Dopo Parigi. Roma ha questa occasione: portare un'iniziativa politica di pace quando ce n’è più bisogno e dare voce al dialogo, anche e soprattutto perché è il momento più difficile
Alla Tregua Olimpica nessuno credeva, ma i presupposti erano sbagliati in partenza: le Olimpiadi di Parigi si chiudono senza pace e neanche segnali di tregua, e mentre la guerra è entrata nelle dispute sportive sulle maglie degli atleti, nelle assenze o sui cartelli degli atleti in gara, la risoluzione delle nazioni unite del novembre scorso perché si rispettasse l’ekecheiria antica, ossia la tregua così come sancita più di 2.500 anni fa per i giochi olimpici è rimasta lettera morta. Non poteva essere altrimenti, purtroppo. Macron non ci ha mai creduto.
Il nuovo governo francese si giocherà proprio sulla pace, in Europa e in Medioriente, tra poco sapremo se sarà un governo di svolta – dopo aver rischiato il collo di fronte all’exploit nazionalista di Le Pen – o se andrà in porto un accordo di garanzia con tradimenti vari. Ma alle nostre latitudini la questione è un’altra: dove ha fallito Parigi, Roma deve tentare, deve riuscire.
Parigi, troppo interessata a una leadership tutta francese per la Nato non avrebbe, anche prima del risultato elettorale, avuto l’interesse per una conferenza di pace internazionale: una partita geopolitica troppo ambiziosa è in palio. E mentre l’Europa è silente e Ursula von der Leyen si mostra in armi per raccogliere un consenso trasversale, rimane nel vecchio mondo solo il Papa con il Giubileo di Roma ha aprire uno spazio perché la politica, la diplomazia ne approfitti.
La redazione consiglia:
Non esiste una pace senza i palestinesi
Roma ha questa occasione: portare un’iniziativa politica di pace quando ce n’è più bisogno e dare voce al dialogo, anche e soprattutto perché è il momento più difficile. Pochi giorni fa la scuola Al Tabin è stata bombardata a Gaza con decine e decine di vittime civili e la trattativa per gli ostaggi è resa sempre più difficile dagli assassini mirati di Netanyahu, oltre che dai bombardamenti. La morte di Ismail Haniyeh, l’uomo di Hamas impegnato nella trattativa, è il segno che il conflitto non troverà via diplomatica a meno di una scossa, nessun attore in grado di costringere a un cessate il fuoco . Dove ha fallito Parigi, Roma deve riuscire.
Un Giubileo dipace, un Giubileo che non sia solo appuntamento morale per il dialogo interconfessionale ma ambisca ad aprire ponti di pace. Spes non confundit, dice Papà Francesco per indirre il Giubileo, la speranza non delude. Ma la politica? Nella crisi degli stati nazionali, in assenza di un Europa autorevole per essere operatrice di pace, in mancanza di un governo autorevole sul piano internazionale, Roma, questo simbolo millenario di incontro, ancora un volta può battere un colpo. Chiamare una conferenza di pace internazionale e costruire un Giubileo dove la politica risponda alle urgenze etiche e morali. La pace innanzitutto. E poi l’accoglienza, la crisi climatica, il diritto a una vita degna.
Le immagini di Parigi impegnata ad espellere i senza tetto sono il riflesso condizionato di un modello di sviluppo spietato, dove vince la legge del più forte. L’amministrazione di Roma, il suo sindaco, la città tutta, possono lanciare un messaggio al mondo. Chiamare una Tavola di pace, interconfessionale, multipolare, autorevole per parlare al mondo con un’unica voce. Chiedere la fine del massacro in Medio oriente, pretendere una via diplomatica in Ucraina. Anticipare forse i nuovi conflitti che si preparano nel Pacifico o in Sudamerica.
C’è qualcosa di simbolico nel pensare a questo mentre l’Appia Antica regina delle strade che connette Roma al mondo è stata iscritta nella lista del patrimonio Unesco. Building Peace in the minds of men and women, «costruire la pace nella mente degli uomini e delle donne» è il motto dell’Unesco. Cosa dovrebbe fare Roma se non questo, dopo questo importante riconoscimento?