La revisione del Pnrr e del capitolo Repower Eu taglia interventi e risorse per la decarbonizzazione e rallenta la transizione ecologica
Foto: Siegfried Poepperl da Pixabay
agli, tagli e ancora tagli. La revisione del Pnrr presentata dal governo alla Commissione europea, in cui si riscrivono 144 misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per il capitolo ambiente definanzia anziché potenziare le risorse per la decarbonizzazione, toglie invece di implementare la progettualità per la transizione ecologica, diminuisce anziché aumentare l’impegno per raggiungere gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile.
Nonostante le rassicurazioni che il ministro Fitto si è premurato di dare a Regioni, Comuni, Città metropolitane e Province, turbati dalle incertezze create dai suoi annunci, confermando l’innocuità della partita di giro dei fondi da lui prospettata, le sottrazioni ci sono, eccome.
“Tanto per cominciare, per quanto attiene alla Missione 2 le modifiche più rilevanti riguardano il definanziamento delle misure che hanno lo scopo di introdurre produzione di energia rinnovabile da fonti più innovative (capitolo M2C2)", dichiara Simona Fabiani, responsabile Cgil nazionale Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione: "675 milioni di euro tolti agli impianti innovativi, inclusi l’eolico offshore (in mare aperto, ndr). Il motivo? L’incompatibilità dell’iter autorizzativo con i tempi di realizzazione del Piano. Eppure sono già presenti circa 70 progetti per la realizzazione di impianti di eolico offshore”.
Poi c’è l’impiego dell’idrogeno nei siti industriali cosiddetti hard to abate, cioè dove è difficile abbattere le emissioni di Co2 nell’atmosfera, in questo caso nella produzione dell’acciaio: il finanziamento viene ridotto di 1 miliardo, con l’impegno molto generico di proseguire il progetto con altre risorse nazionali, senza specificare quali sono. Per ora di sicuro c’è il taglio.
Altri capitoli fortemente penalizzati sono quelli dei progetti di rigenerazione urbana, i piani urbani integrati, gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio, l’efficienza energetica dei Comuni. Per questa ultima voce, 6 miliardi di euro distribuiti per l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza anche antisismica del territorio e degli edifici, il miglioramento dei sistemi di illuminazione pubblica.
“Stiamo parlando di ben 39.900 piccoli e 7.200 medi lavori pubblici, di cui i primi mille andavano completati entro dicembre di quest’anno e gli altri per marzo 2026", prosegue Fabiani: "Anche in questo caso viene segnalata la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento nazionali, e anche in questo caso le fonti non sono indicate. Quindi, l’unica cosa certa a oggi è il taglio”. Le criticità che vengono indicate riguardano tra l’altro la fase attuativa, a dimostrazione del fatto che si tratta d'interventi già finanziati e cantierizzati, con appalti aggiudicati e progettazione in corso.
La revisione del Pnrr presentata dall’esecutivo propone anche il definanziamento dell’investimento sulle misure per la riduzione e la gestione del rischio di alluvione, nonostante che la Commissione europea abbia espressamente richiamato il nostro Paese nelle sue raccomandazioni ad agire per combattere il dissesto idrogeologico, anche in riferimento alle alluvioni devastanti di maggio scorso. Rimodulazioni sono previste inoltre per gli investimenti per il trasporto rapido di massa, per il supporto alla filiera dei bus elettrici, alle infrastrutture per la mobilità sostenibile.
“Come se non bastasse, oltre ai tagli alle rinnovabili e all’efficientamento contenuti nella rimodulazione del Piano – conclude Fabiani -, le nuove misure proposte per il RepowerEu (il piano europeo per risparmiare, produrre energia pulita e diversificare il nostro approvvigionamento, ndr) puntano su un rafforzamento degli investimenti e delle infrastrutture per le fossili, in particolare per il gas. In pratica, anziché dare un’accelerata alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica in tutti i settori economici, anziché spingere sul risparmio e l’efficienza, investire sulla prevenzione, l’adattamento al cambiamento climatico, la tutela degli ecosistemi, stiamo andando nella direzione opposta”.
Questo governo, quindi, è ancora ostinatamente e fortemente orientato verso le fossili e non verso le energie alternative. Un’ulteriore dimostrazione? Mentre mancano il decreto per l’individuazione delle aree idonee per le rinnovabili e quello attuativo sulle comunità energetiche, è stato varato il decreto per i rigassificatori, che prevede tutte infrastrutture e le opere ritenute di interesse strategico. La priorità data alle fonti che inquinano non è un’opinione, ma un dato di fatto
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Con tutto quello che sta succedendo, la gente non ci capisce più nulla. Siccità, alluvioni, grandinate, trombe d’aria, case scoperchiate, alberi abbattuti, tralicci divelti. E allora per orientarsi è il caso di sentire chi capisce di clima e di meteo. Il ricorso a un professionista come Pierluigi Randi, presidente AMPRO, è d’obbligo. Oltretutto Randi è letteralmente “sul campo”, perché in Romagna ci abita e dista solo pochi chilometri dagli ultimi eventi disastrosi che sabato 22 luglio hanno sconvolto un pezzo della Bassa Romagna e del Ravennate.
Randi, che cosa sta succedendo? La gente se lo sta chiedendo sempre più impressionata e anche un po’ impaurita dal succedersi di eventi estremi.
“Partiamo dalla fine. Quello che è successo stamattina non è anomalo, al contrario di quello che è successo sabato. Questa mattina abbiamo avuto certamente forti raffiche di vento di Libeccio che noi qua chiamiamo Garbino, è il vento che viene da sud-ovest e scende dall’Appennino. È un fenomeno abbastanza comune nella nostra zona: la cosiddette “sgarbinate” sono frequenti. In ogni caso, oggi ci sono state raffiche importanti, specialmente sul Faentino e sul Forlivese, perché localmente hanno superato i 100 km/h. Più a valle, verso la costa, il vento ha soffiato a 60, 70 e in qualche caso a 80 km/h. Ma ogni tanto questo accade. Nel 1999 si superarono i 120 km/h. È estremamente raro, anzi non era proprio mai accaduto in precedenza quello che è capitato sabato scorso, fra Conselice, Voltana, Alfonsine, fino a Savarna. Lì abbiamo fatto degli accertamenti proprio sul luogo, con un lungo sopralluogo domenica pomeriggio, con l’ausilio di immagini radar e anche un paio di filmati che ci sono stati forniti: siamo arrivati alla conclusione che in quel tratto è passato un tornado anche piuttosto intenso, di categoria F2 – F3. Vuol dire un tornado tra il moderato e il forte, con raffiche comprese tra 250 e 300 km/h. Un evento di questo genere compare per la prima volta nella nostra provincia.”
In un primo momento lei aveva parlato di raffiche fino a 130 km orari.
“Sì. Erano i primi dati che arrivavano da una sola stazione, perché purtroppo non ci sono molte stazioni di rilevamento, la più vicina è quella di Alfonsine sud, che però era fuori dal percorso del tornado. E poi lì i 130 km/h sono stati toccati prima che il vento abbattesse il palo della stazione, quindi non è un dato definitivo. L’area dove si sono registrati i danni più terribili è stata quella di Alfonsine nord, tra Voltana e Alfonsine nord, dove non abbiamo stazioni meteo. Inoltre, quando ci sono eventi di questo tipo serve un po’ di tempo, almeno 24-36 ore, per andare ad analizzare bene quanto è accaduto. Dove ha agito il tornado i danni sono enormi: ci sono delle case sventrate, praticamente mozzate a metà, quindi non si è sollevato solo il tetto o non sono solo volate via le tegole, ma metà della casa è stata praticamente staccata dal resto. E i tralicci dell’alta tensione si sono accartocciati su se stessi. Ho parlato con i tecnici di Terna: secondo loro quei tralicci sono progettati per resistere a raffiche fino a 280 chilometri orari. Supponiamo che abbiano esagerato, fermiamoci a 250 km/h: per abbatterli servono raffiche da tornado e quindi abbiamo ormai la certezza che lì è passato un tornado.”
Tornado o tromba d’aria è la stessa cosa?
“Sono la stessa cosa. Semplicemente tornado è il termine internazionale, mentre tromba d’aria e la nostra terminologia italiana.”
Noi siamo abituati a considerare i tornado associandoli soprattutto ai paesi tropicali.
“Per i paesi tropicali, i Caraibi, il Sud degli Usa parliamo piuttosto di uragani. L’uragano è una cosa diversa dal tornado. Gli uragani sono delle enormi depressioni che durano alcuni giorni, hanno un raggio d’azione anche di 300-400 chilometri e sono distruttivi. I tornado o trombe d’aria sono tipici invece delle medie latitudini e di breve durata. Li abbiamo nelle grandi pianure degli Stati Uniti, il Texas, l’Arkansas e tutta la zona centrale degli Stati Uniti, è là dove ci sono più tornato nel mondo. Però anche in Europa e in Pianura Padana ci sono i tornato. Il 3 maggio 2013 ci furono due tornado ancora peggiori di quello di sabato scorso tra le province di Modena e Bologna. In provincia di Ravenna è la prima volta che abbiamo un evento di questa intensità.”
Lei ricorda però che abbiamo avuto il fortunale del luglio 2016 a Ravenna e quello del luglio 2019 a Milano Marittima. E poi c’è stato un episodio l’altro giorno sempre a Cervia.
“Sì. Noi siamo ricchi di trombe marine che si formano sul mare e a volte poi si abbattono anche sulla costa. Sono molto più rari i tornado di terra, come quello di sabato, che mediamente sono più violenti rispetto alle trombe marine. Non si scherza nemmeno con le trombe marine, ma i tornato di terra sono ancora più pericolosi perché mediamente sono più violenti.”
Come si formano esattamente i tornado? Se non abbiamo capito male si formano per il combinato disposto dell’aria calda che staziona in basso che si mescola all’aria più fredda che arriva negli strati più alti dell’atmosfera.
“Sì, questo è un elemento molto importante, ma ci sono due elementi che possono concorrere alla formazione di un tornado. Sicuramente la presenza di aria estremamente calda e umida nei bassi strati che si scontra con l’aria più fredda lassù in quota è il primo elemento. Però se così fosse avremmo molti tornado, perché sono situazioni che si presentano abbastanza spesso in estate. C’è un secondo fattore, una particolare disposizione dei venti in quota, cioè i venti devono cambiare direzione e velocità molto bruscamente, salendo di quota. È quello che poi dà inizio alla cosiddetta rotazione, il temporale diventa un temporale a supercella. Cioè è come un trottolone che ruota su se stesso: questa rotazione viene impressa da una particolare disposizione dei venti partendo dal suolo fino a 9-10.000 metri. Se cambiano direzione bruscamente e aumentano bruscamente di velocità il rischio di tornado aumenta sensibilmente e sabato avevamo proprio quelle condizioni lì. Per fortuna però il tornado si forma solo nel 5% dei casi, vuol dire che tutte le tessere del mosaico, tutte tutte devono andare a posto, in senso negativo. Se ne manca anche solo una il tornado non si forma e per fortuna.”
In definitiva possiamo dire che questo 2023 è il nostro annus horribilis.
“Sì, oserei dire funesto o nefasto, perché si stanno sovrapponendo eventi estremi a catena. Se consideriamo i danni e gli effetti sul territorio, l’alluvione è di gran lunga l’evento peggiore, però dobbiamo cominciare a inserire nel novero la siccità, le gelate tardive di aprile e poi le grandinate anche violente che abbiamo avuto tra giugno e luglio, poi questo evento qua. Il vento di questa mattina tra tutti questi è il fatto meno anomalo.”
Lei non ha la palla di vetro, ma cosa dobbiamo ancora aspettarci?
“Oggi il rischio è un po’ alto, però secondo me è più a nord del Po, cioè nella parte di Pianura Padana a settentrione del Po. Chiaramente la garanzia non c’è mai, quindi un minimo di attenzione-apprensione la possiamo avere lo stesso. Direi comunque che non dovremmo essere tra le zone più a rischio fra oggi e domani. Dopo questa massa d’aria caldissima se ne andrà, da domani le temperature diminuiranno e torneranno nella norma. E quindi contestualmente si abbasserà anche il rischio di temporali violenti, cioè potranno esserci temporali, ma uso il virgolettato, normali. Dopodiché, ripeto, per il resto della settimana le temperature dovrebbero essere nella norma, un caldo normale per il periodo. Si va verso una normalizzazione e un periodo più tranquillo.”
Diamo uno sguardo all’orizzonte più lontano, tutte queste cose che cosa ci dicono? Ci dicono che il cambiamento climatico è una cosa terribilmente seria, che bisogna smetterla di fare delle discussioni da salotto, prenderne atto e cominciare a fare per davvero le cose necessarie?
“Sono d’accordo. Lei ha perfettamente sintetizzato quella che è la situazione attuale. Le discussioni da bar o da salotto, a seconda dei gusti, devono finire. Dobbiamo prendere atto della crisi climatica e remare tutti nella stessa direzione. Abbiamo un notevole supporto che arriva dalla comunità scientifica che ci dice come già adesso cominciamo a vedere gli effetti degli eventi estremi, eventi che in futuro saranno più frequenti. Questo non vuol dire che ci saranno un giorno sì e un giorno no, per carità. Però sta cambiando la statistica degli eventi estremi. Il tornado in Pianura Padana o le grandinate rovinose ci sono già stati in passato, però adesso stiamo osservando che tra un episodio e l’altro si accorciano i tempi. Se un tornado veniva ogni 10 anni adesso arriva ogni 2. Se una grandinata veniva ogni 4-5 anni adesso ne arrivano due nello stesso anno. E inoltre questi fenomeni aumentano di intensità e provocano più danni. Dopodiché ci dobbiamo mettere dentro le ondate di calore che abbiamo visto durano di più e sono più intense: ieri 47/48 gradi in Sardegna e in Sicilia, certo, non in Romagna. Ma siamo comunque sempre in Italia.”
Ma ieri c’era un’umidità che non si respirava nemmeno qui.
“Avessimo avuto l’aria più secca, come è normale che abbiano in Sicilia e in Sardegna, ieri o nei giorni precedenti avremmo superato comodamente i 40 gradi anche da noi. Non li abbiamo superati perché la massa d’aria era estremamente umida.”
Che futuro ci aspetta?
“Il futuro è questo qua, probabilmente sarà anche un po’ peggiore. Nel senso che gli eventi estremi, compresa anche la siccità – perché la siccità del 2021 e 2022 rientra nella categoria degli eventi estremi – diventano più frequenti e sarà sempre peggio. Quindi le parole chiave sono adattamento e mitigazione. Particolarmente importante è l’adattamento e quello che abbiamo vissuto, soprattutto a causa dell’alluvione, deve essere un insegnamento in questo senso. Ma il cambiamento climatico non può diventare un alibi. Non si deve né si può dire, non possiamo farci nulla, non è colpa nostra, e quindi avanti così. No, quello che è accaduto deve essere uno sprone per agire sul territorio. Il nostro territorio va riconsiderato e rimodellato e reso resiliente, ma qui poi entrano in gioco i decisori politici. Però dobbiamo prenderci le misure, a livello di comunità, senza lotte insensate fra Guelfi e Ghibellini. Non è vero che il film è sempre quello, non è normale che faccia così caldo, non è normale che arrivi un tornato con vento fino a 300 km/h. Dobbiamo abbandonare certi atteggiamenti negazionisti, perché altrimenti perdiamo di vista l’obiettivo di adattarci al clima che cambia davvero.”
ELEZIONI SPAGNA. Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio
Tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo è giusto e naturale. Per alcune ragioni che ci vengono nettamente indicate dall’esito delle elezioni politiche spagnole del 23 luglio. La prima è che esiste ancora una maggioranza di cittadini europei che temono i fascismi e dunque coloro che, nel tempo presente, ne reinterpretano e modernizzano le eredità. La seconda è che il “modello italiano”, per quanto i neofascismi siano stati sdoganati quasi ovunque (tranne in Germania dove, pur traballando, sopravvive l’”arco costituzionale” che esclude Afd) non è così facilmente esportabile in altri contesti dove le sensibilità politiche sono meno ottuse che da noi e meno forti le tradizioni corporative. Il caso italiano, nel bene e nel male, è destinato a rimanere un “caso”.
La terza ragione è che il progetto di
Leggi tutto: L’onda nera non è finita, ma il caso italiano resta isolato - di Marco Bascetta
I governi del Nord del mondo dovrebbero reindirizzare trilioni di dollari attualmente elargiti alle fossili o bloccati nei debiti dei Paesi poveri o nei patrimoni dei super-ricchi, destinandoli invece alla soluzione di crisi globali come quella climatica e ambientale.
È quanto chiedono oltre 150 economisti ed esperti in una lettera aperta inviata ai leader politici dei Paesi ricchi in occasione del “Vertice per un nuovo patto di finanziamento”, in corso a Parigi con l’obiettivo di stabilire una roadmap aggiornata sui finanziamenti per il clima.
Nella capitale francese, oggi e domani, quasi 40 capi di Stato e di governo e un numero analogo di ministri e rappresentanti di alto livello finalizzeranno una tabella di marcia per la riforma delle istituzioni finanziarie pubbliche mondiali, degli aiuti all’estero e dei finanziamenti per il clima.
I partecipanti al vertice dovrebbero presentare proposte concrete sulla creazione di un fondo per le perdite e i danni climatici, da destinare al salvataggio e alla ricostruzione dei Paesi colpiti da disastri legati al clima, in vista del vertice sul clima della Cop28 delle Nazioni Unite, previsto in novembre a Dubai.
La Cop28 dovrebbe quindi includere delle indicazioni su come finanziare il fondo, comprese potenziali nuove tasse sui combustibili fossili.
Alcuni di questi obiettivi sono già stati in parte raggiunti durante il vertice di Parigi. La Banca Mondiale, per esempio, ha deciso di iniziare a sospendere i pagamenti del debito dei Paesi colpiti da catastrofi climatiche. Tuttavia, queste “clausole sul debito resiliente al clima” si applicheranno solo ai nuovi prestiti, e non a quelli già esistenti.
Sulla questione di come raccogliere risorse finanziarie, l’Unione europea vorrebbe che più Paesi ricorressero allo scambio di certificati di emissioni per generare nuovi proventi da destinare al clima. Alcuni Paesi in via di sviluppo, però, non sono entusiasti di questa prospettiva, che considerano complessa e più adatta alle economie avanzate.
La sensazione è che sarà difficile raggiungere un compromesso sulla questione tasse.
La lettera
Secondo i 150 economisti ed esperti firmatari della missiva che citavamo, è necessaria una trasformazione radicale del sistema finanziario globale, che deve reindirizzare risorse attualmente alla base dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze, e cioè: i finanziamenti e i sussidi ai combustibili fossili, gli ingiusti debiti coloniali e l’insufficiente tassazione dei super ricchi, secondo i firmatari della lettera aperta.
Poiché il vertice in corso a Parigi rappresenta solo il primo passo di un percorso di riforme destinato a durare fino a novembre e poi per almeno altri 18 mesi, la lettera rimane aperta e chi la vuole firmare potrà ancora farlo a questo link.
Qui di seguito, il testo integrale, tradotto in italiano:
I governi del Nord globale possono reindirizzare trilioni di [dollari in] fossili, debiti e danni dei super-ricchi per risolvere le crisi globali. Il Vertice di Parigi deve essere finalizzato a costruire la tabella di marcia per farlo.
Con l’intensificarsi dei disastri climatici e con un numero crescente di persone costrette a scegliere tra riscaldamento e cibo, o tra trasporto e riparo, la pressione dell’opinione pubblica ha spinto i leader mondiali a organizzare il “Vertice di Parigi per un nuovo patto di finanziamento” nel giugno 2023. Ospitato dal presidente francese Emmanuel Macron e dal primo ministro indiano Narendra Modi, il vertice viene presentato come il primo passo di una tabella di marcia biennale per la revisione dell’architettura finanziaria globale. L’obiettivo dichiarato del Vertice è “costruire un nuovo contratto tra i Paesi del Nord e del Sud per affrontare i cambiamenti climatici e la crisi globale”.
I sottoscritti economisti ed esperti politici ritengono che, affinché il Vertice possa compiere progressi verso questo necessario obiettivo, i leader del Nord globale, che detengono sia una voce in capitolo eccessiva nella nostra architettura finanziaria globale, sia una responsabilità storica sproporzionata nei confronti del cambiamento climatico, debbano presentare proposte serie per un indennizzo pubblico internazionale.
Lo sblocco e la ridistribuzione dei trilioni di dollari pubblici è ovviamente solo una parte di ciò che è necessario: le nostre regole internazionali in materia monetaria, commerciale, fiscale e di debito sono sistematicamente sbilanciate a favore del Nord globale, consentendo ai Paesi ricchi di drenare un netto di 2 trilioni di dollari all’anno dai loro pari a basso reddito.
Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale di questo sistema in uno basato sui diritti, incentrato sulle persone, democratico e trasparente. Ma alla base di quasi tutte le scuse per mantenere le regole così come sono, c’è l’idea che i governi ricchi semplicemente non possono permettersi di pagare la loro giusta parte. Se non facciamo scoppiare questa bolla, sarà difficile coltivare la solidarietà globale necessaria per progredire negli urgenti negoziati multilaterali sul clima e sugli aiuti umanitari.
La realtà è che le finanze pubbliche non sono scarse, soprattutto per i governi del Nord globale. Li abbiamo visti mettere a disposizione trilioni di dollari di spazio fiscale per i salvataggi bancari nel 2008, per le risposte al COVID-19 dal 2020 e per le forze armate e di polizia anno dopo anno. Non mancano le leve per farsi carico della loro giusta parte a favore del clima nell’interesse pubblico e delle soluzioni al costo della vita che sono disperatamente necessarie, sia all’interno dei loro confini che all’estero.
Purtroppo, le proposte più importanti avanzate dai leader del Nord Globale in vista del Vertice dimostrano che c’è il rischio che si trasformi in uno sforzo per etichettare semplicemente in modo diverso degli approcci già esistenti. Finora, la Tabella di marcia per l’evoluzione del Gruppo della Banca Mondiale, i Partenariati per la transizione verso l’energia giusta e le posizioni negoziali dei Paesi del Nord Globale sul fondo per le “perdite e i danni” climatici si basano tutti sull’idea che i governi possano incentivare le banche e le imprese private a costruire soluzioni climatiche e a stimolare lo sviluppo con solo piccoli contributi pubblici e limitate modifiche alle regole.
Dall’agenda “Billions to Trillions” alla promessa di finanziamento per il clima, ancora non mantenuta, di 100 miliardi di dollari all’anno, abbiamo visto questo approccio fallire molte volte, con una leva finanziaria privata di gran lunga inferiore a quella promessa e con i profitti privilegiati rispetto ai benefici per il clima e contro le disuguaglianze – o spesso anche rispetto alle tutele fondamentali dei diritti umani.
Proponiamo che i leader del Nord Globale dimostrino di essere seriamente intenzionati a tracciare un nuovo percorso utilizzando il Vertice per iniziare a spostare i fondi dai settori delle nostre economie che sono più drammaticamente alla base delle nostre attuali crisi:
Mentre le famiglie a basso reddito di tutto il mondo sono state spinte ancora di più in povertà negli ultimi anni, le compagnie petrolifere e del gas hanno realizzato profitti record e i Paesi ricchi hanno continuato a sovvenzionarle pesantemente.
Questo non è solo uno schiaffo alla giustizia economica, ma anche alla scienza del clima: nello scenario dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) che mantiene il 50% di possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, si assiste a un rapido abbandono dei combustibili fossili e a nessun nuovo investimento nella produzione di combustibili fossili o in infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL).
La fine delle sovvenzioni ai combustibili fossili nei soli Paesi del G20 ad alto reddito permetterebbe di raccogliere circa 500 miliardi di dollari all’anno. E le stime più autorevoli di una risposta permanente circa le tasse sui combustibili fossili oscillano tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno.
C’è anche già uno slancio per fermare una forma particolarmente influente di sostegno ai combustibili fossili, la finanza pubblica internazionale. Le promesse fatte finora porrebbero fine a 38 miliardi di dollari all’anno, che giocano un ruolo di primo piano nel blindare le grandi infrastrutture fossili nei Paesi ricchi, e li sposterebbero verso soluzioni rinnovabili. Se alcuni dei principali Paesi ritardatari, tra cui Giappone, Germania, Italia e Stati Uniti, manterranno le promesse fatte al Vertice, si farà molta strada per consolidare la finanza pubblica senza fossili come norma globale.
Gli ultimi anni di crisi globale hanno aggravato i debiti già insostenibili di molti Paesi in via di sviluppo, prosciugando i fondi pubblici che sono assolutamente necessari per fornire servizi sociali vitali e azioni per il clima. Questi debiti sono anche ingiusti, essendo stati contratti attraverso il nostro sistema finanziario globale neocoloniale o, in molti casi, durante il periodo coloniale.
Due primi passi che i leader del Nord globale possono compiere al Vertice di Parigi sono la cancellazione incondizionata del debito pubblico estero per almeno i prossimi quattro anni per tutti i Paesi a basso reddito (stimato in 300 miliardi di dollari all’anno) e il sostegno, anziché il blocco, allo sviluppo di un nuovo meccanismo multilaterale per la cancellazione e la ristrutturazione del debito sovrano nell’ambito delle Nazioni Unite.
L’1% più ricco si è accaparrato i due terzi della nuova ricchezza globale creata negli ultimi due anni, mentre si assiste probabilmente al più grande aumento della disuguaglianza e della povertà globale dalla Seconda Guerra Mondiale. Imposte progressive sulle ricchezze estreme, a partire dal 2%, farebbero aumentare la cifra da 2,5 a 3,6 trilioni di dollari all’anno, e le proposte correlate per reprimere l’evasione fiscale aumenterebbero in modo significativo questo risultato.
I leader del Nord del mondo possono dimostrare la loro serietà iniziando con una tassa iniziale dell'”1,5% per 1,5°C” sulle ricchezze estreme e destinandola al nuovo fondo per le perdite e i danni, e accettando di portare avanti una Convenzione fiscale universale e intergovernativa delle Nazioni Unite.
Nel loro complesso, queste modeste proposte ammontano ad almeno 3,5 trilioni di dollari all’anno. Una nuova ricerca pubblicata su Nature Sustainability stima che il debito climatico equo dei Paesi ricchi sia doppio, pari a 7 trilioni di dollari all’anno fino al 2050.
Ma anche questo riorientamento iniziale dei flussi economici dannosi avrebbe un impatto sbalorditivo: basterebbe a colmare il divario nell’accesso universale all’energia (34 miliardi di dollari), a raggiungere il “livello minimo” del fondo per le perdite e i danni (400 miliardi di dollari all’anno), a soddisfare completamente, seppur in ritardo, l’obiettivo di finanziamento del clima (100 miliardi di dollari all’anno) e a coprire gli appelli umanitari di emergenza delle Nazioni Unite (52 miliardi di dollari all’anno) con abbondanza di fondi.
Questi impegni contribuirebbero anche ad aprire lo spazio politico necessario per riorganizzare l’architettura finanziaria globale così da incanalare in modo efficace ed equo il denaro pubblico necessario per uscire dalla poli-crisi. Non possiamo permetterci niente di meno.