Tra i peggiori incubi che attanagliano gli italiani, il più terrificante, io credo, è quello di ammalarsi nel fine settimana. Si cerca in ogni modo di evitarlo, ma è inutile, quanto succede comincia l’incubo, perché ci si trova di fronte a sole tre possibilità: la prima è resistere stoicamente chiusi in casa, prendendo di tutto di più e a caso, nella speranza, vana, di guarire. La seconda è andare alla guardia medica, dove spesso si trovano ottimi dottori, ma altrettanto spesso neolaureati con scarsa o nessuna esperienza, e allora sai che è inutile invocare Ippocrate, ci vuole solo una buona stella. La terza, invece, è quella di andare nel posto più logico, laddove si dovrebbero trovare le persone ammalate: cioè in ospedale. E’ questa la scelta più naturale, ma paradossalmente la più rischiosa, perché sarà come entrare in un tunnel senza uscita.
Mi è capitato, infatti, recentemente di doverlo fare; non a causa di un calcolo sbagliato, ma di un calcolo renale e basta. Bene. Sono entrato nel tunnel dantesco del Pronto Soccorso della mia città, un sabato alle due del pomeriggio col codice verde. Tenete presente che quel Pronto lascia intuire un soccorso rapido. Ebbene, ne sono uscito, sicuramente molto rigenerato nello spirito, alle dieci di sera, volontariamente, senza essere stato visitato, e dopo essere stato avvisato che probabilmente avrei fatto notte fonda.
Da questa esperienza tragicamente fantozziana, ho capito che in quei luoghi si entra, ma non si sa quando si potrà uscirne e che vanno affrontati armati di tutto punto, come si farebbe se si trattasse di uno spensierato picnic, cioè carichi di panini e plaid utili a passare la notte (una sola?) seduto su di una sedia.
Questa è la nostra Sanità, la famosa eccellenza del nord, tanto sbandierata a destra e a sinistra.
Ogni volta che si parla di queste cose, c’è sempre qualche alto dirigente che tira fuori la storia delle scarse risorse disponibili e quindi la doverosa chiusura di un ospedale, la razionalizzazione dei servizi e l’immancabile lotta termonucleare ai rami secchi e agli sprechi. Già, i famosi sprechi. Che ormai dalle nostre parti sono diventati come il prezzemolo, sempre presente in ogni brodetto. Peccato che poi ognuno chiama spreco quello che gli fa comodo. Ad ascoltare loro non ci dormono la notte, sono sempre lì a tagliare lo spreco; e dire che se guardiamo i risultati non si può non essere perplessi e domandarsi a cosa è servita tanta smania da boscaiolo. E lo si è ancora di più, perplessi, quando vieni a sapere dalle persone che ci lavorano, che in certi ospedali pare prassi normale per primari o medici con studio privato "fare la spesa gratuita", di quello che a loro serve, prelevando direttamente dall’ospedale pubblico.
A questo punto la confusione aumenta e la domanda sorge maliziosa e spontanea: ma allora, non saremo proprio noi, i cittadini ammalati, quei famosi sprechi da tagliare?
Commenta (0 Commenti)Non parlo da molto tempo del Pd e delle sue (stupefacenti) vicende interne, innanzitutto perché quando si hanno guai seri in casa propria non è davvero il caso di criticare in casa d’altri . E poi, lasciatemelo dire, nello stato in cui è l’opposizione in parlamento, è come sparare sulla Croce Rossa: sport che, tuttavia, non esitano, quotidianamente, a praticare giornaloni e giornalini nazionali, sicuri così di contribuire alla rigenerazione della sinistra! Per chi ci crede …
Ma ora, alla fine, ci sono le primarie. Un rito che non ho mai condiviso (anche per la mancanza di regole giuridiche certe e di controllo da parte di terzi) e che, testone come sono, continuo a considerare uno strumento a volte accettabile solo se servono a scegliere un candidato al parlamento o (nei sistemi presidenziali) un candidato presidente. Mai e poi mai quando (da statuto interno) dovrebbero servire a scegliere un segretario di partito. Le ritengo un buon mezzo per scardinare la democrazia nei e dei partiti non meno delle spesso risibili consultazioni on line o delle acclamazioni assembleari di leader preconfezionati.
Ed è un fatto che alle primarie del partito democratico guarda una parte del “volgo disperso che nome non ha”.
” Col misero orgoglio d’un tempo che fu.
S’aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà …
Ecco allora parlarne si deve e si può, e l’intervista di Goffredo De Marchis a Maurizio Martina su Repubblica del 23 febbraio
Leggi tutto: Martina e il suo listone - di Alessandro Messina
Commenta (0 Commenti)“La legge di bilancio varata dal Governo è inadeguata rispetto alle esigenze del lavoro e dell'equità sociale e carente di una visione strategica... questo si legge nella piattaforma di Cgil Cisl Uil su cui è indetta la manifestazione. Convengo su queste critiche al Governo, così come sono contro alle azioni che - Salvini in particolare – svolge per creare un clima di odio verso i più deboli, a partire dal “decreto sicurezza”.
Ma quando leggo che il Presidente di Confindustria Maggioli, a proposito del decreto che pone una moratoria di 18 mesi per nuove ricerche e trivellazioni, dichiara:
Sfileremo anche noi a Roma il prossimo 9 febbraio nella manifestazione organizzata da Cgil, Cisl e Uil, perché l’intesa raggiunta dal Governo é un pasticcio che può fare danni di proporzioni inimmaginabili” ... ... il nuovo testo non si limita a bloccare nuove perforazioni ma assoggetta alle previsioni del futuro Piano per la transizione energetica anche la prosecuzione delle estrazioni in essere...Con le nuove norme – denuncia Maggioli – saremo in balia di qualcuno che tra 18 mesi ci dirà quali aree di coltivazione siano compatibili e quali no...
io, penso il contrario e preferirei non sfilare insieme a lui.
Ben venga un vero piano per la transizione energetica, che preveda la riduzione delle estrazioni e solo in aree compatibili, mantenendo i giacimenti come “riserva strategica” da utilizzare eventualmente in futuro e investendo da subito sulla transizione del modello energetico verso tutte le fonti rinnovabili (un settore che già oggi occupa oltre 60mila addetti e può avere grande espansione).
I consumi di idrocarburi in Italia stanno già progressivamente diminuendo e il contributo delle estrazioni italiane è minimo; se si potessero usare tutte le riserve di petrolio presenti nel mare italiano si coprirebbe il fabbisogno di 7 settimane e con quelle di gas appena 6 mesi.
Ormai tutti (a parte Trump e pochi altri) riconoscono che le emissioni delle fonti fossili sono responsabili dei cambiamenti climatici, ma le estrazioni di idrocarburi, a terra e in mare, nelle nostre zone, già producono subsidenza, anche questi sono argomenti rilevanti, che non possono essere lasciati solo alle associazioni del turismo.
Qualcuno ha sollevato il problema occupazionale per i lavoratori del settore, sono molto sensibile a quest'argomento, ma occorre confrontarsi su dati reali e non su quelli improbabili fatti circolare.
Da sindacalista mi sono occupato, ed ad altro titolo mi occupo, di transizione energetica e di come si possano riconvertire posti di lavoro che progressivamente saranno persi nei settori più legati al fossile (vale per le centrali a carbone, per l'oli&gas, per la filiera dell'automotive a combustione interna, ecc.) ma per questo servono precise scelte e investimenti pubblici e privati.
Si può criticare il Governo perché ha previsto pochi investimenti, anche in questo settore, ma quanto investono le aziende private e a partecipazione pubblica? Alcune più innovative lo fanno, altre poco o per nulla, come ENI che pensa solo a difendere la rendita di posizione del passato (e ci pare che lo stesso valga per Confindustria di Ravenna).
Coloro che pensano che il futuro possa vedere una diversa qualità dello sviluppo, dove la sostenibilità valga per l'economia, per l'ambiente, per il lavoro e per tutta la società, dovrebbero battersi per vere scelte innovative, contrastando tesi come quelle di Confindustria, a partire dalle Organizzazioni sindacali, che dovrebbero rivendicare queste innovazioni alle imprese.
Nel recente congresso della Cgil, da Ravenna, è stato presentato un emendamento, poi accolto a livello nazionale:
...la CGIL, in coerenza con le priorità dell’Onu e per l’Italia dell’Asvis, si batte insieme alla comunità scientifica e ai movimenti ambientalisti affinché si avvii un ambizioso processo di transizione che dall’economia globale conduca verso un’economia ecologica e circolare.
È sempre più necessario, infatti, limitare i cambiamenti climatici, liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili, affermare nuovi modelli di consumo, raggiungere l'obiettivo dei rifiuti zero, e garantire a tutti, oltre che la sicurezza alimentare, anche l’accesso a uno dei beni più preziosi: l'acqua potabile.
La diffusione di una cultura della sostenibilità - che privilegi la qualità rispetto alla quantità dello sviluppo - deve investire ogni comparto del sistema produttivo, della mobilità, dei consumi; deve vedere una assunzione di responsabilità del sindacato in tutta la sua pratica contrattuale, oltre che dei singoli individui.
Per quanto mi riguarda io sfilerò a Roma anche su questi contenuti.
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In molti pensiamo che ci possa essere un'altra qualità dello sviluppo: con l’uscita dai combustibili fossili, dove ambiente e lavoro non siano in contraddizione. A Ravenna, sulle trivelle, non è così
Ci era sembrato che, sulla questione trivellazioni, l’emendamento al decreto semplificazioni, fosse moderato e di buonsenso: un piano per la transizione energetica, che dovrebbe essere definito entro 18 mesi, nel frattempo una piccola moratoria ed un aumento dei canoni delle concessioni (che erano universalmente i più bassi). Questo, anche per controbilanciare e bloccare per il futuro, autorizzazioni per ricerche ed estrazioni in particolare in zone sensibili, concesse invece anche vicino a noi nelle zone di Lugo, Bagnacavallo, ecc.. In pratica cambia ben poco, il decreto non interessa le attività in essere, ma le nuove concessioni per la ricerca.
Le associazioni ambientaliste si sarebbero aspettate di più “Più che una moratoria un time out”.
Mentre la lobby dell’oil &gas (ROCA club, ENI, Confindustria Romagna, il consigliere regionale Bessi, loro paladino, ecc.) naturalmente sta tentando il massimo della drammatizzazione (anche con argomenti e dati improbabili) e paventa la perdita di migliaia di posti di lavoro, a Ravenna la politica che conta (dal Pd, alla Lega, a Forza Italia) si sdraia acriticamente su queste posizioni.
La lettera al Governo promossa dal Sindaco de Pascale è emblematica.
Solo Confesercenti, coerentemente con le perplessità manifestate in più sedi sulla convivenza turismo-trivellazioni/estrazioni, non ha sottoscritto il testo del manifesto.
Purtroppo anche i sindacati si sono semplicemente accodati a queste posizioni, senza avanzare alcuna rivendicazione alle aziende coinvolte, a partire da ENI, per una progressiva riconversione del settore; che è l’unica possibilità per salvaguardare professionalità e i posti di lavoro per il futuro.
Molto opportunamente Legambiente regionale sottolinea che la fine del fossile comunque ci sarà e riconvertire il settore è una necessità per il clima e per garantire posti di lavoro.
Se il settore teme la crisi si investa in rinnovabili. E chiede a ENI: Quanta energia green ha prodotto in Emilia Romagna?
La domanda è particolarmente pertinente, visti gli impegni presi con l'accordo di Parigi del 2015, e sviluppati nella bozza del Piano Energia e Clima, per accelerare la transizione energetica, che prevede al 2030, un 30% di energia rinnovabile sui consumi totali (oggi siamo a poco più del 18%).
Diversi settori imprenditoriali, tante aziende innovative, si stanno predisponendo per ridurre i consumi di combustibili fossili, per sviluppare l'efficienza energetica, per ridurre le emissioni, nei cicli produttivi, nei prodotti, nei trasporti.
Enel, soprattutto con Green Power, è ormai una delle aziende leader a livello mondiale nello sviluppo di fonti rinnovabili (purtroppo più all'estero che in Italia); ENI invece, nonostante la sua “pubblicità verde”, frena e continua a puntare solo sulle fonti fossili (da ultimo l'investimento di 3,3 Mld negli Emirati Arabi); eppure sono entrambe società controllate dallo Stato.
Sono questioni sulle quali la politica, ed in particolare le varie componenti della sinistra, e/o del centrosinistra, dovrebbero impegnarsi di più, superando vecchie impostazioni industrialiste e produttiviste, (importante l'intervento di Art.1 Non serve contrapporre ecologia e lavoro per un futuro sostenibile) perché l'idea di una società, più equa e solidale, deve comprendere un modello di sviluppo, e di uso delle risorse, sostenibile.
Anche nel movimento sindacale, non tutti sono solo a difesa dell'esistente, la riflessione è aperta, a questo proposito, riportiamo uno stralcio di una nota della Fiom nazionale:
La transizione energetica nei comparti metalmeccanici
...il nostro impegno coerente deve basarsi su ragioni di carattere generale, certo per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, ma per farlo efficacemente, con il coinvolgimento dei lavoratori che vogliamo rappresentare – senza i quali non può realizzarsi una transizione giusta - dobbiamo riuscire a incrementare posti di lavoro qualificati nei settori innovativi, a fronte di altri posti che si perderanno in quelli tradizionali, per una complessiva innovazione del sistema produttivo che può e deve coniugarsi con le migliori esperienze della digitalizzazione e di “Impresa 4.0”.
Pensiamo agli impatti, sia dal punto di vista generale, che nei comparti metalmeccanici, di alcuni settori:
- dell’automotive e della mobilità, all’enorme impatto che avrà la progressiva sostituzione di mezzi a combustione interna con quella elettrica o ad altre propulsioni, sia per i mezzi privati che per il trasporto pubblico;
- alla progressiva riduzione dei combustibili fossili, con la fine dell’uso del carbone (di cui la SEN prevede la chiusura delle centrali a carbone, ancora funzionanti, entro il 2025); il restringimento dei settori delle estrazioni e della raffinazione e quindi le ricadute in quelli dell’oil & gas.
- al possibile, e necessario, grande sviluppo di tutte le fonti rinnovabili, a partire dal solare e dall’eolico (per il quale sarebbe necessario puntare su quello offshore), ma anche del biogas, della geotermia, ecc.;
- alle grandi opportunità per l’autoproduzione, e soprattutto per l’efficienza energetica in tutti i settori, a partire da Interventi radicali di efficientamento energetico per la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri (deep renovation).
Sono questioni complesse, sarebbe importante continuare a rifletterci: nel nostro piccolo, siamo a disposizione.
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Il 15 marzo è prevista una manifestazione contro il cambiamento climatico: gli studenti in prima fila per difendere l'ambiente
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Per raccontare un'altra storia sull'immigrazione, continua la riflessione:
Ero presente a comporre la catena umana che, anche a Faenza, ha testimoniato la volontà di inclusione, di accoglienza nei confronti dei migranti.
È stata una bella occasione ascoltare brani, testimonianze ed infine trovarci tutti a dare la mano a quelli, conosciuti o sconosciuti, con cui abbiamo condiviso l’esperienza.
Oggi, passata l’emozione, vorrei condividere questo pensiero; parto da una semplice esperienza; io e mia moglie conosciamo una coppia di amici; ogni tanto, non spesso, condividiamo una serata, una pizza, una passeggiata; loro lavorano entrambi nella sanità pubblica; ultimamente ci hanno detto di essere molto amareggiati dalla situazione che vivono sul lavoro; nei loro ambulatori sono presenti e vengono a richiedere interventi (a volte anche molto specialistici e costosi) in maggioranza stranieri; e questo porta i nostri amici ad esprimere una posizione di forte contrarietà ad ogni atteggiamento di accoglienza; questo perché ne segue un cattivo, pessimo servizio a chi qui a Faenza ci abita fin dalla nascita; sono rimasto molto stupito da queste loro espressioni (perché conosco questi amici come persone equilibrate e molto attente alle altre persone, al prossimo); questo mi porta a riflettere di più su questa nostra volontà di apertura ed inclusione agli altri.
Il governo, le forze politiche che hanno fatto del respingimento degli stranieri la loro bandiera hanno parlato alla nostra parte emotiva, alla nostra pancia; ma se reagiamo mettendoci sullo stesso piano, puntando alla sensibilità delle persone non credo che raggiungeremo buoni risultati.
Non penso che dobbiamo limitarci a dire che al governo sono cattivi e bugiardi; io non mi sento né buono né buonista, ma mi ritengo un essere razionale; è con la ragione che dobbiamo parlare ai nostri concittadini; le informazioni che ci arrivano dicono chiaramente che questo fenomeno delle migrazioni non è limitato a pochi mesi, ma che caratterizzerà questi anni come fenomeno epocale; razionalmente non possiamo pensare di arginare spinte (legate alla guerra o alla povertà, causate dalla Francia, dagli USA o dal dittatore locale non importa…) che riguardano milioni di persone; dobbiamo quindi continuare a cercare strade concrete e serie per fare diventare l’inclusione una realtà; ma non possiamo accontentarci di una manifestazione; qualcuno ha detto “bella… eravamo tanti...” ; si, tanti da circondare i quattro lati di Piazza del Popolo, ma pur sempre un piccolo gruppo, una esigua minoranza; se vogliamo incidere sulle scelte della nostra città e del paese dobbiamo allargare il confronto, essere più disponibili con chi la pensa un po diverso da noi; dobbiamo puntare a convincere gli altri (partendo come sempre da chi abbiamo accanto) che la strada è quella di “costruire” ( relazioni, processi…..) e non chiudere o tagliare; e creare realtà non transitorie, effimere, ma “sostenibili”, nel suo significato più profondo cioè che siano in grado di durare a lungo nel tempo, anche per le generazioni future; e dobbiamo puntare ad essere una “maggioranza” che la pensa così. Proviamo ad allargare quel cerchio, quel perimetro che abbiamo realizzato attorno a Piazza del Popolo…..
Massimo Donati