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Ucraina tre anni dopo I leader Ue si stringono intorno a Zelensky. I familiari di morti e dispersi cercano risposte. Von der Leyer promette più armi in tempi brevi e 3,5 miliardi in aiuti entro marzo

Un cerimonia commemorativa al cimitero di Bucha, in Ucraina, durante il terzo anniversario dell'invasione russa foto The Yomiuri Shimbun/Ap Un cerimonia commemorativa al cimitero di Bucha, in Ucraina, durante il terzo anniversario dell'invasione russa foto The Yomiuri Shimbun/Ap

Fiori e bandiere dopo tre anni sono tutto ciò che resta di centinaia di migliaia di uomini. Facce da duri o sorrisi scanzonati, pose marziali e gesti quotidiani tra un mare di numeri. E un motto: «Gloria agli eroi». I politici lo ripetono perché è il sangue di cui si nutre la grandezza nazionale, le famiglie e gli amici per dare un senso alla morte. Chi tra i due ne abbia più bisogno è difficile dirlo.

Il bel sole invernale che spende nel cielo di Kiev riscalda allo stesso modo le delegazioni straniere venute a portare il proprio supporto all’Ucraina sotto la colonna di Piazza Maidan e il lontano cimitero di Lisove. Lungo il viale che porta alla sezione militare migliaia di bandiere: guerrieri, elmi spartani, lupi, orsi, templari e dovunque il giallo e il blu. Nel silenzio del camposanto tutti queste insegne così poco sacre hanno un aspetto grottesco, fuori luogo. Un’anziana si è fatta venire le mani viola a furia di togliere la neve senza guanti dalla tomba del figlio, in un bicchiere di plastica raccoglie ogni elemento estraneo, persino le foglioline. Resta curva a pulire il piccolo altare come fosse un’isola nella quale vive solo lei.

QUALCHE FILA PIÙ AVANTI un’altra donna fissa un’immagine scolpita nel marmo. È il figlio, nato proprio il 24 febbraio e morto 100 giorni fa vicino a Kupiansk, nell’est. Riesce a malapena a parlare ma ci racconta che il ragazzo è rimasto appena due settimane al fronte prima di morire, forse uno dei tanti appena usciti dall’addestramento. «Da quando l’hanno portato qui vengo ogni giorno» le si spezza la voce e gli occhi sono due fessure nere, «e ho visto aggiungere almeno 15 nuove file».

Ogni fila ha 4 tombe a terra per lato, sono rettangoli con i bordi di legno e un pianale ricoperto di una specie di pratino sintetico dove si trova di tutto, da una chitarra a boccali da birra, da modellini di moto a pacchetti di sigarette. Alcune sepolture sono molto recenti è c’è solo il cumulo di terra. Ma le corone di fiori, i nastri e le candele, come vuole l’usanza ortodossa, non mancano da nessuna parte. È un tripudio floreale, tra bandiere e neve. «Marito amorevole… amico fraterno… fratello…» sono tutti morti nel 2024. Un ragazzo con una gamba di titanio che spunta dai pantaloni zoppica fino a una sepoltura e srotola una bandiera di un reggimento con decine di firme. Alla fine del viale le sepolture si interrompono bruscamente ma la strada è stata spianata per un lungo tratto.

In piazza Maidan Zelensky e la first lady tengono la bandiera ucraina tra due ali di autorità.

IL CAPO DI STATO ricorda che se Kiev cadrà i prossimi potrebbero essere i Paesi baltici e quelli nordici. I quali sembrano d’accordo, a giudicare dal fatto che sono tutti qui e dal supporto economico e militare che continuano a dare all’Ucraina. Von der Leyen ripete che «in questa lotta per la sopravvivenza non è solo il destino dell’Ucraina ad essere in gioco, ma quello dell’Europa», promette più armi in tempi brevi e un finanziamento da 3,5 miliardi di euro entro marzo. Dei grandi Paesi europei c’è solo lo spagnolo Sánchez, Meloni non si è presentata per «impegni istituzionali», Macron e Starmer sono negli Usa, il premier in pectore tedesco da Berlino esorta subito a costruire la Difesa comune e incassa le congratulazioni di Zelensky.

IL PADRONE DI CASA invita la Russia a scambiare tutti i prigionieri di guerra come «segno di buona volontà», per dimostrare di voler iniziare davvero il percorso di cessate il fuoco. Non è un caso, forse, che proprio oggi il leader ucraino ricordi i suoi soldati nelle prigioni russe. Ora più che mai il governo ha bisogno di dimostrare di essere vicino al popolo e ottenere la riconoscenza di centinaia di famiglie che nel futuro prossimo saranno chiamate a votare è fondamentale.

A Podil, nella città bassa, c’è una manifestazione di madri e mogli dei soldati dispersi o prigionieri di guerra. Non sono molte, ci assicurano che l’anno scorso erano di più, ma non si scoraggiano. Tengono ben distese bandiere ucraine personalizzate con la foto dello scomparso e qualche dato (il nome, il numero della brigata, l’ultimo luogo di avvistamento conosciuto). La vecchia Stefania ha un cartello con gli anni dal 2022 al 2024 barrati e un punto interrogativo sul 2025. Racconta che il figlio, Andriy, l’anno scorso è stato inserito in una lista di soldati da scambiare con i prigionieri di guerra russi, ma che da quel momento non ne sa più nulla. «Io ho avuto un tumore, negli ultimi due anni non sono uscita quasi mai, ma oggi volevo esserci…».

OLGA NON SA NULLA di suo marito da quando nel 2024 l’aereo Ilyushin Il-76 proveniente da Belgorod con 65 prigionieri ucraini a bordo è stato abbattuto dagli ucraini stessi. Le autorità di Kiev sostengono che quel velivolo trasportasse dei missili, da Mosca replicano che avevano informato la controparte dello scambio. Fatto sta che il marito di Olga probabilmente era a bordo e ora la donna aspetta. Cosa? «Una conferma, la prova del dna l’hanno già fatta, ma io voglio sapere di che parte del corpo si trattava perché è già capitato che avevano dato per morto un soldato dalla mano o dalla gamba e poi è mesi dopo si è saputo che era ancora vivo ma mutilato». «Speriamo» conclude, e nessuno ha cuore di replicare. Ci sono molte donne che hanno visto video sui canali Telegram russi nei quali hanno riconosciuto i propri cari, ma anche in quei casi non c’è nulla da fare. «Dove sono i nostri eroi?» si legge su un cartello.

ALLA SERA alcune persone si riuniscono in piazza Maidan, ormai riaperta al traffico, con candele, bandiere e fiori. «Tre volte gloria agli eroi» grida un ragazzo con una bandiera dell’Azov, la piazza risponde. Accanto alla folla, sull’aiuola che in questi anni è diventata un sacrario, centinaia di foto tra la neve e le bandiere. Un bambino con una foto grande la metà di lui si sta quasi per addormentare, la madre lo accompagna a sistemare quella specie di icona vicino alle altre, accendono insieme un lumino, poi sparisce con il piccolo in braccio dentro uno dei sottopassaggi del viale Khreschatyk.