L’analisi di Stefano Palmieri (Cgil) sul nuovo documento europeo: la genesi e le conseguenze degli errori compiuti dal governo italiano e dalle istituzioni Ue
Il nuovo Patto di stabilità e crescita europeo, votato dal Parlamento Ue con l’astensione dei partiti di maggioranza italiani e non solamente, avrà delle ripercussioni non trascurabili sull’economia e la finanza nel nostro Paese, anche in termini di ritorno a politiche europee di austerità. Stefano Palmieri, dell’area Politiche europee e internazionali della Cgil, ci aiuta a comprendere i contenuti e la portata del nuovo Patto, così come le posizioni del nostro governo e gli errori compiuti.
“In realtà ci troviamo in una vera e propria Controriforma – esordisce Palmieri –. La proposta originaria della commissione dello scorso anno aveva degli elementi di continuità con quello che era l’approccio del Next generation Eu, centrato sulla solidarietà, dove i singoli stati membri concordavano insieme alla Commissione quelli che erano i percorsi di rientro dei propri debiti pubblici”.
Con la modifica introdotte dal Consiglio europeo “questo approccio è completamente neutralizzato. Si ritorna infatti a un approccio intergovernativo nel quale la Commissione non assume più il ruolo di partner degli Stati membri e insieme a loro decide un percorso di rientro dal debito, ma diventa un cane da guardia. Questo perché il Consiglio ha reintrodotto dei parametri numerici e quindi la commissione deve farli rispettare ai singoli Stati”.
LA TECNOCRAZIA CHE DIVIDE
Per quanto riguarda le procedure per l’individuazione di un percorso di rientro del debito, il nuovo Patto le complica “perché inserisce alcuni elementi di valutazione che sono particolarmente tecnici – afferma Palmieri – e li racchiude all’interno di un percorso, nel quale la sostenibilità del debito diventa una specie di scatola nera i cui meccanismi permangono sempre nell’ambito di una gestione tecnocratica. Questo non farà che altro che ampliare il divario tra i decisori tecnici che stanno a Bruxelles e i cittadini, la società civile, i lavoratori che subiranno le conseguenze economiche e sociali di queste decisioni”.
Ci sarebbe inoltre il rischio che sia cancellato il passo in avanti fatto con il debito comune europeo, inaugurato proprio con le misture per fare fronte all’effetto della pandemia, benché se ne sia tornato a parlare proprio in questi giorni come l’ultima spiaggia per potere rilanciare l’Unione europea. A questo proposito Palmieri afferma “che, in parte con il rapporto Letta e il rapporto Draghi, le sfide che l'Ue è chiamata ad affrontare sono centrate, ad esempio, sull’importanza di attuare beni pubblici europei. Questo comporta chiaramente la creazione delle risorse finanziarie per conseguire questi obiettivi, che sono poi gli stessi del Green Deal e del Ray Power Eu che chiedevano un investimento e addizionali di 620 miliardi di euro per assicurare la transizione energetica e di 125 miliardi per assicurare la transizione digitale”.
IL RISCHIO RECESSIONE
Si crea quindi un problema che si acuisce poi con “la necessità di avere fondi per la ricostruzione dell’Ucraina, per la realizzazione effettiva del pilastro europeo dei diritti sociali e per gli investimenti nella difesa che l’Unione europea sta mettendo in cantiere – prosegue –. Quindi molto probabilmente la questione del debito comune ritornerà per cercare di finanziare queste due grandi transizioni a cui sicuramente si dovrebbe aggiungere un’altra, quella della transizione sociale, perché queste due transizioni saranno possibili solamente se sostenute dai cittadini, dalle forze sociali e dalle organizzazioni della società civile”.
Quanto preme spiegare a Palmieri è che già sulla base della relazione della Commissione sul meccanismo di allerta nel 2024 “c’erano undici stati membri che presentavano squilibri eccessivi, tra questi Germania, Francia, Italia e Spagna che rappresentano il grande blocco economico dell’Unione europea e che alla luce di questa di questa nuova governance economica dovranno avere dei percorsi di rientro particolarmente sostenuti, che faranno ripiombare l’economia europea nell’ambito di una possibile recessione a seguito delle politiche di austerità che saranno attuate. Quindi si tratta di un meccanismo che non semplifica, ma casomai complica”.
Non ha quindi senso sostenere che queste regole sono meglio delle regole precedenti “perché le regole precedenti, per quanto erano assurde, non erano applicate, quindi francamente non si capisce il senso di questa di questa interpretazione.
Sulla base di rielaborazioni fatte dalla confederazione Europea dei sindacati, su stime fatte dal think tank a Bruxelles, “l’aggiustamento fiscale annuale per gli Stati membri fa sì che dovranno tagliare bilanci di oltre 100 miliardi di euro nei prossimi 4 anni – spiega l’economista della Cgil – e, tenendo conto quindi dei vincoli fiscali previsti da questa nuova governance, il numero degli Stati membri che saranno costretti a effettuare tagli passerebbe da quegli 11 detti prima a 24: come si possa pensare che questa è una riforma, francamente non lo so, è un po’ inspiegabile”.
LE RESPONSABILITÀ E IL PESO DELLE PROSSIME ELEZIONI
È allora naturale chiedersi perché sia stata fatta una scelta come quella di questo nuovo Patto di stabilità e Palmieri si dice convinto che sia stata purtroppo attuata una strategia completamente errata da alcuni governi in sede di negoziati: “Credo che la proposta avanzata dalla Commissione europea, in primis dal commissario Gentiloni, era un'ottima proposta e che avevamo una presidenza del Consiglio, quella spagnola, che aveva sicuramente la possibilità di formare un consenso tra i governi attraverso un’alleanza tra governo italiano, spagnolo e francese per sostenere quella che sì era una riforma e farla approvare durante la stessa presidenza spagnola.
Purtroppo per errori di valutazione di alcuni governi, per primo il nostro che non è riuscito a trovare un'alleanza con francesi e spagnoli, non si è riusciti ad arrivare a un accordo sulla proposta originaria. Sono prevalsi i personalismi, che poco hanno a che fare con le politiche utili ai cittadini europei”.
Tutto ciò alla vigilia di una scadenza elettorale per l'Europa fondamentale, perché, come dice Palmieri, “tutto dipenderà da come sarà conformato il Parlamento europeo e da quale tipo di commissione arriveranno le scelte che dovranno essere fatte su sfide cruciali per l'Unione europea. Io non so quanto di tutto ciò impegnerà il dibattito in Italia. Si sta guardando più alla composizione delle liste che non ai contenuti che i candidati dee liste dovrebbero avanzare.
Governi nazionali e istituzioni europee nel corso di questi ultimi anni sono stati deficitari”, afferma citando un recente rapporto elaborato dalla Commissione europea che mostra come le regioni dove prevale l’euroscetticismo sono quelle che si trovano “nella trappola dello sviluppo, che è composta da mancata crescita dell’occupazione e della competitività”. Per questo motivo assistiamo all’avanzata dei partiti euroscettici.
UN GOVERNO SCHIZOFRENICO
A contribuire sono state anche le scelte sbagliate di governi internazionali, alcuni governi nazionali e di istituzioni europee. “Questo è il quadro un po’ sconfortante”, dice Palmieri, giungendo poi ad analizzare il voto contrario al Patto da parte dei partiti della maggioranza di governo in Italia. “L’esecutivo Meloni ha avuto un atteggiamento schizofrenico, perché in sede di Consiglio ha accettato il compromesso che era stato avanzato, circa quattro mesi fa, e ha votato senza fare obiezioni, salvo poi, all'interno del Parlamento europeo, vedere le forze di governo si sono astenute e questo è un comportamento incomprensibile”.
Un comportamento che è difficile spiegare in Europa per la sua incoerenza e “che poi si pagano in termini di alleanze”. “Il governo italiano – conclude l’economista della Cgil – non ha cercato alleanze con Paesi come Spagna, Francia e forse anche Germania per prendere il meglio della riforma e così ha perso una buona occasione”.