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Foto di Tomaso Montanari

È davvero inaccettabile il linciaggio politico-mediatico degli oltre 400 professori universitari (tra i quali spicca Alessandro Barbero: cui in queste ore viene fatta pagare soprattutto la sua posizione sulle Foibe) che hanno firmato un appello critico sul green pass (https://nogreenpassdocenti.wordpress.com/). Pur essendo debole sul piano giuridico (Costituzione e diritto europeo) e pur ammiccando al tono apocalittico di chi assimila le vaccinazioni alle persecuzioni (ragioni per le quali non ho firmato), l’appello ha il merito di porre sul tappeto una serie di questioni sostanziali, largamente eluse dalla propaganda governativa. Quei professori, insomma, fanno il loro mestiere: esercitano il pensiero critico, e lo fanno in pubblico. E fa impressione che dal vertice del mondo accademico la questione dei diritti costituzionali venga liquidata come «di lana caprina».

I docenti affermano che il lasciapassare «estende, di fatto, l’obbligo di vaccinazione in forma surrettizia per accedere anche ai diritti fondamentali allo studio e al lavoro, senza che vi sia la piena assunzione di responsabilità da parte del decisore politico», e auspicano che «si avvii un serio dibattito politico, nella società e nel mondo accademico tutto (incluse le sue fondamentali componenti amministrativa e studentesca), per evitare ogni penalizzazione di specifiche categorie di persone in base alle loro scelte personali e ai loro convincimenti, per garantire il diritto allo studio e alla ricerca e all’accesso universale, non discriminatorio e privo di oneri aggiuntivi (che sono, di fatto, discriminatori) a servizi universitari». È difficile non condividere sia la constatazione che l’auspicio: perché una sempre più violenta caccia alle streghe (https://volerelaluna.it/opinioni/2021/09/08/il-green-pass-attenti-al-virus-dellintolleranza/) copre la fuga del Governo Draghi dalle proprie responsabilità.

L’arbitrio, le discriminazioni e le aporie del green pass potrebbero essere tutti superati dal coraggio di introdurre l’obbligo vaccinale (è la posizione di Barbero, ma non dei promotori dell’appello), come suggerisce anche Maurizio Landini. Perché è davvero pazzesco che il passaporto sanitario sia (per esempio) necessario per pranzare alla mensa della fabbrica, ma non nel ristorante dell’albergo di lusso; per passeggiare in un parco monumentale, ma non per consumare superalcolici al banco; per andare a teatro, ma non alla messa; per andare all’università ma non al supermercato; per salvare la vita dei ricchi sulle Frecce (170.000 al giorno), ma non per tutelare i 6 milioni di pendolari che ogni giorno viaggiano sui treni locali… Né è giusto che ad alcune categorie professionali sia imposto, e ad altre (non a minor rischio) invece no. Con l’obbligo, al contrario, lo Stato parlerebbe con chiarezza, forza ed eguaglianza: assumendosi la responsabilità di scelte che pressoché nessuno è in grado di fondare su una vera consapevolezza scientifica. E se la risposta fosse che la natura ancora sperimentale del vaccino (o altre circostanze scientifiche e giuridiche) non consentono di stabilire l’obbligo, ebbene allora sarebbe almeno chiaro che quello stesso obbligo non può essere imposto nemmeno surrettiziamente, come sta accadendo.

Ma la vera domanda che quell’appello spinge a farsi è: davvero abbiamo bisogno di un obbligo (esplicito o mascherato che sia)? In Italia abbiamo vaccinato oltre l’80% della popolazione vaccinabile (dunque esclusi i sei milioni sotto i 12 anni e chi non può vaccinarsi per ragioni mediche), e non certo grazie all’imposizione del lasciapassare (lo hanno argomentato molto bene i Wu Ming in un lungo e assai lucido articolo online: https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/08/ostaggi-in-assurdistan/). E dunque, a cosa serve il green pass (misura, ricordiamolo, senza veri paragoni all’estero, Francia esclusa), e a cosa potrebbe un domani servire l’obbligo (https://volerelaluna.it/commenti/2021/08/06/noi-il-vaccino-e-la-pandemia-il-green-pass-e-davvero-la-soluzione/)?

Da una parte sono funzionali ad alimentare la logica del nemico pubblico: il pestaggio mediatico degli “insegnanti novax”, per esempio, va avanti nonostante che il 90,45% del personale di scuola e università abbia fatto almeno una dose. Dall’altra, servono ad aprire la strada a un pericolosissimo “bomba libera tutti” che sollevi finalmente il Governo dai suoi veri doveri. Alcune università iniziano a dire che se in un’aula sono tutti col green pass ci si può togliere la mascherina: e già si intravede come il lasciapassare consentirà – piano piano – di far saltare i limiti sui mezzi di trasporto, nelle aule di scuole e tribunali, e in mille altri spazi pubblici gravemente inadeguati a prescindere dalla pandemia. Sarebbe un disastro sia per la diffusione della pandemia (perché il green pass è una misura amministrativa e politica, non certo un presidio sanitario, e dunque – va detto con chiarezza – non elimina affatto il rischio di contagio), sia per la perdita di un’occasione unica per dare dignità e adeguatezza ai luoghi in cui si svolge la vita dei lavoratori. Insomma, la via dell’esclusione invece di quella dell’inclusione. L’alternativa a obblighi, veri o mascherati, è allora forse quella suggerita dall’OMS, che dice che se un obiettivo di salute pubblica «può essere raggiunto con interventi politici meno coercitivi o intrusivi (ad esempio, l’istruzione), un obbligo non sarebbe eticamente giustificato, poiché il raggiungimento di obiettivi di salute pubblica con minori restrizioni alla libertà e all’autonomia individuali produce un rapporto rischio-beneficio più favorevole». Quanto più civile e democratica del green pass (odioso fin dal marketing inscritto nel nome: https://volerelaluna.it/opinioni/2021/08/04/il-green-pass-quando-il-linguaggio-non-aiuta-a-capire/) o dell’obbligo sarebbe stato, e potrebbe ancora essere, una campagna porta a porta per parlare con coloro che davvero sono contrari al vaccino: in fondo una piccola minoranza (stimata tra il 3 e il 6% della popolazione vaccinabile) in buona parte composta di persone che hanno solo bisogno di un dialogo con un umano (e non con una lista di Faq) che li aiuti a vincere paure razionali e irrazionali. Nessuno – è vero – può avere in questa materia ricette infallibili, ma l’unica cosa davvero sbagliata è demonizzare chi chiede un dibattito serio. E proprio chi – come me – crede che i vaccini siano l’unica strada per uscire dalla pandemia, ha tutto l’interesse che questo dibattito sia serio e profondo, che investa la questione dei brevetti e quella del rapporto tra industria farmaceutica e interessi collettivi, che affronti lo scandalo dei marginali esclusi dal vaccino, in Italia e nel mondo (dove sono maggioranza). All’inizio della pandemia, il papa ci aveva ricordato che era illusorio sperare di rimaner sani in un mondo malato: i toni che sta assumendo il discorso sui vaccini ci ricordano quanto la malattia morale sia grave.

 

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Quanto più  che una ritirata quella dell'occidente filo statunitense dall'Afghanistan appare come una "rotta", il discredito è  totale. Come si possano fare errori scellerati di questo tipo (come ha fatto l'amministrazione americana), resta un mistero, anche perché  fu lo stesso errore (non come scelta, ma come modalità) di quello fatto dall'amministrazione Obama in Iraq che portò al consolidamento dell'Isis!

Forse l'unica possibile risposta viene dal fatto che in questi 20 anni di occupazione Nato-occidentale cui ha partecipato anche il nostro paese, l'Afghanistan sia diventato il primo produttore mondiale di oppio, da cui è noto non si ricavano materie per l'industria, ma le note sostanze come l'eroina concorrenti della cocaina..... ma non so quanto possa essere convincente neanche questa considerazione.

Per ora i talebani sembrano prevalere senza alcun ostacolo, ma gli enormi guadagni accumulati con il traffico dell'oppio avranno pure arricchito qualcun altro oltre a loro, anche di armamenti e potere locale!!?? Per ora costoro guarderanno a quello che succede..... ma cosa accadrà quando certi vicini potenti come la Cina e la Russia,  ma anche l'Iran e la Turchia senza dimenticare il Pakistan, che hanno già da subito dichiarato (mi viene da piangere), di rispettare le legittime scelte di autodeterminazione del popolo afghano (come se i milioni di ragazzi e soprattutto ragazze che in queste ore lasciano i loro drammatici testamenti di paura per il loro futuro avessero potuto esprimersi), cosa accadrà mi chiedevo quando questi potenti paesi metteranno le mani ed anche il "culo" sul tavolo afghano??

Purtroppo Le donne e chi contava in un possibile cambiamento di una società come quella barbara dei talebani ante 2001 saranno comunque le vittime ancora una volta degli errori madornali dell'occidente; ma anche vittime di una schifosa condotta sociale ancestrale e patriarco-maschilista tribale che alimentata dall'estremismo religioso che sovrasta quelle popolazioni le fa diventare schiave ora di questo ora di quell'altro padrone.

Un possibile cambiamento, forse come unico lascito positivo dell'occupazione occidentale, potrebbe essere dovuto a 2 fattori:

Primo l'età media degli oltre 30 milioni di afghani è di 19 anni, quindi la maggior parte di loro è nata con la presenza delle forze di occupazione Nato-occidentale;

Secondo una parte di questa popolazione estremamente giovane ed anche nella componente femminile ha potuto frequentare soprattutto nelle città un minimo di esperienza scolastica.

La parte di popolazione cui appartengono i capi anziani che appaiono nelle prime immagini televisive è costituita invece da un 2/3% di ultra 60enni della popolazione di cui so quanti provengano dalla provincia e quanti dalle città maggiori.

Cosa accadrà quando questi nuovi governanti inizieranno a far lapidare le donne ed a chiudere le scuole per le bambine? Io spero che non gli vada tutto liscio e che inizi un rivoltamento della giovane società afghana... non avverrà certo senza, purtroppo, uno spargimento di altro sangue.

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Non avremmo mai immaginato, fino a poco tempo fa, che anche un/il vaccino ci avrebbe interpellato in merito alla nostra Costituzione. O, meglio, in merito alla conoscenza, o meno, della nostra Costituzione.

Per fortuna, in questi giorni, molte voci si sono fatte sentire, per smentire l’allarme che una destra irresponsabile e ignorante di Costituzione ha tentato di lanciare. Il green pass e , in alcuni casi, l’obbligo vaccinale, sarebbero anticostituzionale liberticidi. Un vero e proprio assurdo, fra le numerose assurdità a cui da tempo non riusciamo ad abituarci.

Fra le tante voci, suggeriamo la lettura del recente articolo di Azzariti, radicalmente chiaro. Gaetano Azzariti, fra l’altro, è il presidente della Associazione  nazionale Salviamo la Costituzione, della quale anche i Comitati in difesa della Costituzione di Bagnacavallo, Faenza e Ravenna fanno orgogliosamente parte.

Paola Patuelli

L'articolo di  Gaetano Azzariti

Il dibattito. Al dunque la questione di fondo è: sin dove possono spingersi gli obblighi e le limitazioni alle libertà individuali per la tutela dell’interesse pubblico alla sanità e alla sicurezza?

Manifestazione contro il green pass

 

Circola una leggenda metropolitana tra i No Vax che chiama in causa la Costituzione. L’obbligo vaccinale – si narra – violerebbe il divieto di imposizione dei trattamenti sanitari garantito dall’articolo 32 della costituzione; il green pass limiterebbe invece la sacra libertà di circolazione inscritta all’articolo 16 del nostro testo supremo. Si chiama alla lotta per riaffermare i più vitali principi del costituzionalismo moderno, contro i poteri asserviti ad interessi economici che, in parte, rimangono oscuri, in parte, sono individuati in quelli reali e per nulla rassicuranti delle cosiddette Big Pharma. Al grido di “libertà, libertà” i nuovi paladini si propongono come i garanti dei diritti del popolo, contro la nuova plutocrazia autoritaria che approfitta della presunta emergenza sanitaria per erodere la democrazia sin dalle sue fondamenta.

La confusione è tale che persino il fatto che a dirigere il movimento di protesta siano le componenti più reazionarie e fascistoidi non è considerato un ostacolo, neppure da chi, entro questo magmatico movimento, rivendica la sua ispirazione antifascista, se non di sinistra. Ben venga che la libertà sia difesa da chi (ovvero insieme a chi) non crede nella democrazia: si tratta pur sempre di far valere ciò che viene prima della stessa convivenza civile, ovvero la libertà intesa come un valore assoluto, prerequisito di ogni altro diritto degli individui. Basterebbe leggere qualche classico, in realtà, per sapere che la libertà assoluta si pone contro ogni forma di convivenza ed è l’anticamera del bellum omnium contra omnes.

Ma lasciamo da parte i classici. Facile è smontare questa narrazione farlocca dal punto di vista costituzionale. Basta saper leggere gli articoli richiamati. Il divieto di imporre trattamenti sanitari – e il connesso principio di poter disporre del proprio corpo – è, infatti,

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Hiroshima e Nagasaki a 70 anni dall'atomica americana - AgoraVox Italia

Il 6 e il 9 agosto di 76 anni fa le prime bombe atomiche spazzavano via in un istante le città di Hiroshima e di Nagasaki: un totale di più di 300mila vittime, e infinite conseguenze nei decenni successivi. Decenni durante i quali, nel corso della “guerra fredda”  e della folle corsa agli armamenti,  gli arsenali nucleari di Usa e Urss  arrivarono negli anni ottanta del Novecento al numero incredibile di almeno 70.000 testate.

Vi sono state molte esplosioni nucleari, da allora e molti incidenti che potevano innescare la catastrofe. Ben 2056 test nucleari (dei quali 516 in atmosfera) hanno provocato conseguenze in termini di malattie tumorali. Ricordiamo la  scienziata e suora americana Rosalie Bertell, scomparsa meno di dieci anni fa, nota soprattutto per le sue strenue lotte  dopo le catastrofi di Bhopal e Chernobyl. Rosalie fece una realistica stima di un miliardo di vittime dirette o indirette dell’Era nucleare, e danni incalcolabili all’ambiente Senza contare chi ha lavorato nelle miniere di uranio, tutti appartenenti a popolazioni emarginate o povere, persone che hanno contratto un numero enorme di malattie.

Oggi siamo di fronte all’insostenibile aggravamento della crisi climatica, e da più parti si invoca  una “svolta green”, che qualcuno chiama rivoluzione. Secondo noi questa dovrebbe – se vi è sincerità nelle affermazioni - essere l’occasione per eliminare definitivamente dalla faccia della Terra la minaccia più grave: le armi nucleari.

Ovviamente si possono avere idee e progetti differenti e ancora per molto ascolteremo diverse campane, su come portare avanti la “svolta green”. Le nostre posizioni sono note e vedono nel rapido avvio della fuoriuscita dal fossile il più importante e necessario passo. Ma  se c’è una decisione che va presa e basta, e va presa adesso, è quella di  eliminare per sempre le armi nucleari.

Può sembrare un’ affermazione  semplicistica e superficiale. Ma non lo è.

Il  22 gennaio di quest’anno è entrato in vigore il Trattato di Proibizione della armi nucleari (Tpan), che era stato approvato il 7 giugno 2017 al termine di negoziati svoltisi alle Nazioni Unite, cui avevano partecipato anche rappresentanti della società civile, la Campagna Ican (International Campaign to Abolish Nuclear weapons). Con 86 paesi che hanno firmato il Tpan e 55 che lo hanno ratificato. 86 superficiali e semplicisti ?

Il Trattato sancisce che  il divieto del possesso, l’uso, e la minaccia delle armi nucleari fa parte del diritto internazionale. Il guaio è che gli Stati nucleari e i paesi della Nato non si sentono vincolati, e vi si sono fortemente opposti. Ma  lo possono ignorare, sic et simpliciter ? Questa è la sfida, adesso.

L’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo grandemente positivo e purtroppo non lo ha fatto. Ma è oltremodo grave e doloroso che anche  i principali organi d’informazione del nostro Paese abbiano parlato pochissimo  del negoziato svoltosi all’Onu, e ancor meno dell’entrata in vigore del Trattato. Allo stato attuale pare che né il Governo né le forze politiche  abbiano alcuna intenzione di firmarlo e  ratificarlo.

L’Italia è il paese della Nato che ospita il numero più alto delle testate schierate in Europa (circa 40 dal più recente aggiornamento nella base Usa di Aviano e in quella italiana di Ghedi, operate queste ultime dalla nostra Aeronautica), che, per altro, sono in procinto essere sostituite con le più moderne ed efficaci B-61-12.

La ricorrenza di questo 6 e 9 agosto potrebbe essere l’occasione per esercitare la più forte pressione sul nostro governo perché firmi e ratifichi il Tpan. La minaccia di una guerra nucleare non è tramontata, ed è resa sempre più grave: negli ultimi anni lo sviluppo esasperato di sistemi di controllo automatizzato, lungi dall’allontanare il rischio di incidenti irreversibili, lo ha pericolosamente avvicinato. La mobilitazione della società civile – attraverso tutte le sue espressioni possibili - sul Governo, sul Parlamento e sul mondo politico in generale, dai Presidenti delle Regioni ai singoli candidati nelle liste per le prossime elezioni, potrebbe esercitare una straordinaria e decisiva opera di convincimento, cui sarebbero grate per sempre le future generazioni.

Se vogliamo davvero una transizione ecologica, questo è il momento di eliminare le armi nucleari.

 

                                                                                            Pippo Tadolini

                                          Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” coordinamento ravennate

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QUALITA' DELLA VITA DI BAMBINI, GIOVANI E ANZIANI.
Qualità della vita 2020: la classifica delle province italiane dove si vive  meglio. Bologna la migliore nell'anno del virus | Il Sole 24 ORE
 
“Il Sole24 ore” del 28 giugno, ha pubblicato i dati sulla qualità della vita dei bambini da 0 a10 anni, dei giovani tra i 18 e i 35 anni e degli anziani sopra i 65 anni. I ragazzi dagli 11 ai 17 anni non esistono.
 
Ravenna è prima nella classifica giovani, seconda in quella degli anziani e ottava in quella dei bambini. Il Sindaco di Ravenna, De Pascale, sulla base di quei risultati, esprime soddisfazione. Ovviamente io non contesto i numeri. Ci sono però altri numeri, confrontandosi coi quali, sorge un interrogativo. Nella classifica generale de “Il Sole24 Ore” del 14 dicembre scorso, la quale comprende tutta la popolazione, Ravenna è nella ventiduesima posizione. Nella classifica generale di “ItaliaOggi”, pubblicata il 30 novembre scorso, anch’essa comprendente tutta la popolazione, Ravenna è al cinquantasettesimo posto. Io ritengo più affidabile quest’ultima (vedi allegato), ma facciamo una media tra le due. Siamo intorno al quarantesimo posto. Ora la domanda: se bambini, giovani e anziani stanno molto bene, come stanno i cittadini dagli 11 ai 17 anni e quelli dai 35 anni ai 64? La mia risposta obbligata è: malissimo. In tal caso, meglio abbassare la cresta.
 
Vediamo ora i dati dai quali siamo partiti. Province 107.
 
Bambini.
 
A fronte del primo posto per disponibilità di asili nido, troviamo il cinquantacinquesimo per spazio abitativo, il settantaseiesimo per i delitti denunciati a danno di minori, l’ottantunesimo per la disponibilità di pediatri e il centoquattresimo per affollamento nelle classi delle nostre scuole, le cosiddette classi-pollaio.
 
Giovani.
 
La posizione migliore è la quarta: aree sportive all’aperto (sono compresi anche i beach volley-campi pallavolo in spiaggia ?). Ci sono però anche le seguenti posizioni. Laureati e altri titoli terziari: cinquantaduesima. Tasso di disoccupazione giovanile (18-29 anni): cinquantasettesima. Età media parto: ottantanovesima. Gap affitto tra centro e periferia: centotreesima. Tasso di imprenditorialità giovanile: centocinquesima.
 
Anziani.
 
Primo posto per dotazione infermieristica. Secondo posto per orti urbani. Vediamo le posizioni negative. Consumo farmaci per malattie croniche: quarantesima. Pensioni di basso importo: sessantacinquesima. Disponibilità geriatri: ottantunesima. Mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso: ottantaquattresima. Spese per assistenza domiciliare: ottantacinquesima. Si sente la mancanza di almeno due indici: medici di base e situazione delle RSA. Per queste ultime, il covid ha evidenziato le loro gravi lacune e la necessità di un loro superamento, evitando le grinfie della speculazione privata, quale che sia la sua forma.
 
Sulle tre graduatorie, si può osservare che spesso gli indicatori positivi non compensano quelli negativi. Per esempio, la buona disponibilità di asili nido non compensa la carenza di pediatri e l’affollamento delle classi nelle scuole. Anche la graduatoria dei giovani, offre esempi significativi. Guardando la graduatoria degli anziani, ci si chiede: cosa se ne fanno del primo posto per la disponibilità di infermieri, gli anziani bisognosi dell’assistenza geriatrica e dell’assistenza domiciliare, visto che questi due indicatori sono molto negativi?
 
In conclusione. Diamoci una calmata e affrontiamo i molti punti critici.
 
 
 
ALLEGATO.
 
Dalla mia analisi del dicembre 2020. “Lunedì 30 novembre 2020, “ItaliaOggi” ha pubblicato la ventiduesima edizione della Classifica sulla qualità della vita in Italia. Come in tutte le altre edizioni, avrebbe dovuto presentarci la situazione dell’anno precedente, in questo caso, il 2019. Invece sono stati inseriti tre indicatori sul Covid-19, il quale, come è noto, si è sviluppato a partire dall’inizio del 2020. In conseguenza di questa scelta, la classifica generale sulla qualità della vita si presenta sconvolta profondamente, e non rappresenta correttamente la realtà del 2019.
 
Mentre stavo riflettendo su come procedere per articolare e approfondire l’analisi, il 14 dicembre è uscita la trentunesima edizione del Rapporto sulla qualità della vita in Italia, de “Il Sole24Ore”. Questo rapporto è ancora più proiettato sul 2020. Sessanta indicatori su novanta sono aggiornati al 2020. Di questi, venticinque misurano l’impatto dei Covid-19 su economia e società, per cui rappresenta la situazione del 2019 ancor meno del Rapporto di “ItaliaOggi”. Anche per questa ragione, per la mia analisi prendo come base quest’ultimo, senza escludere l’uso di indicatori dell’altro, se utili.
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Piccola evasione fiscale: è reato?
Il Dipartimento delle Finanze, il 27 maggio ha pubblicato i dati dei redditi soggetti all’IRPEF: dichiarazioni del 2020 relative ai redditi del 2019.
 
L’analisi di questi dati è importante, soprattutto in questa occasione, perché sono quelli dell’ultimo anno della lenta ripresa dopo la crisi del 2008, e prima della successiva nuova crisi, iniziata nel 2020, causa Covid.
 
I confronti li faccio con i redditi del 2017, perché lo scorso anno ho saltato il 2018. Eravamo tutti occupati in altri gravi pensieri.
 
In Italia.
 
Inizio brevemente da pochi dati nazionali, per poi scendere fin ai comuni della nostra provincia.
 
Il numero dei contribuenti è stato di 41,5 milioni. Più 300 mila rispetto all’anno di riferimento. Crescita scarsa. Il valore medio dichiarato è di 21.800 euro. E’ aumentato di 1.128 euro, pari al 5,6% i termini monetari. Detratta l’inflazione ufficiale, circa il 2% (di norma minore di quella reale), resta un aumento reale di circa il 3,5%. Si tenga conto però anche del fatto che “continuano, aggravandosi, le restrizioni delle varie componenti dello stato sociale, a seguito delle quali le famiglie devono farsi cari di spese aggiuntive” rispetto al passato.
 
I redditi da lavoro dipendente e da pensione, sono l’83% del totale. Uno per cento in meno.
 
L’incremento del reddito medio da lavoro dipendente, è stato del 2,4%, praticamente azzerato dai fattori sopracitati. Quello da pensione aumenta del 4,9%, soprattutto a seguito del ricambio delle pensioni vecchie con le nuove. Ovviamente, anche in questo caso, l’aumento è decurtato in parte dai fattori sopracitati, spesso più pesanti per gli anziani.
 
Ora vediamo i Comuni della nostra Provincia.
 
Variazione percentuale reddito medio per dichiarante reddito imponibile. In tutti i comuni è aumentato.
 
Sant’Agata, 5,7. Solarolo, 5,4. Cervia, 5,3. Bagnacavallo, Castel  Bolognese e Cotignola, 5,2. Brisighella, 4,9. Russi, 4,4. Faenza, 4,3. Bagnara, 4,2. Massa, 4,1. Lugo, 3,8. Alfonsine e Riolo, 3,7. Conselice, 3,2. Ravenna, 3,0. Fusignano, 2,7. Casola, 2,3. Ripeto che tutte le percentuali devono essere abbassate dei due punti dell’inflazione. Si deve tenere pure conto delle spese aggiuntive di cui sopra.
 
La classifica, in ordine decrescente, del livello medio per dichiarazione, che offre un quadro della distribuzione dei redditi IRPEF nei nostri comuni, è la seguente.
 
Saldamente in testa, due piccoli comuni di pianura: Bagnara e Sant’Agata. Seguono i tre capoluoghi di comprensorio: Ravenna, Lugo e Faenza, che sfiorano la media dei 22 mila euro. Poi Cotignola e Castel Bolognese, che superano i 21 mila euro. Conselice, Alfonsine e Riolo, sfiorano i 20 mila. Superano i 19 mila, Solarolo, Brisighella, Massa e Fusignano. Ultimo Casola, con 18.323 e penultimo Cervia, con 18.558. Il comune di Cervia, nonostante sia avanzato di una posizione, presenta numeri che suscitano interrogativi. E’ stato scritto, da qualche parte, che le basse cifre di Cervia, evidentemente sono dovute “… ad un’economia basata molto sugli impieghi stagionali. Le paghe dei dipendenti cervesi portano ad un abbassamento della media dell’intero comune  …  “. Ebbene, questo fattore indubbiamente esiste, ma probabilmente non spiega tutto.
 
La nostra Provincia.
 
La media della nostra Provincia è di 21.170 euro. Più 3,8%. In proposito restano valide le puntualizzazioni precedenti.
 
Nella nostra Regione.
 
La graduatoria, in ordine decrescente è questa: Bologna; Parma; Modena; Piacenza; Reggio Emilia; Ferrara; Ravenna; Cesena; Forlì; Rimini. I quattro capoluoghi romagnoli sono distanziati dagli altri di alcune migliaia di euro. Per Rimini, vale lo stesso discorso fatto per Cervia. Sono convinto che questa differenza negativa non dipenda dalla Regione “matrigna”, ma prevalentemente dalla posizione geografica. Sia chiaro, personalmente, sono fortemente critico nei confronti della nostra Regione su altro, in particolare sui temi ambientali, sul consumo di terreno agricolo, sull’autonomia differenziata. In proposito voglio aggiungere una riflessione. L’Emilia-Romagna è parte della Valle Padana, la quale è una delle aree più industrializzate d’Europa, per le sue particolari caratteristiche. Ebbene, chi, tra i responsabili delle Istituzioni si vanta della solidità e dell’alto livello della nostra struttura produttiva, trascura il fatto che la nostra medaglia ha due facce diverse tra loro: una è quella di cui sopra, e l’altra è che la Valle Padana è una delle aree d’Europa con l’aria più inquinata. In certe giornate di sole, dalle nostre colline si vede la neve dei monti Lessini delle Alpi, mentre la pianura resta invisibile, coperta da una cappa inquinata.
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