GOVERNO. Il Pd è un partito tardo novecentesco in crisi di identità, tra «socialisti», Terza Via e New Labour; il M5S è di questo nuovo, confuso, secolo: un coacervo di istanze di solidarietà. Una coalizione progressista compete con la destra solo se propone una società più equa, che offra opportunità reali di vita per tutti non solo per i vincenti della globalizzazione
Ragionare sulle prospettive dell’opposizione al governo Meloni non è facile. Non siamo in un sistema a due partiti, e neppure in uno in cui ci sia una formazione politica che, per consistenza numerica e per chiarezza delle idee, domina l’insieme dei partiti che non fanno parte della maggioranza. Le due forze principali che siedono nei banchi dell’opposizione, il Pd e il M5S, sono potenzialmente in competizione, anche quando (occasionalmente) collaborano.
Questa situazione non dipende soltanto dal sistema elettorale. Ci sono anche fattori che riguardano la cultura politica a rendere problematica la costruzione di una vera coalizione. Se il Pd è ormai da anni un partito tardo-novecentesco in crisi di identità – diviso tra chi vorrebbe collocarsi con convinzione a sinistra, seguendo l’esempio dei socialisti spagnoli, e chi invece coltiva la nostalgia della Terza Via e del New Labour – il Movimento Cinque Stelle è pienamente una creatura di questo nuovo, confuso, secolo: un coacervo di istanze di solidarietà e di riflessi di difesa di interessi sociali, che guarda soprattutto ai “perdenti” della globalizzazione.
Anche i leader di queste due forze politiche non sembrano fatti per intendersi. Elly Schlein ha una sensibilità forte per i temi che sono tipici dei giovani progressisti europei: apertura al mondo, pluralismo dei valori e delle scelte di vita, attenzione all’ambiente e ai deboli. Giuseppe Conte è invece, e non solo per ragioni anagrafiche, meno attento ai nuovi diritti di libertà, e più propenso a guardare a quelli sociali, minacciati dalle politiche neoliberali (che nel passato recente sono state portate avanti anche dal Pd). Nessuno dei due sembra per ora interessato a trovare una sintesi. Schlein probabilmente per timore dell’opposizione interna dei cosiddetti riformisti, che non vedono l’ora di sostituirla con un esponente dell’area moderata del partito, anche perché possono contare su un ampio sostegno da parte della stampa centrista. Conte perché non ne avverte il bisogno. La sua non è una forza politica di visione – non a caso non ha rapporti con le grandi famiglie politiche europee – ma di reazione.
Questa situazione spiega, a mio avviso, la debolezza che l’opposizione nel suo complesso mostra nei confronti dell’attuale governo (analizzata con lucidità ieri da Andrea Carugati). Giocare di rimessa, tuttavia, non è una strategia sostenibile. Non solo perché dannosa nel lungo periodo per le prospettive elettorali sia del Pd sia del M5S, ma anche perché l’Italia corre il rischio di essere messa ai margini in un panorama internazionale in cui la destra è in ascesa ovunque, e esercita un’attrattiva molto forte anche sui centristi e sui conservatori di tipo tradizionale (dove esistono ancora).
A essere in gioco non sono soltanto le prospettive economiche di un paese che appare sempre meno in grado di competere, se non al ribasso, ma anche la stessa democrazia come l’abbiamo conosciuta nel secondo dopoguerra. Le destre europee e statunitensi stanno assumendo un profilo spiccatamente autoritario, che corre il rischio di cambiare rapidamente i termini del contratto sociale nato dal compromesso socialdemocratico (cui si sono a lungo adattati anche i conservatori). Sta nascendo una nuova destra che si offre come garante “forte” agli interessi economici, e che non si fa alcuno scrupolo nello smantellare ciò che rimane dello Stato sociale e dei diritti di libertà.
Per quel che riguarda la sinistra, in tutte le sue componenti, la via d’uscita da questo vicolo cieco non può che essere una ripresa dell’iniziativa sul piano politico, che metta in campo proposte radicali non solo per quel che riguarda i diritti di libertà e l’ambiente, ma anche per l’equità.
Una prospettiva che a me pare rafforzata da alcuni studi che sono stati presentati ieri sulle pagine del Guardian da Macarena Ares e Silja Häusermann, due scienziate della politica che fanno parte del “Progressive Politics Research Network”. Secondo le studiose non è affatto vero quel che per anni è stato sostenuto dai difensori della Terza Via, ovvero che, per vincere, la sinistra deve assecondare gli umori dell’elettorato conservatore sul piano sociale e gli interessi del capitale su quello economico.
Le nuove ricerche mostrano che una coalizione progressista potrebbe competere in maniera efficace con la destra, se recuperasse la forza delle proprie convinzioni, proponendo una società più equa, che offra opportunità reali di vita decente per tutti, e non solo per i vincenti della globalizzazione.
Questa credo, sia la sfida che Elly Schlein dovrebbe raccogliere, incalzando il M5S. Non sarà facile, per via delle condizioni peculiari del sistema politico italiano cui ho accennato, ma la posta in gioco è così alta che vale la pena di provarci. Non siamo più nel tempo dell’ambiguità, ma delle scelte.