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Purtroppo devo ancora battere sullo stesso chiodo e lo dovrò fare, temo, per molto tempo ancora. Partendo dalla lettera del prof. Minardi cercherò di esprimere al meglio quello che è il mio pensiero.
Facendo sintesi dello scritto del professore, direi che il centro del testo di Everardo Minardi si concentra sulla parola” cambiamento” e mi scuso per l’estrema sintesi.
Partiamo dai servizi socio sanitari e socio assistenziali perché questo è l’argomento che mi tocca più da vicino. Viene sottolineata come non convincente l’insistenza sulla sussidiarietà, proverò ad argomentare.

Al prof. Minardi risponderei che la sussidiarietà è già in atto da tempo intesa come iniziativa di privati (associazioni) che operano sul territorio per il bene comune senza scopo di lucro. La difficoltà di collaborare con le istituzioni locali sta nel mancato coinvolgimento delle stesse al progetto privato. Il “cambiamento” avviene dal basso e le istituzioni preposte faticano a sostenerlo divulgarlo, farlo proprio. Le resistenze e gli arroccamenti sono palpabili, il cambiamento è faticoso, bisogna saper rinunciare all’esistente e alla comodità del “fatto una volta per tutte” e immaginarsi qualcosa di diverso e contrario che mette in discussione un welfare ormai obsoleto. 

Cambiare non può voler dire mettere delle toppe al sistema, vuol dire capovolgere il sistema. Cambiare la cultura dell’ assistenzialismo per quella della promozione umana, per accompagnare le persone in un percorso di autonomia e autodeterminazione. Sul territorio sono in atto, ormai da tempo, proposte, iniziative, progetti che vanno in questa direzione nei vari ambiti della vita di comunità. 

Questo vale per tutti, per i bambini, nella scuola, per i disabili costruendo percorsi educativi, lavorativi, abitativi.  Per gli anziani che devono vivere più a lungo nelle loro case  con un supporto leggero che si può fare se accompagnato da buone pratiche e progetti qualificanti.

L’associazione G.R.D. oltre ad aver messo in piedi un lavoro altamente educativo e innovativo e che mira alla piena inclusione delle persone con disabilità nella comunità e nella società , ha costruito un rete di supporto riuscendo a coinvolgere altre associazioni di ogni settore e privati cittadini a condividere i progetti, le iniziative i sogni di autonomia dei nostri ragazzi che hanno scoperto con stupore la meraviglia della conoscenza, della consapevolezza di se e dei “loro” desideri.

Direi, caro Everardo Minardi, che c’è già un gran lavoro dal basso che viene disatteso dalle istituzioni che si sono “incartate” in un sistema difficile da smantellare in quanto  condizionato da privilegi acquisiti come diritti e che orientano fortemente le scelte politiche.

 Per fare un lavoro che guardi al benessere collettivo delle persone bisogna essere liberi da strutture e, una volta si diceva sovrastrutture, ma soprattutto bisogna essere in grado di fare scelte anche impopolari, almeno per il momento ,per progettare a medio e lungo termine e  poter guardare con fiducia al futuro.  Spesso non è neanche questione di soldi ma da come si spendono,(male).

 Del resto, a dichiarazione del Presidente Bonaccini , la regione spende 48 milioni l’anno per la disabilità cioè 3 in più di quanto lo stato spende per il resto delle regioni italiane. Dovremmo avere tappeti d’oro, invece non abbiamo un soldo per un progetto che supporti  un “dopo di noi” in appartamento con 6 persone ed un unico operatore.  Il carrozzone istituzionale spesso non è la soluzione, ma il problema.

Per l’Altra Faenza : al momento , come si evince da quello che ho or ora descritto, pensare che l’ istituzione sia la protagonista di questo cambiamento e possa intervenire sul sistema in atto è pura follia. Alla presentazione della lista Emilia-Romagna coraggiosa ero presente e anche in quell’ occasione si è parlato di cambiamento e del primato della persona. Però non ci è stato spiegato come si intende procedere.

Negli anni i discorsi , le premesse, “bisogna fare questo e quello“ sono rimaste lettera morta, passa il periodo elettorale e tutto ricomincia come prima anche perché e non solo, si parla troppo, e non si ascolta.

Com’è possibile che nessuno degli oratori e degli organizzatori non abbiano pensato di fare un dibattito pubblico?

Come pensano di mettere al centro la persona se non si parte dal concetto quello si rivoluzionario, “io non sono qui per parlare, ma per ascoltare"?

Le persone sono portatrici di esperienze, di vita vissuta, vivono ogni giorno con i loro cari, malati, vecchi, disabili, li conosciamo più del medico , dell’assistente sociale, del sociologo, del professore universitario.

Nonostante questo abbiamo chinato la testa e ci siamo fatti dire dove sbagliavamo, come dovevamo correggere il nostro intervento, come cambiare mentalità, come guardare i nostri figli con occhi diversi che non sono quelli della compassione o del “decido io quello che va bene per te” ma insieme a loro abbiamo tracciato un percorso condiviso che porteremo fino in fondo che la politica ci supporti o meno.

Non abbiamo bisogno di politici che ci dicano cosa loro pensano di fare per noi , ma uomini di buona volontà che si pieghino sulle persone più fragili e ci chiedano “dimmi cosa io posso fare per te?”

Bisogna cambiare proprio il concetto di potere.  Il potere non come privilegio di decidere della vita delle persone, ma come servizio per il bene di tutti.

A volte, il vuoto culturale che si respira nei contatti con le istituzioni è talmente invasivo che istintivamente si tende a sottrarsi per evitare ulteriori stress o inutili dialoghi fra sordi. Se pensate che serve cambiare tutto questo bisogna incominciare dal nostro territorio e la transizione, con queste premesse, non sarà facile né breve.

In bocca al lupo!!!!

Rita Menichelli