PRECETTO LAQUALUNQUE. «Ridotto a 4 ore». Il ministro ammette: avrei precettato comunque. Cgil e Uil: decisione politica senza ragione, specie nelle ferrovie. Landini e Bombardieri, che ieri non sono andati all’incontro, oggi rilanceranno la mobilitazione
Il ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini - Cecilia Fabiano /LaPresse
«Avrei precettato anche se non ci fosse stata la pronuncia della commissione di Garanzia». Matteo Salvini lo ammette candidamente ai sindacalisti di Cgil e Uil nella veloce mezzora di incontro ieri sera al ministero. E conferma le motivazioni puramente politiche di una decisione che per la prima volta nella storia repubblicana limita uno sciopero generale.
L’esito era già scontato: la precettazione dei lavoratori dell’intero settore dei trasporti che invece delle otto ore previste, venerdì potranno scioperare solo dalle 9 alle 13 e per le restanti ore saranno in servizio e «non potranno godersi il weekend lungo» che Salvini e la destra sostengono facessero, dimenticando che gran parte di loro lavoreranno anche sabato e domenica perché il settore dei trasporti non prevede soste.
CON LA SUA DECISIONE Salvini va molto oltre le indicazioni della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali che tanto aveva lodato lunedì. Le quattro ore a cui viene ridotta l’astensione dalle 9 alle 13 in tutti i settori non rispettano le normative già più restrittive in Europa. «Nel settore ferroviario è prevista una prima astensione di otto ore e non si capisce perché Salvini la dimezzi», attacca il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio che già a luglio aveva subito una precettazione da Salvini in uno sciopero nelle ferrovie. La sua categoria – tutti i trasporti – era stata fin troppo responsabile annullando in modo unilaterale lo sciopero nel settore aereo «preso atto della mancata comunicazione da parte di Enac (l’ente che controlla i voli, ndr) dei voli e dei servizi minimi da garantire, in assenza della quale si configurerebbero rischi per i lavoratori scioperanti». Allo stesso modo anche nei Vigili del fuoco Cgil e Uil – altro settore sui cui la Commissione aveva sollevato problemi – avevano ridotto la protesta a sole quattro ore.
Neanche questo è bastato a Salvini che pochi minuti dopo la fine dell’incontro con Cgil e Uil aveva tuonato: «Vogliamo tutelare i milioni di italiani – ha spiegato il ministro e vicepremier leghista – che tutti i giorni hanno bisogno di viaggiare: vogliamo trovare un equilibrio tra diritto allo sciopero e diritto al lavoro e alla mobilità».
Maurizio Landini
È un esplicito attacco al diritto di sciopero che mette in discussione la democrazia Meloni era venuta da noi a dire che rispettava il conflitto, ora lo nega
Cgil e Uil avevano già annunciato che sarebbero andati avanti contro le richieste della Commissione – mettendo già in conto di decine di migliaia di euro di multe – mentre la precettazione è nei confronti dei lavoratori e dunque Cgil e Uil non chiederanno loro di sfidare la decisione di Salvini che porterebbe a sanzioni disciplinari nei confronti dei loro iscritti.
LO SCIOPERO GENERALE nelle regioni del Centro di venerdì – prima delle cinque giornate di mobilitazione contro la legge di Bilancio di Cgil e Uil – è comunque confermata e c’è da giurare che la forzatura di Salvini porterà a una partecipazione maggiore dei lavoratori di tutti i settori.
Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri ieri sera non hanno volontariamente risposto alla convocazione di Salvini, lasciando ai segretari confederali Maria Grazia Gabrielli e Emanuele Ronzoni (già intervenuti alla Commissione di garanzia) la partecipazione all’incontro.
Oggi terranno una conferenza stampa per spiegare le loro ragioni. Ieri sera però Landini è andato in televisione e ha risposto a Salvini. La precettazione «è un atto politico gravissimo. Non c’è alcuna ragione oggettiva né di urgenza che motiva questo intervento ed è un esplicito attacco al diritto di sciopero, che non è un diritto del sindacato ma delle singole persone che lavorano. Confermiamo che lo sciopero ci sarà». E «mettere in discussione questo diritto significa mettere in discussione la democrazia».
Landini ha chiamato in causa direttamente Giorgia Meloni: «Siamo di fronte ad un silenzio assordante, e da questo punto di vista vorrei sapere se la posizione di Salvini è quella del governo, questo non l’ho ancora capito».
MELONI «DOVREBBE svolgere questa funzione» di fermare la precettazione: «Queste forzature mettono in discussione il diritto delle persone. Siccome la Meloni è venuta al nostro congresso per dire che lei è cresciuta nel conflitto e che non avrebbe mai messo in discussione il diritto alla contestazione, oggi invece lo fa», è la stoccata di Landini