Il modello è più debiti meno investimenti
di Corrado Oddi* - da il Manifesto - 7 aprile 2015
Ci siamo. E’ iniziato un nuovo e forte ciclo di privatizzazione e finanziarizzazione dei servizi pubblici locali, con cui si intende dare il colpo mortale all’esito referendario del giugno 2011 per la loro ripubblicizzazione.
Punte di diamante di questa operazioni sono due grandi multiutilities, Hera e Acea, in una mirabile sintonia tra le scelte del governo Renzi e gli orientamenti della grande maggioranza delle amministrazioni locali incentrate sul Pd.
Per quanto riguarda Hera, nei giorni scorsi e con l’intenzione di procedere entro la fine di questo mese, con il piè veloce che sembra essere la cifra di questa stagione controriformatrice, il sindaco di Bologna, assieme agli altri enti locali, in primis emiliani, dove è presente Hera, ha annunciato l’intenzione di far scendere la quota di proprietà pubblica dall’attuale 57% al 38%, arrivando così per la prima volta sotto la maggioranza assoluta, da sempre propagandata come elemento di garanzia per il controllo pubblico dell’azienda.
Acea, dal suo canto, sta lavorando per un riassetto societario in base al quale la sua espansione in Toscana e parte della Campania si porterebbe dietro l’entrata in Borsa del servizio idrico di queste regioni. Anche grazie all’ “infaticabile” opera di Cassa Depositi e Prestiti e del suo presidente Bassanini, che ha messo a disposizione 500 milioni di euro allo scopo, il movimento di Hera e di Acea sono semplicemente le mosse di apertura di un grande processo, al cui termine le grandi multiutilities quotate in Borsa gestiranno l’insieme dei servizi pubblici locali in tutto il Paese. Iren in Piemonte, Liguria e l’Emilia orientale, A2a in Lombardia, Hera nella restante parte dell’Emilia e nel Triveneto, Acea in Lazio, Umbria, Toscana e parte della Campania saranno i grandi players che si spartiranno un grande mercato totalmente privatizzato, contando sulla rendita di tariffe che aumentano sempre più e che garantiscono ampi e certi margini di profitto. Il Mezzogiorno, poi, in questo quadro, conferma di essere lontano dai pensieri del ciclo renziano di “modernizzazione”, destinato a dividersi tra l’influenza dell’Acquedotto Pugliese, magari da privatizzare nel 2018, e la riaffermazione del ruolo della criminalità organizzata e il suo intreccio con la politica, come molti fatti recenti hanno fatto riemergere.
Si svende il patrimonio pubblico per far cassa, in un’ottica tutta incentrata sul profitto a breve, seguendo uno dei pilastri del capitalismo finanziario, e contraddicendo in radice l’idea di preservarli per le generazioni future. Ancora, li si consegna al primato della finanza e della Borsa e all’ “economia del debito”: basta guardare Hera — che peraltro non è neanche l’esempio più negativo tra le multiutilities quotate in Borsa– per realizzare che la vera variabile indipendente e la sua vocazione di fondo è quella di distribuire dividenti ai soci, sempre più privati, fissati da un bel po’ di anni in qua, in 9 centesimi per azione, pari a più di 100 milioni di euro all’anno.
Poco importa se questo si traduce in un calo fortissimo degli investimenti – dal 16,1% sui ricavi nel 2002 al 5,6% sui ricavi stessi nel 2013, 2/3 in meno– e, soprattutto, in un incremento dell’indebitamento ad un livello di guardia, salito dall’ 1,3% sul margine operativo lordo nel 2002 al 3,1% 2013.
Non c’è bisogno di dire che il movimento dell’acqua si sta mobilitando a partire dalle regioni dove sono insediate Hera e Acea. Per quanto mi riguarda, poi, non è possibile separare questa necessaria fase di iniziativa del movimento per l’acqua dalla riflessione che sta alla base dell’idea della costruzione di una nuova coalizione sociale lanciata dalla Fiom, e cioè dalla consapevolezza che, nell’era del renzismo decisionista, anche se non in condizione di risolvere i problemi della Grande crisi, “nessuno si salva da solo” e che occorre, invece, pensare, nell’autonomia di ciascuno, di connettere le lotte e le iniziative contro lo smantellamento dei diritti del lavoro, la totale privatizzazione del ruolo pubblico, lo stravolgimento del welfare, a partire dalla scuola. In questo senso, la decisione della Cgil dell’Emilia-Romagna di proclamare lo sciopero dei lavoratori di Hera contro la sua definitiva privatizzazione è un segnale importante, anche se non risolutivo delle ambiguità che la stessa Cgil, a partire dal livello nazionale, continua a mantenere sia sul tema delle privatizzazione dei servizi pubblici, sia, ancor più, su quello della coalizione sociale. Che è bene che, invece, si consolidi, inizi a indicare gli obiettivi e i terreni su cui può strutturarsi, anche nella dimensione territoriale, avendo consapevolezza che essa, per sua natura, non può che essere, contemporaneamente, plurale e di tutti i soggetti che intendono costruirla. E che, prima o poi, dovrà incrociare anche il tema di una nuova rappresentanza politica: ma ci sarà tempo, dentro la situazione di oggi che è complessa e non procede in modo lineare, per sviluppare la discussione e i ragionamenti del caso.
Punte di diamante di questa operazioni sono due grandi multiutilities, Hera e Acea, in una mirabile sintonia tra le scelte del governo Renzi e gli orientamenti della grande maggioranza delle amministrazioni locali incentrate sul Pd.
Per quanto riguarda Hera, nei giorni scorsi e con l’intenzione di procedere entro la fine di questo mese, con il piè veloce che sembra essere la cifra di questa stagione controriformatrice, il sindaco di Bologna, assieme agli altri enti locali, in primis emiliani, dove è presente Hera, ha annunciato l’intenzione di far scendere la quota di proprietà pubblica dall’attuale 57% al 38%, arrivando così per la prima volta sotto la maggioranza assoluta, da sempre propagandata come elemento di garanzia per il controllo pubblico dell’azienda.
Acea, dal suo canto, sta lavorando per un riassetto societario in base al quale la sua espansione in Toscana e parte della Campania si porterebbe dietro l’entrata in Borsa del servizio idrico di queste regioni. Anche grazie all’ “infaticabile” opera di Cassa Depositi e Prestiti e del suo presidente Bassanini, che ha messo a disposizione 500 milioni di euro allo scopo, il movimento di Hera e di Acea sono semplicemente le mosse di apertura di un grande processo, al cui termine le grandi multiutilities quotate in Borsa gestiranno l’insieme dei servizi pubblici locali in tutto il Paese. Iren in Piemonte, Liguria e l’Emilia orientale, A2a in Lombardia, Hera nella restante parte dell’Emilia e nel Triveneto, Acea in Lazio, Umbria, Toscana e parte della Campania saranno i grandi players che si spartiranno un grande mercato totalmente privatizzato, contando sulla rendita di tariffe che aumentano sempre più e che garantiscono ampi e certi margini di profitto. Il Mezzogiorno, poi, in questo quadro, conferma di essere lontano dai pensieri del ciclo renziano di “modernizzazione”, destinato a dividersi tra l’influenza dell’Acquedotto Pugliese, magari da privatizzare nel 2018, e la riaffermazione del ruolo della criminalità organizzata e il suo intreccio con la politica, come molti fatti recenti hanno fatto riemergere.
Si svende il patrimonio pubblico per far cassa, in un’ottica tutta incentrata sul profitto a breve, seguendo uno dei pilastri del capitalismo finanziario, e contraddicendo in radice l’idea di preservarli per le generazioni future. Ancora, li si consegna al primato della finanza e della Borsa e all’ “economia del debito”: basta guardare Hera — che peraltro non è neanche l’esempio più negativo tra le multiutilities quotate in Borsa– per realizzare che la vera variabile indipendente e la sua vocazione di fondo è quella di distribuire dividenti ai soci, sempre più privati, fissati da un bel po’ di anni in qua, in 9 centesimi per azione, pari a più di 100 milioni di euro all’anno.
Poco importa se questo si traduce in un calo fortissimo degli investimenti – dal 16,1% sui ricavi nel 2002 al 5,6% sui ricavi stessi nel 2013, 2/3 in meno– e, soprattutto, in un incremento dell’indebitamento ad un livello di guardia, salito dall’ 1,3% sul margine operativo lordo nel 2002 al 3,1% 2013.
Non c’è bisogno di dire che il movimento dell’acqua si sta mobilitando a partire dalle regioni dove sono insediate Hera e Acea. Per quanto mi riguarda, poi, non è possibile separare questa necessaria fase di iniziativa del movimento per l’acqua dalla riflessione che sta alla base dell’idea della costruzione di una nuova coalizione sociale lanciata dalla Fiom, e cioè dalla consapevolezza che, nell’era del renzismo decisionista, anche se non in condizione di risolvere i problemi della Grande crisi, “nessuno si salva da solo” e che occorre, invece, pensare, nell’autonomia di ciascuno, di connettere le lotte e le iniziative contro lo smantellamento dei diritti del lavoro, la totale privatizzazione del ruolo pubblico, lo stravolgimento del welfare, a partire dalla scuola. In questo senso, la decisione della Cgil dell’Emilia-Romagna di proclamare lo sciopero dei lavoratori di Hera contro la sua definitiva privatizzazione è un segnale importante, anche se non risolutivo delle ambiguità che la stessa Cgil, a partire dal livello nazionale, continua a mantenere sia sul tema delle privatizzazione dei servizi pubblici, sia, ancor più, su quello della coalizione sociale. Che è bene che, invece, si consolidi, inizi a indicare gli obiettivi e i terreni su cui può strutturarsi, anche nella dimensione territoriale, avendo consapevolezza che essa, per sua natura, non può che essere, contemporaneamente, plurale e di tutti i soggetti che intendono costruirla. E che, prima o poi, dovrà incrociare anche il tema di una nuova rappresentanza politica: ma ci sarà tempo, dentro la situazione di oggi che è complessa e non procede in modo lineare, per sviluppare la discussione e i ragionamenti del caso.
*Forum Italiano Movimenti per l’Acqua