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Aumento dei rifiuti prodotti, mantenimento degli impianti di incenerimento esistenti, ulteriori proroghe all’applicazione della tariffa puntuale. “Azzerati gli obiettivi ambiziosi dell’ultimo decennio, si prevede un incremento della produzione di rifiuti con rischio di apertura di nuovi impianti” 

Le osservazioni dell’associazione cadute nel vuoto, ora un ultimo appello ai consiglieri regionali per emendare il Piano 

Verso il nuovo Piano regionale dei rifiuti: al via il percorso partecipato  della Regione – Confservizi Emilia-Romagna

 Prospettive preoccupanti emergono dall’analisi del nuovo Piano Regionale Rifiuti e Bonifiche compiuta da Legambiente Emilia-Romagna. Un’analisi che è stata condensata in 16 osservazioni di merito con cui l’associazione ha chiesto di rivedere questo strumento di pianificazione: il Piano adottato dalla Giunta, infatti, lungi dal riconoscere i risultati già raggiunti dai cittadini e dalle imprese nei territori più avanzati dell’Emilia-Romagna e spronare gli altri nella giusta direzione, assume un’ottica conservatrice che azzera gli obiettivi ambiziosi del piano precedente. 

 “Il primo elemento straniante è che le principali previsioni del Piano si basano su un’ipotesi sbagliata, ovvero che la produzione dei rifiuti urbani e speciali sia una quantità proporzionale al PIL regionale”, commenta Legambiente. “I dati storici dimostrano il contrario, ovvero che il PIL regionale è sempre cresciuto (salvo nei periodi più critici, come la crisi sanitaria degli ultimi anni) a fronte di una sostanziale stabilità nella produzione dei rifiuti, sia urbani sia speciali. Perché dunque accettare un obiettivo che prevede la crescita dei rifiuti prodotti, quando tutti gli sforzi politici, tecnici e tecnologici vanno nella direzione di aumentare le produzioni riducendo sempre più gli sprechi di materia?”. 

 “Il secondo punto d’attenzione”, continua Legambiente, “riguarda il quantitativo di rifiuti indifferenziati. A fronte di un calo costante di questa quantità tra 2010 e 2020 (in questo decennio la quantità di rifiuti indifferenziati in Regione si è sostanzialmente dimezzata), la Giunta ha assunto un obiettivo modesto (120 kg per abitante ogni anno) che risulta inferiore rispetto alla media dello stesso valore rilevato nei Comuni più virtuosi, quelli che hanno adottato la tariffa puntuale: in questi Comuni è già stato raggiunto un livello di 104 kg per abitante. Abbiamo quindi proposto questo obiettivo per il prossimo quinquennio: ci aspettiamo infatti che tutti i Comuni riescano a raggiungere un valore simile adottando questo sistema di misurazione. Questa proposta, insieme alle altre, è stata rigettata.” 

 La riflessione sui rifiuti indifferenziati, secondo Legambiente, è legata al tema degli impianti di smaltimento. “La Regione continua a non voler mettere in discussione il fabbisogno di inceneritori, nonostante la chiusura di almeno un impianto appaia realizzabile secondo le nostre proiezioni. Basti notare che la capienza disponibile in questi impianti è stata progressivamente utilizzata per incenerire rifiuti speciali, che però sono al di fuori della pianificazione: non sarebbe il caso di ammetterlo?” 

 Resta aperto il tema dell’effettiva applicazione della tariffa puntuale. “Si era partiti dall’obiettivo di portare tutti i Comuni a questo sistema entro il 2020, si è arrivati a un Piano che proroga la scadenza al 2024”, osserva Legambiente. “A questo punto avevamo chiesto di anticipare tale data alla fine del 2023 e di prevedere forme di sanzione per i Comuni inadempienti. Anche questa proposta non è stata accolta: la Regione ha demandato la definizione delle nuove scadenze a una futura revisione della legge regionale sull’economia circolare (16/2015)”. 

 Manca solamente il passaggio in Assemblea legislativa per l’approvazione definitiva del Piano. Legambiente lancia quindi un appello ai consiglieri regionali. “Si riesaminino le proposte delle associazioni e si mettano da parte gli interessi di mantenimento dello status quo, che hanno portato ad un annacquamento degli obiettivi. Occorre essere coerenti con le intenzioni enunciate all’interno di leggi e piani regionali preesistenti, oltre che con gli obiettivi europei: in caso contrario, invece di sostenere l’impegno dei Comuni più virtuosi, si premiano la lentezza e l’immobilismo.” 

“Occorre un Piano all’altezza delle ambizioni che la Regione si è data all’interno della Strategia di Sviluppo Sostenibile”, conclude Legambiente. “Il rischio è quello di perdere i risultati conseguiti negli ultimi 10 anni.” 

La crisi idrica in atto, causata dai cambiamenti climatici e dalla cattiva gestione della risorsa e delle reti, non è un fenomeno nuovo. Negli ultimi anni le piogge sono diminuite del 5o% e la neve del 70%. E ci attende un peggioramento. Fracassi, Cgil: “Le risorse del Pnrr vanno usate bene e agli interventi va data continuità”

Fiume Po in secca Castelvetro Piacentino (Piacenza), 25 marzo, 2022 : Siccità, il fiume Po' in secca meteorologica, nonostante la stagione invernale il fiume ha ridotto di molto la sua portata d'acqua. 



Foto di © Matteo Biatta/Sintesi



Castelvetro Piacentino (Piacenza) 25/03/2022 - Drought, the dry river Po' meteorology

 

L’acqua in Italia c’è, c’era, c’è sempre stata. Certo, dal 1950 a oggi è diminuita del 14 per cento, ma in questi decenni è stata stressata, sprecata, gestita male, prosciugata. E adesso, con il Po in piena siccità, sta anche diventando salata: la riduzione della portata del fiume, unita a un progressivo abbassamento dell’alveo, contribuisce alla risalita del cuneo salino che in questi giorni è avanzato di 30 chilometri. Perché allora siamo a un passo dal dichiarare lo stato di emergenza nazionale per la siccità? Perché in alcuni Comuni sono partiti razionamenti e divieti, alcune centrali idroelettriche si sono fermate a causa della scarsità dell’acqua, interi raccolti sono a rischio?

Ha piovuto poco e ha nevicato ancor meno quest’inverno, è la risposta più semplice. È vero: le piogge sono diminuite del 40-50 per cento rispetto alle medie degli ultimi anni e la neve del 70 per cento, stando ai dati forniti dal capo della protezione civile Fabrizio Curcio. Ma non è la prima volta. Negli ultimi 20 anni in Italia abbiamo avuto crisi siccitose nel 2003, 2007, 2012, 2017, e ora nel 2022. Quindi non è un fenomeno nuovo, sarebbe sbagliato pensare che sia così. Gli scienziati lo sanno bene e lo ripetono da tempo.

“La carenza di risorsa idrica che stiamo vivendo è causata dai cambiamenti climatici in atto, che hanno un impatto sulla temperatura della Terra ma anche sulle piogge e su tanti altri eventi estremi, dalle alluvioni lampo agli incendi che si propagano più velocemente, ai tornado – spiega Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, intervenuto a un seminario sul tema organizzato dalla Cgil -. Non c’è solo il caldo o il fatto che si suda di più. Se anche la temperatura rimasse quella di oggi, i ghiacciai perderebbero un 30-35 per cento di volume fino a fine secolo. Ma attenzione: questa condizione è irreversibile, non possiamo tornare più indietro. Se invece non mettiamo un freno al global warming, si potrebbe verificare lo scenario peggiore: al 2100 ci rimarrebbe solo un 5-10 per cento dei ghiacciai che abbiamo oggi”.

D’altra parte la situazione attuale era stata ampiamente prevista, era prevedibile ed è stata anche annunciata. A febbraio l’Autorità distrettuale del fiume Po aveva lanciato l’allarme, delineando le conseguenze di un inverno con il quantitativo minore di neve caduta degli ultimi vent’anni, che avrebbe contribuito a causare un gap idrologico di portata storica. “A marzo è arrivato anche il rapporto del Joint Research Centre europeo sulla siccità nel Nord Italia – afferma Simona Fabiani, responsabile delle politiche per il clima, il territorio e l'ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil -, che sollevava ‘preoccupazioni per gli impatti diffusi e simultanei’ della carenza d’acqua”.

E siamo a oggi: dopo mesi senza pioggia e neve, temperature record, incendi raddoppiati, pesanti perdite economiche per l’agricoltura e ricadute anche per la produzione idroelettrica e per gli impianti termoelettrici che usano l’acqua per il raffreddamento. “Tutto questo si traduce anche in lavoratori che rischiano la salute e il posto – aggiunge Fabiani -, competizione fra settori economici e contrapposizioni fra territori per l’uso di una risorsa sempre più scarsa e preziosa. Il tema della sicurezza alimentare planetaria e dell’interconnessione tra clima e cibo è centrale”.

Ciononostante, continuiamo a chiamare emergenza un fenomeno che è in atto da decenni e che gli scienziati sono unanimi nel dire che va fermato. O meglio: bisogna gestire l’inevitabile, che vuol dire attuare interventi di adattamento, ed evitare l’ingestibile, cioè mitigare. “La Cgil ha avanzato da tempo le proprie proposte e le priorità di intervento – fa presente Fabiani -: dal potenziare e adeguare acquedotti, reti e impianti di depurazione e fognari, all’interconnettere le reti di distribuzione e l’uso solidale della risorsa, fino alla riduzione delle perdite nelle reti. È insostenibile avere perdite che superano il 40 per cento e gestori che distribuiscono gli utili invece di fare gli interventi necessari per ridurle e migliorare la qualità delle acque e del servizio”.

Le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per questo settore sono complessivamente 4,38 miliardi: poche ed evidentemente in ritardo di spesa rispetto alle necessità. “E poi sono frammentate come lo sono anche le competenze che afferiscono ai distretti e alle singole Regioni – sostiene Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil -. Su questo punto possiamo provare a intervenire a livello nazionale ma anche territoriale, sul fronte della contrattazione e della governance. Inoltre, rispetto alla programmazione bisognerebbe dare continuità agli interventi, in modo che quanto verrà attuato adesso con le risorse del Pnrr, possa proseguire anche dopo. Questa è una vera sfida anche per il sindacato, gestire il cambiamento delle nostre scelte di politica economica e degli stili di vita, verso un modello di sviluppo e produttivo sostenibile e giusto”.

SINISTRA. Alleanza tra Europa Verde e Si: «A Letta diciamo: non inseguire la destra»

Nuove energie rossoverdi: «Uniti per cambiare l’Italia» foto Lapresse

Per spiegare l’intersezione tra i diritti sociali e le tematiche ecologiste, la senatrice Elena Fattori cita una frase attribuita a Chico Mendez: «L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio». Ma il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni precisa: «In questi anni abbiamo imparato che la lotta di classe senza ambientalismo è inefficace». Questo scambio contiene buona parte della sostanza della scommessa di Sinistra italiana ed Europa Verde, le due formazioni che ieri hanno annunciato un’alleanza alle elezioni politiche della primavera 2023. Per ora, si festeggia affettando un cocomero, il frutto «verde fuori e rosso dentro» che rappresenta l’intreccio tra le due famiglie.

IN QUESTA STESSA location, una sala a due passi dal Quirinale, all’inizio di questa legislatura il Movimento 5 Stelle annunciò l’approvazione del reddito di cittadinanza. Oggi è impossibile non notare che tra queste «nuove energie» ci sono alcuni di quelli che erano con Luigi Di Maio. Oltre a Fattori, oggi passata a Si, tra gli ex pentastellati ci sono l’ex ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, il presidente della componente alla Camera di Europa Verde Cristian Romaniello, l’europarlamentare e attuale co-portavoce Eleonora Evi.

UN SONDAGGIO commissionato per il lancio dell’alleanza afferma che potrebbe pescare da un bacino del 12,8% dell’elettorato: un terzo è costituito dallo zoccolo duro degli orientamenti consolidati, l’altro terzo dai votanti potenziale e l’ultimo terzo da quelli possibili. Per Giovanni Forti, che ha curato la ricerca, saranno dirimenti i contenuti, a partire dalla preoccupazione della gente per il caro-vita. «Ad Enrico Letta diciamo che le elezioni si vincono parlando il linguaggio della chiarezza» dice il verde Angelo Bonelli invitando il segretario dem a inseguire a destra Carlo Calenda. «Siamo disponibili a costruire alleanze per vincere le elezioni – sostiene Fratoianni – Ma ci vogliono idee per cambiare il paese: sui diritti, il lavoro, il salario, la tutela dell’ambiente, la scuola. Il contrario di quanto fatto in questi anni». «Questo governo ha manifestato tutta la sua inadeguatezza», conferma Evi. Moltissime critiche vanno al ministro per la transizione energetica Roberto Cingolani.

LO SPAZIO POLITICO per coniugare pragmatismo e radicalità, conflitti e governo, per i rossoverdi si trova nelle esperienze civiche che alle ultime tornate di elezioni amministrative sono sorte in diversi territori. Ecco Amedeo Ciaccheri: «Una pandemia, la guerra in Europa, adesso la siccità e la crisi ambientale: cosa altro doveva servire per convincerci a fare questo passo?», esordisce il presidente del municipio VIII di Roma. Per Ciaccheri, al percorso cominciato ieri «occorre uno sguardo nei luoghi che contengono storie non ordinate ma irregolari». Della necessità di costruire nuove forme della politica parla anche la vicesindaca di Bologna Emily Clancy. La consigliera comunale di Torino Alice Ravinale invita a darsi un’agenda che consenta di «prescindere dalla urgenza delle campagne elettorali». «Nei territori si va solo quando si vota, questo è un problema» dice Ferruccio Sansa, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Liguria: venne sconfitto ma la cui lista rossoverde ebbe un discreto successo. E poi sindaci come Riccardo Rossi da Brindisi, che racconta gli effetti della guerra e dell’emergenza energetica nel suo territorio. O Lorenzo Falchi, che a Sesto Fiorentino sconfisse il Pd di Renzi e che da poco è stato rieletto al primo turno.

ANCHE GLI INTERLOCUTORI internazionali sono utili a tracciare un identikit del progetto e delle aspirazioni. La francese Melanie Vogel co-presidente dei Verdi europei racconta di come sono riusciti a tornare nell’Assemblea legislativa grazie all’alleanza con la Nupes di Jean-Luc Mélenchon. Idoia Villanueva, responsabile internazionale di Podemos, tracciando il quadro dell’Europa schiacciata da guerra e crisi afferma: «Compagne e compagni, abbiamo bisogno di voi». Manon Aubry della France Insoumise ripercorre il cammino che ha messo insieme la sinistra alle ultime elezioni e spiega che quell’unità poggiava anche «sulla mobilitazione dei movimenti sociali, dei sindacati, delle associazioni, di tutti quelli che hanno fatto vivere e ribollire la società francese in questi anni».

PORTANDO I SUOI saluti Giulio Marcon, volto storico dell’associazionismo e portavoce di Sbilanciamoci, ricorda che «il prossimo autunno sarà caldissimo anche perché il governo Draghi non ha affrontato la questione sociale» e annuncia una campagna nazionale in cinque punti per la tassazione della ricchezza e il rilancio dell’alleanza tra clima e lavoro. E Cecilia Strada, impegnata coi salvataggi in mare dei migranti di Rescue, invita a non fare gerarchie tra battaglie e rivendicazioni: «I diritti vanno tutti insieme oppure non sono».