Torna al centro del dibattito politico e all'esame della commissione Affari costituzionali della Camera la riforma della cittadinanza. In discussione la proposta di richiedere il riconoscimento per i minori stranieri dopo cinque anni di scuola, nel tentativo di approvarla entro la fine della legislatura
In commissione Affari costituzionali della Camera è ripartito l’iter della riforma della cittadinanza, periodicamente al centro del dibattito politico, adottando un testo base che prevede il cosiddetto ius scholae. E cioè la possibilità di legare al percorso scolastico il riconoscimento della cittadinanza ai minori stranieri. In pratica, secondo la proposta, acquista la cittadinanza, su richiesta dei genitori, il bambino straniero nato in Italia, o che vi abbia fatto ingresso entro i 12 anni, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni, che abbia frequentato regolarmente nel territorio nazionale per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici.
In Commissione si è scatenata la battaglia degli emendamenti, molti dei quali presentati dalle forze politiche contrarie al disegno di legge con il solo scopo di fare ostruzionismo. Come gli esami volti a testare l’italianità dei richiedenti, che sono al limite del folcloristico: dalla prova sulle sagre tipiche a quella sulle festività religiose regionali, fino allo scritto sul significato del presepe. L'auspicio è che arrivino al traguardo finale le proposte del Tavolo cittadinanza, di cui fa parte anche la Cgil, che mirano ad ampliare la platea degli aventi diritto ai giovani fino a 20 anni, e a ridurre se non azzerare le spese per la richiesta.
L’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione parla di circa 880mila alunni di cittadinanza non italiana nelle nostre scuole, numero che include anche gli studenti europei, ma a cui vanno aggiunti quanti hanno già fatto questi percorsi scolastici.
Mentre il Comune di Bologna ha riconosciuto per statuto la cittadinanza onoraria a 11mila ragazzi nati in Italia ma figli di migranti, in Parlamento è scattata la corsa contro il tempo per approvare il provvedimento prima della fine della legislatura.