Autonomia differenziata Pubblicata la sentenza della Corte costituzionale. Si apre la partita del referendum. Sulla permanenza del quesito abrogativo, attesa il 12 dicembre la Cassazione. Ministri e governatori che insistono che nulla è cambiato offrono argomenti per il sì
Il ministro Roberto Calderoli, nel corso dei lavori della Camera dei deputati, sulle mozioni in materia di autonomia differenziata,
La sentenza della Corte costituzionale sull’autonomia differenziata – una delle più belle che si ricordi con le 39 ricorrenze della parola solidarietà/solidaristico – plana sulla politica italiana con effetti diversi tra la maggioranza di destra e le opposizioni, sia quelle politiche che quelle sociali. La prima incredibilmente tace annichilita dal dispositivo che culturalmente smonta non solo la legge Calderoli, ma anche le basi politico-ideologiche del patto che tiene insieme la coalizione. Le opposizioni assaporano il successo ma hanno ora da affrontare nell’immediatezza la questione sulla decisione della Cassazione circa la sussistenza o meno del referendum abrogativo della legge.
Ieri si è registrata una curiosa concomitanza per due riforme che la destra sta portando avanti. Alle 11,30 la Corte costituzionale ha depositato la sentenza con cui cancella i punti principali della legge Calderoli e ne riscrive molti altri; dopo poco la commissione Affari costituzionali della camera ha votato il mandato al relatore sulla separazione delle carriere dei magistrati (in aula il 9 dicembre per la sola discussione generale). Ebbene sulla seconda riforma sono piovute dichiarazioni esultanti della maggioranza («giornata storica» il sintagma più ricorrente), mentre sulla sentenza della Consulta c’è stato il silenzio. A rendere distopica la giornata l’esultanza di Antonio Tajani, il cui partito ha votato sempre la legge Calderoli, felice perché il Commercio con l’estero non potrà più essere devoluto alle regioni. Grottesco è apparso il «si va avanti con le intese» di Luca Zaia e Alberto Stefani, segretario della Liga Veneta. Analogo il comunicato del tardo pomeriggio del padre della legge, Roberto Calderoli: «La sentenza della Consulta conferma che la strada intrapresa dal governo è giusta»; quindi avanti con le Intese sulle funzioni non Lep, mentre «si lavora» a «ulteriori interventi legislativi» solo per i Lep e i fabbisogni standard. La consueta assertività di Fdi e Giorgia Meloni ieri non si è vista o sentita, sostituita dal silenzio.
La redazione consiglia:
Autonomia, Cassese corre per approvare i «suoi» LepQui entra in gioco il discorso delle opposizioni. Lunedì sera, il giorno precedente la sentenza, il direttivo del Comitato promotore del referendum abrogativo si è riunito per una valutazione sul da farsi davanti alla Cassazione.
Questa a metà dicembre dovrà decidere se dopo l’abbondante “sbianchettatura” della Consulta dei punti focali della legge Calderoli, sussistano i presupposti per svolgere il referendum. Questo verrebbe meno se vengono abrogati «i contenuti normativi essenziali» e «i principi ispiratori» della legge: ieri qualcuno come Stefano Ceccanti o Peppino Calderisi ha sostenuto che la Consulta abbia intaccato entrambi e quindi la Cassazione bloccherà il referendum. Al direttivo del Comitato referendario è invece prevalsa la decisione di sostenere in Cassazione (o con una memoria o in udienza pubblica) che le ragioni del quesito permangono, soprattutto quelle politiche, diverse da quelle giuridiche. Peraltro tesi avvalorata dalle dichiarazioni di Zaia, Calderoli ed altri della Lega per i quali «non cambia nulla e si va avanti». Certo, poi, dopo il via libera eventuale della Cassazione andrebbe sostenuta a gennaio, di nuovo in Corte costituzionale, l’ammissibilità del quesito stesso. Tema su cui c’è nel Comitato ampia fiducia di una risposta affermativa. Ed è per tale fiducia, si è detto lunedì sera, che la mobilitazione va tenuta alta: infatti se si andrà alle urne andrà scalata la montagna del quorum.
Questi ragionamenti ci fanno tornare alla maggioranza e alla tempistica di un nuovo intervento normativo. Palazzo Chigi e Calderoli concordano sull’opportunità di attendere i due passaggi, cioè Cassazione a metà dicembre e Consulta a metà gennaio. Solo allora, a seconda anche dell’orientamento dell’opinione pubblica, ci sarà un intervento normativo. Se infatti crescerà il movimento referendario in termini tali da far temere il raggiungimento del quorum, la destra tenterà nuovamente di bloccare il referendum, appunto con nuove norme che obbligherebbero a riportare il quesito in Cassazione per una nuova valutazione della sua sussistenza. Il “calderolismo” sembra ancora un karma di queste destre. Auguri.