Lavoro. I partiti di sinistra sono nati su impulso di sindacati e i sindacati su impulso di forze di sinistra. Forse, siamo in una fase storica di questa reciprocità costituente
La manifestazione sindacale per lo sciopero generale a Roma il 16 dicembre 2021
Ogni società ha i suoi principi indiscutibili, i suoi totem e i suoi tabù, a seconda del principio fondamentale su cui è organizzata. Nei regimi guidati dal fondamentalismo religioso, non si può parlare di religione. Nelle dittature, non si può parlare di politica. Nei sistemi basati sul fondamentalismo di mercato, non si può parlare di lavoro, dei suoi interessi, problemi, bisogni e, quando ci sono, conflitti.
L’atteggiamento tenuto dalla quasi totalità del sistema mediatico e politico nei confronti dello sciopero generale di ieri, un silenzio che ha sconfinato in una censura rotta solo da qualche critica sprezzante di giornalisti, politici e imprenditori vestiti da ‘haters’, con toni innervati di razzismo di classe, ha impresso al dibattito pubblico italiano i toni del fondamentalismo di mercato.
In un sistema di questo tipo si può parlare di quasi tutto, si possono praticare o (più spesso) simulare conflitti su quasi tutti i temi, teatralizzare polarizzazioni in fondo funzionali all’omogeneizzazione delle posizioni politiche, ma si deve escludere in ogni modo il lavoro dal perimetro della politica e del dibattito pubblico.
Si possono riempire giornali e talk show di contrapposizioni apparentemente ‘totali’
Leggi tutto: Lo sciopero rende visibile la maggioranza della società - di Loris Caruso
Commenta (0 Commenti)A proposito del del DDL Concorrenza, rispetto al quale da più parti sono state sollevate critiche per il rischio di ulteriore privatizzazioni dei servizi pubblici locali (che si collega in qualche modo anche alla decisione dell'Assemblea legislativa dell'Emilia Romagna di prorogare al 2027 la concessione del servizio idrico) è stato approvato dal Consiglio Comunale di Bologna un importante Ordine del Giorno.
Oggetto: no all’art. 6 del “ddl concorrenza”
premesso che:
- Il 4 novembre il Consiglio dei Ministri ha approvato il Disegno di legge per il mercato e la
concorrenza 2021, che corrisponde a uno degli obiettivi individuati dal governo nel PNRR.
- nella Sezione III - Art.6 (Servizi pubblici locali e trasporti) si introduce il tema della
governance dei servizi pubblici locali prevedendo la privatizzazione dei servizi pubblici locali
a rilevanza economica e la ridefinizione del ruolo dei Comuni nella gestione dei servizi
stessi.
considerato che:
- Nella Sezione III - Art.6 in particolare viene rilevato che l'ente locale che, scelga di gestire
in proprio un servizio pubblico locale dovrà produrre “una motivazione anticipata e qualificata
che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato” (par. f); dovrà
tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (par.g);
dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (par. i); dovrà procedere alla revisione
periodica delle ragioni per le quali ha scelto l'autoproduzione e (par g) anche razionalizzando
la disciplina vigente sugli oneri di trasparenza in relazione agli affidamenti in house; Tale
formulazione del testo nel DDL rende, di fatto, residuale e non efficace il ruolo del decisore
pubblico su alcuni servizi essenziali gestiti dalle cosiddette "In House".
- Nel programma della Coalizione che esprime la maggioranza del Consiglio Comunale vi è
l’attenzione al controllo pubblico dei beni primari, come ad esempio l’impegno ad
approfondire il già avviato studio di fattibilità di ATERSIR sulla ripubblicizzazione del servizio
idrico;
visto:
- l'Art. 6 “Delega in materia di servizi pubblici locali” del Ddl Concorrenza, predisposto dal
Governo e all'esame del Parlamento;
rilevato che:
- l'Art. 6 sopra citato interviene direttamente sul ruolo dei Comuni e sulla gestione dei servizi
pubblici locali, ed in particolare:
* ponendo la materia dei servizi pubblici nell'ambito della competenza esclusiva statale di cui
all'articolo 117, secondo comma, lettera p della Costituzione (par. a)
* definendo, nell'ambito delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, la modalità
dell'autoproduzione da parte dei Comuni come pesantemente condizionata da una serie di
adempimenti stringenti nel metodo e nel merito, rendendola di fatto residuale rispetto
all'affidamento con gara (par. f-g-h-i)
I vertici. Dal G20 a Cop26
Protesta ambientalista a Glasgow © AP Photo/Alastair Grant
Il G20 di Roma si è concluso con alcune buone intenzioni ma pochi fatti e, del resto, il dialogo negoziale che precede e conduce a questi eventi serve, quando va bene, a imprimere una spinta politica sui tavoli dei negoziati specifici. Per vedere se lo sforzo della presidenza italiana darà frutti dovremo aspettare gli esiti della COP26 che si è aperta a Glasgow.
Il documento del G20 condivide il giudizio della comunità scientifica sulla necessità di mantenere entro 1,5°C l’aumento globale della temperatura media. Questo riferimento, va ricordato, c’è già nel testo dell’Accordo di Parigi che è stato già ratificato da 191 Paesi che rappresentano oltre il 97 per cento delle emissioni.
E allora che bisogno c’era di citarlo espressamente? C’era perché dopo l’Accordo di Parigi l’Ipcc (la Commissione Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici) aveva presentato nel 2018 un rapporto scientifico dedicato a evidenziare le notevoli differenze negli impatti di uno scenario con un aumento di 2°C rispetto a quello di 1,5°C. Ma nel 2018 i Paesi «presero nota» del rapporto ma non ci fu un consenso tale da assumerlo come riferimento, e in questo senso il documento del G20 «ripara» a un vulnus importante.
Il nuovo rapporto dell’Ipcc pubblicato ad agosto conferma quello del 2018 e ci dice che la «finestra» per poter stare entro 1,5°C di aumento della temperatura esiste ancora ma il tempo stringe. Con gli impegni presi finora, infatti, la tendenza è quella di un aumento della temperatura media globale di 2,7°C entro il secolo, cosa che avrebbe effetti catastrofici. Per mantenere il pianeta dentro quello scenario – che, ricordiamolo, è peggiorativo rispetto alla situazione odierna ma molto meno catastrofico rispetto alla tendenza attuale – è necessario un sostanziale dimezzamento delle emissioni globali di gas a effetto serra entro il 2030 e un azzeramento al 2050 («neutralità climatica» cioè considerando anche gli assorbimenti forestali).
Questo significa accelerare, e di molto, le politiche e le misure per ridurre le emissioni. Cosa certo non semplice di per sé che è resa più complicata anche per i conflitti che sia dentro i singoli Paesi che tra Paesi comporta un abbandono delle fonti fossili.
Un secondo impegno citato nel documento del G20 riguarda la fine dei finanziamenti esteri a progetti basati sul carbone, cosa su cui si è registrata nelle settimane scorse anche una posizione positiva da parte cinese. Ma bisognerà andare avanti e bloccare le iniziative industriali sia in campo petrolifero che del gas fossile.
Sulla finanza per il clima – i 100 miliardi all’anno da destinare ai Paesi più poveri sia per l’adattamento che per gli investimenti in tecnologie pulite – non si è chiuso come si sperava. L’Italia però, almeno questa volta, ha fatto la sua parte cosa di cui dare atto al Presidente Draghi. Manca ancora l’aggiornamento del Piano integrato energia e clima italiano, ancora fermo ai vecchi obiettivi europei, e manca anche il nuovo obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni. Va fatto cercando di non «truccare le carte» basandosi su improbabili sviluppi di tecnologie finora scarsamente affidabili come il sequestro e la cattura della CO2 (CCS) e di «assorbimenti forestali» comprati nei Paesi in via di sviluppo.
Proprio su questo tema c’è una delle possibili trappole della COP26 e cioè la spinta da parte di alcuni settori verso un mercato globale degli assorbimenti per poter continuare a emettere CO2 come fanno già alcune importanti multinazionali (Eni tra queste).
Il rilancio del multilateralismo, di cui il Presidente Draghi ha fatto un punto politico al G20, è importante se, anche in questo caso, si riuscirà ad andare oltre le parole e tradurre in cooperazione internazionale sulle tecnologie rinnovabili e sulle politiche e misure necessarie a ridurre le emissioni anche in un mondo oggi più conflittuale e diviso di quello nel quale l’Accordo di Parigi è stato siglato.
Finora, lo sappiamo, ha prevalso il «bla-bla». Anche quello del Ministro Cingolani che stizzosamente e senza alcun motivo l’ha ribaltato su Greta: quando avremo visto ripartire seriamente le rinnovabili potremo dire che siamo finalmente passati ai fatti.
L’autore è direttore diGreenpeace Italia
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In margine ad un recente articolo di Piero Ignazi.
Perché è utile proporre lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste
Un interessante articolo di Piero Ignazi ("Domani" del 14-10-2021) sul tema dellla richiesta di scioglimento dell’organizzazione FN, (protagonista dell’assalto alla sede nazionale della CGIL e accusata di richiamarsi al fascismo e quindi ricadente nella fattispecie della legge Scelba e per altri aspetti della legge Mancino), mi ha stimolato ad una più approfondita riflessione su questo argomento.
Molto opportuna mi è sembrata l’avvertenza che il politologo bolognese (ma di origine faentino!) segnala a tutti noi: lo scioglimento di un’organizzazione (o anche di più organizzazioni similari) non deve creare illusioni sull’efficacia di una tale misura. L’esempio ch’egli fa, tuttavia, di una organizzazione olandese di estrema destra che rinasce il giorno dopo con un nome simile, non mi sembra invero pienamente calzante. Innanzitutto perché non mi risulta che in Olanda esista una legislazione che specificamente preveda il divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista (ovvie le ragioni storiche) ma soprattutto perché di esempi di rinascita sotto altre spoglie di movimenti fascisti ne abbiamo visti parecchi anche in Italia. Proprio i due movimenti che furono sciolti negli anni settanta (ON e Av Naz.) fornirono militanti, denaro e probabilmente contatti ad un’altra organizzazione (Ter. Pos.) parte dei cui dirigenti ritroviamo oggi in FN ed anche in Ca. Po.. Nessuno si illude certamente che disarticolare una piccola organizzazione significhi estinguere in modo duraturo la capacità di aggregazione di un’area politica. Ma non è questo il punto e giustamente Ignazi, che è uno studioso serio che all’analisi della destra italiana ha dedicato parte dei suoi studi, solleva piuttosto il problema di fondo che è quello di “.. quanto sia diffusa una benevola considerazione del passato regime. Finché vedremo circolare tutta la paccottiglia nostalgica in negozi, bar, ristoranti, taxi, senza che nessuno alzi un dito, considerandola un fatto normale, movimenti come Forza nuova et similia avranno acqua in abbondanza in cui navigare ..”. E pone anche l’accento su un altro aspetto : è la destra italiana tutta e particolarmente FdI che continuano con “.. i paraventi verbali e la fuga dalla responsabilità. Sono molto più inquietanti quei partiti che continuano ad avvilupparsi in penose contorsioni lessicali pur non pronunciare una condanna palese del fascismo.”
Proprio queste considerazioni però mi conducono a conclusioni diverse da quelle che ne trae il politologo. A mio parere è necessario focalizzare l’attenzione sulla contingenza politica e sociale nella quale ci troviamo, caratterizzata dall’enorme disagio sociale provocato dalla pandemia, dalla crescita delle disuguaglianze, dall’impatto psicologico del lockdown e delle misure adottate per combattere il contagio. Fattori che hanno determinato conseguenze politiche clamorose ed inusitate: un governo di “salvezza nazionale” che si trova nella necessità di adottare misure eccezionali per fronteggiare la situazione e consentire la ripresa economica e al quale partecipano quasi tutte le forze presenti in parlamento con
Commenta (0 Commenti)Per un cammino radicalmente ecologista e nonviolento
Come pacifist* ed ecologist*, vorremmo contribuire al dibattito che attualmente infiamma e spacca la società.
Siamo profondamente preoccupat* per la pericolosa polarizzazione e radicalizzazione del conflitto: da una parte i gruppi più violenti ed eversivi che cavalcano il malessere sociale, dall'altra il blocco di potere politico-industriale-mediatico che governa il paese e che impone il suo programma liberista.
Condanniamo nel modo più fermo i neofascisti ed ogni violenza, e tutti coloro che spalleggiano questi gruppi, chiedendoci perché siano stati lasciati agire impunemente dalle autorità, negli eventi del 9 ottobre a Roma. Queste violenze non fanno altro che delegittimare ogni forma di protesta e sono l'occasione per stringere e limitare il diritto a manifestare (cosa che puntualmente sta accadendo).
La nostra è una società malata, e non solo a causa della pandemia Covid-19. Una società che ha ereditato, ancor prima del Covid-19, modelli socio-economici e stili di vita insostenibili che incidono fortemente sulla salute delle persone, delle comunità, dei territori e dell’intero Pianeta. Una società centrata su un modello di sviluppo che ha distrutto l’equilibrio tra le persone e l’ambiente, e che alimenta enormi ingiustizie nord-sud del mondo.
Oggi più che mai, è importante coltivare un pensiero critico che metta la salute (nel suo aspetto globale), il rispetto e la nonviolenza al centro del dibattito. Contestiamo quindi la narrazione “bellica” che tende a mettere in un angolo anche il semplice diritto al dubbio.
Abbiamo vissuto con sgomento e preoccupazione le "guerre all’untore" che in Italia si sono scatenate contro coloro che per dubbio, convinzioni o scelte di vita decidono di non affidarsi al vaccino. Come ecopacifist* rigettiamo l'”hate speech”, da ogni parte esso provenga, il linguaggio violento, umiliante, disumanizzante verso chi non la pensa allo stesso modo. Vogliamo favorire l'empatia, il dialogo, l'ascolto.
Crediamo nel sistema sanitario, una conquista da difendere, e rifiutiamo ogni malaugurata idea di un sistema sanitario dove chi ha “colpe” deve pagarsi le cure.
Purtroppo molti media hanno abdicato al proprio dovere di esercitare un controllo sull’operato del governo e di garantire un dibattito effettivamente pluralista, aperto e trasparente: ragionevoli e accorati appelli contro il greenpass (di docent*, student*, scrittor* e filosof*), non hanno trovato adeguato spazio nei media “mainstream”.
Anche a nostro parere lo strumento del greenpass (così come è declinato in Italia), è pieno di contraddizioni e fallacie sul piano sanitario, finalizzato a un rigido e burocratico controllo sociale, umiliante e divisivo, oltre a contraddire i principi contenuti nella Risoluzione 2361 (2021) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa e nel Regolamento Ue n. 953/2021.
Sul greenpass e sulle scelte politiche di gestione della pandemia, la differenza tra i singoli Stati, anche all’interno della Unione Europea, è molto forte. Perché quindi non si può discutere e criticare apertamente questa misura, che non è, come spesso si dice “scientifica” ma meramente “politica”?
L'11 ottobre il Collettivo Lavoratori Portuali di Trieste e Genova (gli stessi che negli ultimi anni hanno incrociato le braccia al traffico di armi diretto in Arabia Saudita), ed i sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale, anche (ma non solo) contro il greenpass. Tra le altre richieste avanzate, che noi condividiamo, il reddito universale, la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, il rilancio dello Stato sociale, investimenti nella scuola pubblica, nella sanità pubblica, potenziamento del trasporto pubblico, sicurezza vera sul lavoro.
Rivendichiamo un pensiero critico sulla pervasività degli interessi economici e politici nella medicina e nella sanità, sull’invadenza del digitale e delle tecnologie del controllo, sul mito della crescita economica infinita, sulla deriva scientista che si accanisce contro visioni del mondo e approcci di cura considerati non conformi.
Se davvero la salute non è solo assenza di malattia ma presenza di uno stato di benessere psico-fisico che va dalle persone alla comunità, allora la via d’uscita è nella rivisitazione globale dei nostri stili di vita (e quindi politiche che sappiano indirizzare e favorire queste scelte, modificando l'attuale sistema economico senza lasciare impuniti i crimini ambientali che minacciano la salute pubblica).
Si è più in salute mangiando cibo sano, locale, modificando radicalmente il nostro modo di muoverci e rapportarci alla terra, riducendo la nostra impronta ecologica, i nostri frenetici e consumisti stili di vita, praticando la sobrietà e la lentezza, organizzando vere e proprie comunità educanti, rafforzando la medicina di base.
La capacità di accettare i limiti che ci impone la natura ci condurrà ad un nuovo equilibrio sociale ed esistenziale, con l'ambiente e con gli altri popoli del mondo.
Siamo più in salute se ci prendiamo cura del territorio in cui viviamo, se anche la scuola diventa più democratica, esperenziale e all'aperto, (da qui l'importanza di spazi verdi, cortili, parchi e giardini anche in città), un luogo dove educare al pensiero critico, alla cittadinanza attiva, a sani stili di vita.
Purtroppo la gestione securitaria e fobica della pandemia rischia di schiacciare questo cammino, costringendoci ancora più di prima dentro vite segnate dal predominio della tecnocrazia, della farmacologia e della medicalizzazione spinta.
Il continuo martellamento di messaggi ansiogeni, repressivi e colpevolizzanti ha contribuito ad aumentare sindromi depressive, consumo di alcool e psicofamaci.
La scuola è sempre più “ingessata” e chiusa in sé, con progetti e realtà educative innovative (ricordiamo ad es. Bimbisvegli), bloccate da regole senza senso.
Oltretutto queste imposizioni controproducenti ed ingiuste, esasperano gli animi e rendono le persone insofferenti anche ai "limiti ambientali” che multinazionali e mafie calpestano quotidianamente in totale impunità. Limiti all'inquinamento e al consumo che saranno sempre più necessari per fronteggiare l'emergenza climatica ed ambientale.
Abbiamo bisogno di ripartire dalla salute globale di ogni essere vivente, dobbiamo creare le condizioni per iniziare un nuovo cammino, contrastando il dominio di un capitalismo che non potrà mai avere un volto umano.
Non vogliamo arrenderci a una deriva che schiaccia i mondi diversi possibili o già praticati, vogliamo disegnare un nuovo umanesimo ecologista, pacifista e antifascista.
Proviamo a camminare insieme.
(per adesioni a 3333520627 whatsapp, oppure mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)
Primi firmatari (in aggiornamento - le firme sono a carattere esclusivamente personale):
Linda Maggiori (blogger, scrittrice, attivista)
Paolo Piacentini (autore, camminatore)
Franco Arminio (poeta e scrittore)
Michele Boato (direttore Ecoistituto del Veneto e rivista Gaia)
Alessandro Mortarino (Co-fondatore del Forum nazionale Salviamo il paesaggio)
Marinella Correggia (ecopacifista, apolide)
Guido Viale (saggista e sociologo)
Francesco Bevilacqua (scrittore)
Nicholas Bawtree (direttore di Terra Nuova)
Giuditta Pellegrini (giornalista, fotografa, videomaker)
Serena Terzani (attivista in difesa dei diritti e dell'ambiente)
Giampiero Monaca (maestro ideatore Bimbisvegli)
Elisa Lello (sociologa)
Aldo Zanchetta (scrittore, esperto di America Latina e paesi indigeni)
Damiano Cavina (attivista per la pace e per il dialogo interculturale)
Domenico Guarino (giornalista e scrittore)
Anna Chiesura (ricercatrice)
Anna Maria Altobelli (educatrice perinatale)
Daniele Quattrocchi (attivista di Extinction Rebellion)
Olivier Turquet (giornalista, redattore Pressenza)
Valentina Fabbri Valenzuela (educatrice, difensora dei diritti umani)
Violeta Valenzuela (difensora dei diritti umani)
Gianluca Carmosino (giornalista Comuneinfo)
Riccardo Troisi (giornalista Comuneinfo)
Marco Calabria (giornalista Comuneinfo)
Danilo Casertano (maestro di strada)
Aniello de Padova (attivista Decrescita Felice)
Max Strata (scrittore ed attivista)
Elisa Semeghini
Catiuscia Rosati (giornalista freelance)
Vania Bertozzi
Sabrina Petracchini
Barbara Gizzi (consulente turismo responsabile)
Francesco Senatore (camminatore)
Domenico Ponzo
Elisabetta Ambrosi (giornalista)
Alberto Conti (attivista per l’ambiente)
Veronica Iori (attivista di Extinction Rebellion)
Christian Lovato (attivista di Extinction Rebellion)
Titus Dart (attivista di Extinction Rebellion)
Stefano Casulli (pedagogista e ricercatore)
Paolo d'Arpini (attivista Rete Bioregionale italiana)
Caterina Regazzi, (attivista Rete Bioregionale italiana)
Franco Fabbri
Filippo Cannizzo (filosofo e scrittore)
Monica Capo (docente scuola primaria)
Stefano Panzarasa (cantante e scrittore ecopacifista)
Giorgio Rossi Chioggia
Claudio Pietro Montanari (attivista Red Ghost)
Pierpaolo Lanzarini (contadino, attivista)
Lorenzo Mandelli (attivista di Extinction Rebellion)
Andrea Casalini (attivista e pacifista)
Serena Gatti (Regista)
Giovanni Angeli (educatore, attivista)
Alessandro Serra
Christian Brandi
Ellison Paolista (attivista Decrescita Felice)
Remo Ronchitelli (attivista Decrescita Felice)
Barbara Gaddi (attivista Extinction Rebellion)
Elena Piffero (attivista Decrescita Felice)
Lorenzo Colacicchi (attivista Global Greens)
Eleonora Berti (architetto paesaggista)
Elisa Paltrinieri (giornalista e scrittrice)
Antonella Lodi (attivista per l'ambiente)
Patrizia Gentilini (oncologa)
Elena Coquoz (attivista per l'ambiente)
Domenico Demattia (attivista per l'ambiente)
Elena Cesari (ecofemminista)
Francesca Conti
Fausto Maggiori (medico)
Elide Moro
Mario Sassi (attivista per l'ambiente)
Gigetto Agostini
Tatiana Grifoni (attivista per gli animali)
Piero Grappasonno
Claudio Bondioli Bettinelli (architetto, attivista ecologista)
Clara Scropetta (attivista nel campo della maternità)
Katia Ghili (attivista per la tutela dell'ambiente e della salute pubblica)
Domenico Barbato (attivista di Extinction Rebellion, e giornalista freelance)
Anna Ippolito (insegnante)
Jennifer Raddato (mamma ambientalista)
Laura Ghiotto (mamma NoPfas)
Laura Saffiotti (insegnante, attivista per la mobilità sostenibile)
Simona Sambati
Rita Sala (ambientalista)
Monica Buson (cittadina attiva)
Grazia Roncaglia (insegnante, scrittrice, formatrice)
Diana Arena (insegnante)
Remo Siza (sociologo)
Grazia Stefanini (attivista della Decrescita Felice)
Leonardo Petri (attivista di Extinction Rebellion)
Deborah Pieroni (insegnante)
Cinzia Airoldi (insegnante)
Maria Rosaria Marrese (sociologa e nomade in cammino)
Nicola Bassi (educatore, attivista)
Giuseppe Nuzzi (attivista)
Sergio Ciliegi
Roberto Pasquali (poeta e traduttore)
Monica Martina (formatrice)
Valter Sgargi (viandante resistente antifascista)
Daniela Fazzina
Maurizio Marchi (Medicina Democratica Livorno)
Isabella Horn (poetessa)
Paolo Cacciari (parlamentare)
Lorenza Garau (camminante, mamma, insegnante)
Laura Lo Presti (ambientalista)
Silvia Ventriglia
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