Presentato il Rapporto globale dell'Oil. In un focus sul nostro Paese dati drammatici: i salari reali hanno perso il 12%, nessuno così male
L’Organizzazione mondiale del lavoro (Oil) ha scelto l’Italia, Roma, per presentare il suo Rapporto mondiale sui salari 2022-2023. È stata la prima volta, lo scorso 2 dicembre, che l’agenzia Onu ha lanciato un proprio rapporto mondiale in Italia. Potrebbe sembrare una buona notizia ma purtroppo non lo è. L’analisi dell’Oil illustra un’emergenza salariale globale: gli effetti post-Covid e l’esplosione inflazionistica degli ultimi mesi stanno aggredendo i redditi da lavoro dovunque nel mondo. Ma in Italia sembrano emergere segnali se possibile ancora più allarmanti. Segnali che nel corso dell’incontro romano Gianni Rosas, direttore dell’Ufficio Oil per l’Italia e San Marino, e Giulia De Lazzari, esperta di politiche salariali del dipartimento Oil sulle condizioni di lavoro e l’uguaglianza, hanno distillato in un focus specifico.
La malattia italiana
In estrema sintesi, quello che il Rapporto segnala sull’Italia è questo: una tendenza all’erosione di lungo periodo dei salari reali, l’impatto prima della pandemia e adesso dell’inflazione sono le tre cause che spingono il nostro Paese in fondo a ogni immaginabile classifica, globale o europea, dove si rendiconti lo stato di salute e la capacità di acquisto dei redditi da lavoro.
L’Oil ricorda che nella prima metà del 2022, “per la prima volta in questo secolo”, i salari reali sono diminuiti su scala mondiale (-0,9%). Ma in Italia l’impennata inflazionistica li ha erosi con una riduzione di quasi 6 punti percentuali nel 2022, ossia più del doppio rispetto alla media Ue. “Questo ‘effetto inflazione’ segue un periodo di crescita modesta di 0,1 punti percentuali delle retribuzioni mensili nel periodo 2020–2021 (+1,7 punti per la media dei paesi Ue) a causa della pandemia”, si legge nel Rapporto.
Il crollo dei salari
Esaminando un arco di tempo più lungo (2008-2022), i ricercatori dell’Oil rilevano che in sole tre economie avanzate del G20 (Italia, Giappone e Regno Unito) “i salari reali hanno registrato livelli inferiori nel 2022 rispetto al 2008”. L’Italia, però, “registra la decrescita maggiore, pari a 12 punti percentuali”, un crollo che ha intaccato “in modo sostanziale il potere d’acquisto delle famiglie negli ultimi 15 anni”.
Eppure l'analisi dell'evoluzione degli indici dei salari reali durante il periodo 2008-2022 mostra una crescita dei salari nella maggior parte dei paesi dell'Ue. Il Rapporto evidenzia che l'incremento maggiore si è registrato nell'Europa centrale. Durante il periodo di riferimento, i salari sono aumentati del 72% in Ungheria, del 36% in Polonia e del 25% in Slovacchia. Anche in Francia e in Germania i salari sono saliti rispettivamente del 6 e del 12%. Per quanto riguarda l'Italia, se si prendono come base i salari del periodo immediatamente precedente al manifestarsi della crisi economica e finanziaria globale, l'indice dei salari reali indica invece una perdita drammatica, e doppia rispetto alla “penultima” Spagna (-6%)
Ci rimettono i working poor
“Le crisi legate alla pandemia e all’inflazione – aggiunge il Rapporto - hanno un impatto maggiore su lavoratori e lavoratrici con basse retribuzioni. La combinazione tra perdita di lavoro e riduzione di ore lavorate durante la pandemia ha causato una crescita di quasi un punto percentuale della proporzione di lavoratori e lavoratrici a bassi salari che in Italia è passata dal 9,6% del 2019 al 10,5% del 2020”.
Donne e giovani in difficoltà
“La proporzione di lavoratrici – si legge nel Rapporto -, in genere più presenti rispetto ai lavoratori in lavori a bassa retribuzione, è aumentata di più di un punto percentuale (dal 10,7% nel 2019 all'11,8% nel 2020)”. L’età è poi “un'altra caratteristica personale che influisce sui livelli salariali. Durante la pandemia, i giovani già presenti in alta percentuale tra i lavoratori con basse retribuzioni, è ulteriormente cresciuta di quasi un punto percentuale tra il 2019 e il 2020, anche se la crescita maggiore si è registrata tra i lavoratori di età compresa tra i 35 e i 50 anni (+1,2%)”.
Aree geografiche e contratti
I lavoratori con bassa retribuzione sono “più presenti nell'Italia del Sud (circa 14%), anche se gli incrementi maggiori si sono registrati nell'Italia centrale (+1,5%) e del Nord (+1,4%)”. Mentre “sulla base della tipologia di contratto, i lavoratori a tempo indeterminato con basse retribuzioni sono aumentati (+1,2%) rispetto a quelli a tempo determinato (+0,8%), il cui numero è quasi doppio rispetto ai primi. L'incremento del numero di lavoratori a bassa retribuzione è stato invece lo stesso tra i lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale (+0,9%)”.
“Dobbiamo porre particolare attenzione ai lavoratori a reddito medio-basso – ha chiarito Giulia Lazzari –, contrastare l’erosione del potere d’acquisto dei salari è un fattore essenziale per la crescita economica e può supportare la crescita dell’occupazione. Questo può essere inoltre un modo efficace per diminuire la probabilità o la severità di un’eventuale recessione in Italia”.
Il costo della vita
Il Rapporto mostra, inoltre, che l’inflazione “può avere un impatto maggiore sul costo della vita delle famiglie a basso reddito a causa dell’utilizzo della maggior parte del loro reddito disponibile per la spesa in beni e servizi essenziali. Questi ultimi, in genere, subiscono un incremento di prezzo maggiore. Anche i dati relativi all’Italia evidenziano che i beni e servizi primari sono stati maggiormente intaccati dall’inflazione”.
Il divario salariale di genere
Stando al Rapporto, una misurazione del divario salariale di genere sulla base del salario orario e del salario mensile indica che in Italia “è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al periodo precrisi, attestandosi intorno all'11% (se misurato in base ai salari orari) o al 16,2% (se basato sui salari mensili). Questa tendenza si allinea con la media del divario salariale di genere a livello globale che è confermata stabile al 20%”.
Che fare
“La ripresa dal Covid-19 che si stava realizzando nel mondo del lavoro in Italia e su scala globale è stata compromessa dall’attuale grave crisi inflazionistica”, ha spiegato Gianni Rosas. “Insieme al rallentamento della crescita economica, la crisi attuale sta aggravando la situazione dei salari reali in Italia e nel mondo. In questo contesto, è necessario adottare, attraverso il dialogo sociale, delle politiche macroeconomiche e fiscali di supporto al tenore di vita di lavoratori e famiglie, delle politiche salariali attraverso la contrattazione collettiva, unitamente a misure dirette alle famiglie meno abbienti. È inoltre fondamentale rafforzare le competenze di lavoratrici e lavoratori attraverso l’istruzione e la formazione lungo l’arco della vita e adottare strategie integrate per ridurre il divario salariale di genere”.
Se il governo si tira indietro, tocca alle parti sociali
Inevitabile il riferimento al recente voto contrario della Camera sull’introduzione legale del salario minimo. Ma, ha osservato diplomaticamente Rosas, “quello che conta non sono gli strumenti ma l’obiettivo. Che ci si arrivi con una legge o mediante la contrattazione collettiva (che in Italia ha una copertura dell’80%), l’importante è mantenere lavoratrici e lavoratori al di sopra della soglia di povertà”. In conformità con la Convenzione Oil 121 del 1970 sui salari dignitosi.
Quanto al salario minimo legale, dal governo Meloni e dalla sua maggioranza non ci si può aspettare nulla. L’Oil indica allora la contrattazione collettiva, invita a una “condivisione delle responsabilità” e a un “dialogo più serrato tra imprese e sindacati”, ha detto Rosas. “Occorre affrontare e ridurre le perdite salariali. Se non si agisce nel 2023, si andrà in recessione”.