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Austria e Svezia. Modelli differenti che aprono lo spiraglio per la soluzione politica della guerra tra Russia e Ucraina

Aldo Garzia (@aldo_garzia) / Twitter

 

Aldo Garzia

Neutralismo modello Austria o Svezia? È questo lo spiraglio per la soluzione politica della guerra tra Russia e Ucraina. Nella Costituzione di Vienna compare infatti una formale dichiarazione di neutralità dal 26 ottobre 1955: stabilisce che l’Austria non può prendere posizione sulle controversie internazionali. Ha più di un secolo invece il neutralismo della Svezia che risale alle fine delle guerre napoleoniche.

Dal 1945 al 1955 il territorio austriaco fu occupato da truppe sovietiche, statunitensi, francesi e britanniche (le prime ad arrivare furono quelle di Mosca). L’attuale neutralismo austriaco è la conseguenza dell’accordo firmato tra Unione sovietica e il governo di Vienna il 26 ottobre 1955 (è passato alla storia come «memorandum di Mosca»). Si formalizzava così lo status del paese invaso da Hitler (la famosa Anschluss del 1938) in un modello politico simile a quello della Svizzera. Nel maggio dello stesso anno il governo sovietico controfirmava l’accordo dandogli l’alta dignità di una intesa tra Stati. La riuscita mediazione internazionale impedì di conseguenza l’adesione dell’Austria alla Nato. Quest’ultima era considerata da Mosca la condizione preliminare del ritiro dei propri armamenti da quella porzione di Europa. Stati uniti, Francia e Gran Bretagna diedero il proprio beneplacito a quella soluzione diplomatica.

Un ruolo di primo piano nel negoziato fu svolto da Leopold Figl, ministro degli Esteri di Vienna, che diede la notizia dell’intesa raggiunta affacciandosi dal balcone del Castello del Belvedere della capitale austriaca. Il 26 ottobre 1955 tutte le truppe straniere abbandonarono il paese. Quella data è ora la festa nazionale austriaca. Nel 1994, è stata riformulata la neutralità costituzionale austriaca: «All’Austria è attribuita la difesa nazionale nel suo complesso. Il suo compito è quello di proteggere l’indipendenza verso l’esterno, nonché l’inviolabilità e l’unità del territorio federale, particolarmente per preservare e difendere la neutralità perpetua. In questo modo anche le istituzioni costituzionali e la loro libertà di azione, nonché le libertà democratiche della popolazione vanno protette e difese da aggressioni violente dall’esterno». È una soluzione che potrebbe calzare a pennello per il caso Ucraina.

Molto diversa è la storia della Svezia, paese rimasto neutrale nella Prima e Seconda guerra mondiale. Il governo di Stoccolma diede però l’autorizzazione formale ad attraversare il proprio territorio ai convogli hitleriani che si dirigevano verso l’Unione sovietica passando per Danimarca e Norvegia. Stessa autorizzazione fu poi data alle truppe antihitleriane dal 1944 in avanti. Nel 1949, venne poi la scelta svedese di non far parte della Nato confermando il proprio status di «neutralità convenzionale».

I governi socialdemocratici svedesi del secondo dopoguerra – in particolare quelli guidati dal premier Olof Palme – si sono caratterizzati per la propria Ostpolitik dialogante tra Ovest e Est, molto simile a quella seguita dal socialista Willy Brandt nella Germania federale. Dopo gli eventi seguiti al 1989 (caduta del Muro di Berlino, dissoluzione dell’Urss), la Svezia ha aumentato i propri investimenti nella politica di difesa e di collaborazione con i paesi nordici aderenti al Patto Atlantico. Nel 2015 in particolare è stato rafforzato il dispositivo di difesa che ha nell’isola di Gotland del mar Baltico la propria base strategica.

Recenti sondaggi di opinione indicano che una risicata maggioranza di svedesi è attualmente per mantenere la neutralità storica del proprio paese. L’invasione russa dell’Ucraina fa paura pure a Stoccolma.