SINISTRA. Oggi a Madrid (ore 11-14), conferenza internazionale organizzata da Podemos che promuove la carta «Ucraina: Pace ora!». Tra i firmatari Jeremy Corbyn, Noam Chomsky, Luis Fazenda, Declan Kearney, Rafael Correa, […]
Oggi a Madrid (ore 11-14), conferenza internazionale organizzata da Podemos che promuove la carta «Ucraina: Pace ora!».
Tra i firmatari Jeremy Corbyn, Noam Chomsky, Luis Fazenda, Declan Kearney, Rafael Correa, Nicola Fratoianni e Luigi de Magistris, che saranno a Madrid.
«Chiediamo un cessate il fuoco immediato e sosteniamo i negoziati per una pace piena e duratura – è scritto nel testo – le Nazioni Unite e gli altri organismi internazionali competenti devono essere pronti a garantire qualsiasi accordo. Il presidente Zelensky ha delineato le due condizioni più essenziali: le truppe russe invasori devono ritirarsi dall’Ucraina e l’Ucraina diventa un paese neutrale».
Si sollecita «la protezione di tutti i civili» e «sostegno per la ricostruzione» eliminando il debito dell’Ucraina.
Scritto da Yurii Sheliazhenko, Elena Popova, Mao Valpiana su il manifesto
CONFLITTO UCRAINO. I nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia: «Non accettiamo le narrazioni russe e ucraine per cui i due popoli sono nemici esistenziali da fermare con la forza militare»
Manifestazione per la pace in Ucraina - LaPresse
La guerra è il più grande crimine contro l’umanità. Non esiste guerra giusta. Ogni guerra è sacrilega. Per questo siamo obiettori di coscienza, rifiutiamo le armi e gli eserciti che sono gli strumenti che rendono possibili le guerre. Il conflitto tra Russia e Ucraina può e deve essere risolto con mezzi pacifici, salvando così molte vite. Sappiamo che l’invasione russa in corso in Ucraina viola il diritto internazionale e che l’Ucraina ha il diritto di difendersi dall’aggressione armata, ma non possiamo accettare alcuna giustificazione della guerra, perché siamo persuasi che l’azione nonviolenta sia la migliore forma di autodifesa. Non possiamo accettare le narrazioni russe e ucraine che ritraggono questi due popoli come nemici esistenziali che devono essere fermati con la forza militare. Le vittime di questo conflitto, civili di diverse nazionalità, muoiono e soffrono a causa delle azioni militari di tutti i combattenti. Ecco perché le armi e le voci dell’odio devono essere messe a tacere per cedere il passo alla verità e alla riconciliazione.
Facciamo parte dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra (W.R.I.) e dell’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (EBCO), e lavoriamo insieme in un unico grande movimento per la pace. Ci rivolgiamo ai nostri governi (ucraino, russo, italiano) affinché attivino subito ogni strada diplomatica possibile per un tavolo delle trattative per il cessate il fuoco. I nostri popoli sono contro la guerra. I nostri popoli hanno già subito l’immenso dramma della
Il presidente dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo racconta la prossima Festa di Liberazione, dedicata all'impegno per la memoria e per la pace
Il 25 aprile sarà dedicato alla memoria e all’impegno per la pace. L’associazione nazionale dei partigiani scenderà nelle piazze italiane non solo per celebrare la giornata della Liberazione ma con l’obiettivo di farne uno stimolo affinché si ritorni a una politica capace di ricomporre i conflitti. L’eco della guerra in Ucraina è forte nelle parole del presidente Gianfranco Pagliarulo, finito sotto attacco assieme all’Anpi per le posizioni espresse sul conflitto.
“Posizioni di semplice buon senso – ci dice – eppure, nelle ultime settimane, abbiamo subito una serie di attacchi di una violenza e di una volgarità stupefacenti. Ho scoperto, tanto per fare un esempio, di essere ‘putiniano’. Credo che sia un segno dei tempi e dell’imbarbarimento del dibattito pubblico. "Abbiamo comunque ricevuto una valanga di messaggi di solidarietà. La nostra associazione è profondamente unita, alimentata dalla discussione e dalle differenze di opinione che sono benvenute secondo i principi della democrazia organizzata”.
Come si “resiste”, allora, alla guerra secondo l’Anpi? Cercando un tavolo di trattative. Una necessità diventata sempre più urgente. Vediamo, però, con allarme che sta accadendo esattamente il contrario con scelte e comportamenti che spingono al prolungarsi delle ostilità e a un riarmo generalizzato come avvenne prima della prima e della seconda guerra mondiale. Tutto ciò inasprisce le tensioni. Ci chiediamo come sia possibile non comprendere che si sta innescando una reazione a catena apocalittica che potrebbe portare a una catastrofe di cui nessuno è in grado di prevedere gli esiti.
Per questo l’Anpi si è dichiarata contraria sia all’invio delle armi in Ucraina, sia alla decisione di aumentare il budget militare del nostro Paese al 2%? Lo abbiamo fatto per una ragione fondamentale: siamo convinti che questi atti contribuiscano a un’ulteriore e rapida escalation del conflitto. È possibile un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa ovvero uno scontro militare fino allo sfinimento delle parti con un numero incalcolabile di vittime. Noi pensiamo che da questa situazione così grave derivi l’urgenza di un rafforzamento dell’unità e del dialogo tra tutte le forze di pace e antifasciste del nostro Paese per abbassare la tensione e ricercare la via del negoziato.
“L’Italia ripudia la guerra” è scritto sul manifesto Anpi che annuncia il 25 aprile, duramente bersagliato dalle critiche per la disposizione delle bandiere esposte sui balconi e pure per il riferimento all’articolo 11 della Costituzione di cui si cita solo la prima parte. La polemica sulla disposizione delle bandiere è stata davvero grottesca. Anzi colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta la bravissima Alice Milani che ha firmato quel manifesto. In ogni caso, noi abbiamo scelto di titolarlo “L’Italia ripudia la guerra” per ricordare che nella nostra Costituzione la parola “Italia” è citata solo in due occasioni: all’articolo 1 e all’articolo 11, mettendo così in luce due caratteri irreversibili della nostra Repubblica e cioè la pace e il lavoro.
Il 25 aprile a Milano e nelle altre piazze italiane si manifesterà per la pace ma anche per ricordare che l’impegno antifascista continua. Non possiamo dimenticare che gli episodi di attacchi, violenze e atti che si richiamano direttamente al Ventennio sono in aumento. Esattamente, e l’enorme tragedia internazionale che stiamo vivendo non può e non deve farci ignorare i problemi interni al nostro Paese, mi riferisco in particolare all’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre scorso. Da allora l’Anpi ha lavorato a due leggi: una che renda penalmente perseguibili i reati legati a comportamenti che si richiamano al fascismo e al nazismo e l’altra che modifichi l’ordinamento della toponomastica vietando l’intestazione di spazi pubblici a personalità che hanno avuto un ruolo attivo e dirigente nel ventennio. Sul terreno dello scioglimento delle organizzazioni neofasciste, pur previsto dalla legge Scelba del 1952, invece registriamo uno stallo. Lo scorso dicembre, insieme a Cgil, Cisl, Acli, Libera, Arci, abbiamo incontrato i rappresentanti del governo ma questo incontro ancora non ha dato un esito positivo. Dobbiamo insistere e insisteremo perché quello che è accaduto alla sede della Cgil è stato un punto di non ritorno e, per parafrasare una citazione che ben conosciamo, se è già successo, può succedere di nuovo.
Più volte lei ha enfatizzato la necessità di tenere unite le forze antifasciste e democratiche del Paese, soprattutto in questa fase storica così complessa. Eppure, a Roma, ormai dal 2014, alla manifestazione del 25 aprile la comunità ebraica non parteciperà. Una rottura dolorosa quella con la comunità che anche in questi giorni ha espresso, attraverso la presidente Dureghello, il suo scetticismo rispetto alle posizioni espresse dall’Anpi sulla guerra in Ucraina. Cosa pensate di fare per risanare questa frattura? Ho scritto una lettera alla Presidente Dureghello chiedendole un incontro. Per risanare la frattura occorre la disponibilità di tutti.
Il 25 aprile celebra la Liberazione e la Resistenza. In molti in queste settimane hanno azzardato il paragone tra la Resistenza partigiana e quella ucraina. A nostro parere è giusto chiamare la lotta armata degli ucraini una lotta di resistenza, in base alla definizione statuita nella Carta delle Nazioni Unite scritta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Detto questo, sarebbe sbagliato identificare la Resistenza italiana con quella ucraina. Per essere chiari: ovunque uno Stato aggredisca un altro Stato si crea una lotta di resistenza, ma questo non la rende automaticamente simile alla Resistenza italiana che si è svolta in un contesto completamente diverso. Lo dico per sottolineare che quando affrontiamo questi temi di carattere storico-politico dobbiamo saper cogliere le affinità sì, ma anche le differenze. Per esempio, davanti alla nostra contrarietà all’invio delle armi in Ucraina ci è stato obiettato che i nostri partigiani senza le armi degli alleati non avrebbero potuto lottare, ebbene i nostri partigiani ricevevano le armi da nazioni che erano formalmente in guerra contro nazisti e fascisti, l’Italia non è in guerra contro la Russia. Non siamo mai stati equidistanti nella tragedia di questa guerra. Eravamo e siamo dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori. Per questo motivo, alla manifestazione nazionale del 25 aprile a Milano proverò a portare parole di condanna dell’invasione, di pace e di unità non dimenticando i ripetuti appelli di papa Bergoglio.
Per affrontare la crisi energetica bisogna fare presto e non bastano le misure tampone contro l'aumento dei prezzi. Ecco gli effetti a catena sulle filiere produttive più “energivore”, mentre i grandi gruppi incassano 16 miliardi di extraprofitti in sei mesi
Qualcosa si muove, ma è ancora troppo poco e i tempi stringono. Contro la corsa dei costi dell’energia che sta danneggiando pesantemente cittadini e imprese, mentre i grandi gruppi hanno raccolto extra-profitti per 16 miliardi da gennaio a oggi, il governo è sceso in campo di nuovo con un provvedimento di legge che introduce ulteriori misure di riduzione degli oneri di sistema, di defiscalizzazione per le imprese e bonus per le famiglie a basso reddito. Nelle previsioni governative i prezzi dovrebbero scendere visibilmente a breve, ma siamo solo all’inizio di una nuova crisi che potrebbe essere lunga e pesante anche in vista della decisione più radicale: quella di chiudere completamente i rubinetti del gas russo. L’impresa non solo non è facile, ma non è neppure scontata. Sono di queste ore gli annunci della Germania (storica locomotiva europea), di un possibile crollo del 40 per cento del Pil interno in caso di blocco delle forniture di gas russo.
Anche in Italia la crisi energetica assume aspetti sempre più preoccupanti ed è frutto di anni di scelte sbagliate (o mancate). E se la Germania dipende dai rubinetti di Putin per il 49 per cento del suo fabbisogno energetico, l’Italia è poco distante, con una dipendenza del 40 per cento. Per questo le scelte da fare sono urgenti e molto complesse perché implicano investimenti e tempi di realizzazione. La Cgil è scesa in campo da subito sulla questione, già dai tempi della pandemia, come ci spiega Walter Schiavella, responsabile nazionale delle politiche energetiche della Cgil. “La crisi energetica attuale – dice il sindacalista – è sicuramente figlia della guerra in Ucraina, ma nello stesso tempo la precede, quando la fase post pandemia ha fatto schizzare i prezzi a causa della ripresa economica (e quindi del fabbisogno di energia per produrre) trainata dalla Cina in una contingenza che tra l’altro ha favorito la corsa del prezzo del gas sia per una serie di guasti ripetuti agli impianti, sia per cause climatiche come la siccità che ha colpito il Brasile e la mancanza di vento nel Mare del Nord”.
Ma la ragione più importante di una vera e propria esplosione del prezzo del gas sta nell’aver lasciato al solo mercato il sistema di determinazione dei prezzi in favore della speculazione finanziaria. “Fino a qualche anno – ci dice Schiavella – il prezzo del gas era fissato dagli accordi contrattuali con i produttori. Ora il prezzo del gas si decide alla Borsa di Amsterdam. È evidente che un meccanismo di mercato esposto all’aumento della domanda e alle varie tensioni geopolitiche non può che tradursi in speculazioni finanziarie sui ‘future’ che hanno fatto schizzare il prezzo”. Si tratta di un punto decisivo su cui la Cgil è intervenuta già più volte – anche in sede parlamentare - chiedendo una revisione dei meccanismi che determinano il prezzo del gas e quindi a cascata tutti gli altri costi energetici e di trasporto. “Noi diciamo che è necessario rivedere le regole – dice ancora Schiavella – una questione strategica di questa portata non può essere affidata al mercato finanziario”.
L’altra questione (anzi la prima questione) riguarda la diversificazione della produzione di energia. Quando si è cominciato a parlare di alternativa al petrolio e al carbone c’è stato anche qualcuno che ha rimesso in campo il nucleare. Ora con la minaccia di un blocco delle forniture del gas russo le tentazioni a un ritorno indietro sono forti. Per la Cgil siamo invece in presenza di una nuova grande occasione per accelerare il passaggio a un sistema basato prioritariamente sulle energie rinnovabili.
La posizione della Confederazione è stata esplicitata nelle varie audizioni parlamentari e nei commenti ai provvedimenti del Governo. “Oltre alle misure necessarie ad affrontare la nuova emergenza nel quadro della strategia europee, aumentando e diversificando nel breve periodo le fonti di approvvigionamento del gas – si legge una nota di Corso d’Italia - occorre insistere nel semplificare le procedure per attivare investimenti e innovazione nelle fonti rinnovabili, fondamentali per concorrere a una maggiore indipendenza energetica degli Stati europei dal resto del mondo. Non a caso, nel Consiglio europeo del 24 e 25 marzo scorso i leader della Ue hanno convenuto di affrancarsi quanto prima, pur gradualmente, dalla dipendenza dalle importazioni di materie energetiche russe, anche con l’impegno della Commissione europea a rimettere in discussione gli stessi meccanismi di formazione dei prezzi nel mercato dell’energia elettrica e del gas – come suggerito anche dalla Cgil nelle Audizioni parlamentari sui provvedimenti precedenti – per garantire prezzi accessibili e sicurezza dell’approvvigionamento”
Il problema sta ancora una volta nelle risorse che lo Stato decide di mettere in campo. È anche su questo punto la posizione della Cgil è chiara e netta. “Le risorse per affrontare questa fase quindi sono quindi fondamentali – si legge in una nota della confederazione del 4 aprile scorso - durante la pandemia abbiamo utilizzato una serie di scostamenti di bilancio, anche grazie al cosiddetto Quadro temporaneo europeo e alla politica di acquisto del debito pubblico messa in campo dalla Bce (Pepp, programma che terminato a marzo). Nonostante il cambio di politica della Bce, riteniamo necessario prevedere un ulteriore scostamento per far fronte all’impatto sociale, determinato dall’effetto economico del conflitto in atto. L’altro possibile intervento è di natura fiscale. La discussione in Parlamento della legge delega fiscale è caratterizzata dai posizionamenti identitari, prova ne è il tema catasto sul quale il Governo è riuscito solo per un voto a evitare la cancellazione sul timido monitoraggio previsto nel testo”.
Nel frattempo è necessario intervenire sugli effetti già molto pesanti e che potrebbero diventare devastanti della crisi del gas sui settori produttivi italiani più esposti. “Quando si parla dei settori energivori a rischio – spiega Schiavella – parliamo di una grande fetta dell’industria italiana: acciaio, chimica, vetro, cemento, industria alimentare, ceramiche e tanti altri settori su cui è necessario intervenire con tutti gli strumenti possibili per evitare un disastro completo”.