si parte dal concetto quello si rivoluzionario, “io non sono qui per parlare, ma per ascoltare"?

Le persone sono portatrici di esperienze, di vita vissuta, vivono ogni giorno con i loro cari, malati, vecchi, disabili, li conosciamo più del medico , dell’assistente sociale, del sociologo, del professore universitario.

Nonostante questo abbiamo chinato la testa e ci siamo fatti dire dove sbagliavamo, come dovevamo correggere il nostro intervento, come cambiare mentalità, come guardare i nostri figli con occhi diversi che non sono quelli della compassione o del “decido io quello che va bene per te” ma insieme a loro abbiamo tracciato un percorso condiviso che porteremo fino in fondo che la politica ci supporti o meno.

Non abbiamo bisogno di politici che ci dicano cosa loro pensano di fare per noi , ma uomini di buona volontà che si pieghino sulle persone più fragili e ci chiedano “dimmi cosa io posso fare per te?”

Bisogna cambiare proprio il concetto di potere.  Il potere non come privilegio di decidere della vita delle persone, ma come servizio per il bene di tutti.

A volte, il vuoto culturale che si respira nei contatti con le istituzioni è talmente invasivo che istintivamente si tende a sottrarsi per evitare ulteriori stress o inutili dialoghi fra sordi. Se pensate che serve cambiare tutto questo bisogna incominciare dal nostro territorio e la transizione, con queste premesse, non sarà facile né breve.

In bocca al lupo!!!!

Rita Menichelli

 

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Partendo da un testo di Everardo Minardi, parliamone!

 Scrive il Prof. Everardo Minardi: “In questo periodo si stanno preparando idee, programmi per i prossimi incontri elettorali. Da ciò il dovere di contribuire alla comune riflessione. È quanto mi permetto di proporre nel testo che provvedo ad allegare. Sarò sinceramente grato per chi vorrà farmi avere le osservazioni, le critiche, le proposte che si riterranno utili”.
Noi lo prendiamo in parola, pubblicando il suo testo - che invitiamo a leggere - premettendo qualche breve osservazione, anche critica, con l'invito, per chi vuole, a interloquire con Minardi, oltre che con questo sito. L’auspicio è quello di contribuire ad avviare una riflessione che vada oltre gli slogan elettorali e le semplificazioni attraverso un post su facebook o whatsapp, come ahimè spesso siamo abituati a fare.

 È certamente condivisibile la premessa sul mutamento nella composizione

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Note sul contesto sociale e politico regionale e locale
di Everardo Minardi
Premessa
Gli eventi politici che si stanno configurando per l’area regionale e per alcuni territori comunali richiamano l’attenzione nei confronti del mutamento molto rapido intervenuto nella composizione dei vecchi e nuovi raggruppamenti di interesse politico; anche perché ciò si tradurrà in diverse soluzioni di rappresentanza elettorale della popolazione e in diverse pratiche di gestione e di amministrazione delle funzioni e delle risorse proprie delle autonomie locali e dell’ente di governo regionale.
Da ciò la riconosciuta opportunità di una riflessione che consenta di individuare gli elementi caratterizzanti della vita democratica delle istituzioni regionali e locali; anche e soprattutto di fronte a profonde trasformazioni che possono intervenire nei sistemi di rappresentanza degli interessi politici e nei sistemi di governance delle istituzioni di governo locale.
Non si può peraltro dimenticare la situazione in atto di cambiamento di alcuni caratteri propri della realtà regionale, quali il decremento demografico (ancora più forte rispetto ad altre regioni), la riduzione drastica di formazione delle nuove famiglie, la presenza consistente di popolazione immigrata da altri paesi, soprattutto da paesi dell’est europeo, che risentono della riduzione delle risorse pubbliche destinate alla qualità della vita sociale ed ai percorsi di una vera e propria inclusione sociale.
A ciò si aggiungono non solo una riduzione delle opportunità occupazionali in posizioni lavorative di carattere tradizionale, ma anche una tendenziale riduzione delle nuove imprese costituite soprattutto da giovani; tali elementi non possono non tenere conto di un minore peso del settore agricolo e di espressioni proprie del settore artigianale e piccolo industriale, che da sempre costituivano un profilo significativo della realtà regionale, ma anche di

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