Pochi «ritocchi» non fanno la differenza. Il governo discute la nuova bozza Calderoli sull’autonomia che domani approda in Cdm. Per i leghisti «sarà una festa». A pagare il conto sarà il Meridione. E la legge di bilancio taglia posti di lavoro nella scuola del Sud
Il decreto sull’«autonomia differenziata» che realizzerà la «secessione» delle «regioni ricche» da quelle «povere» è stato «ritoccato» in una riunione del governo (chiamata «pre-consiglio») e sarà approvato «in maniera preliminare» da un consiglio dei ministri domani. Un’espressione singolare per dire che il testo avrà bisogno di essere riesaminato in un altro consiglio dei ministri.
QUESTA FRETTA si spiega con le elezioni regionali in Lombardia. La Lega ha bisogno di mandare un segnale di vita in una corsa dove sta arrancando. Fratelli d’Italia rischia di diventare il primo partito della regione domenica 12 febbraio. Per un pugno di voti, e per riprodursi come partito, si spacca il paese, si creano venti piccoli staterelli regionali, si dà un colpo mortale al Welfare agonizzante, tra i più ingiusti d’Europa. Non a torto il decreto è stato soprannominato «Spacca Italia».
PER TENERE UNITI i partiti post-fascisti e leghisti che la pensano in maniera diametralmente opposta sull’«autonomia», ieri il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha rinfocolato l’interesse di Fratelli d’Italia per il presidenzialismo. Per questo ha rinnovato il patto
con i suoi alleati per fare a pezzi la forma di governo parlamentare della repubblica. «Autonomia e presidenzialismo vanno avanti insieme – ha detto – Uno Stato federale e presidenzialista» sarebbe a suo avviso «più efficiente».
CONSIDERATA la Costituzione in vigore in questo paese l’affermazione di Salvini è una contraddizione in termini. Per giustificarla ha usato il frusto linguaggio manageriale ed economicistico. Non va dimenticato un fatto politico importante. Nel 2014 Giorgia Meloni è stata prima firmataria di un progetto di legge di riforma costituzionale che voleva abolire le regioni. Cambiare idea per opportunismo politico. Cosa non si fa quando si sta al potere. Salvini lo sa e tira dritto. Lui si gioca tutto in questa partita come i suoi cacicchi nel lombardo-veneto.
SE PER IL PRESIDENTE del Veneto Luca Zaia domani «sarà una giornata storica» per quello campano Vincenzo De Luca «il paese è a rischio». Le divisioni attraversano anche i presidenti delle destre. Per quello calabrese Roberto Occhiuto il decreto «lascia questioni essenziali irrisolte e rischia di dividere il paese». Iscritto a Forza Italia, Occhiuto dice di «non avere pregiudizi verso l’autonomia differenziata che è prevista dalla Costituzione» (grazie alla sciagurata «riforma» del Titolo V del «centro-sinistra»), è necessario però «garantire i fabbisogni standard attraverso lo Stato». Berlusconi, guida carismatica del partito di Occhiuto, ieri ha detto in un video: «Dobbiamo pensare che ogni anno 200 mila cittadini raggiungono la Lombardia da altre regioni per sottoporsi a interventi chirurgici. Dobbiamo garantire a tutti una sanità di assoluta qualità». L’«autonomia differenziata» rafforzerà invece il potere della sanità privata in Lombardia. E saranno molti di più i cittadini meridionali, che possono permetterselo, a farsi curare in quella regione. La secessione dei ricchi è un modo per contribuire ai profitti di pochi.
NELLE QUARTE bozze del testo Calderoli, composto da 10 articoli, i «ritocchi» a un quadro già pasticciato riguarderebbero il rafforzamento del ruolo del Parlamento nel processo di approvazione del decreto. Dopo l’intesa preliminare fra Stato e Regione, l’ipotesi è quella di inserire un atto di indirizzo da parte delle Camere, che si voterebbe quindi in Aula, anziché – come previsto nella bozza – dalle commissioni competenti. Un’altra modifica è l’aumento, da sei mesi a un anno del periodo di preavviso per manifestare, da parte dello Stato o della Regione, la volontà di non proseguire l’intesa. In caso contrario – almeno nella bozza circolata ieri – ci sarà un rinnovo. Questa modifica è stata motivata con la necessità di sincronizzare gli anni scolastici nelle regioni che puntano a farsi ciascuna il proprio sistema di istruzione. L’intero percorso dovrebbe durare non meno di 5 mesi, inclusi 60 giorni di discussione in parlamento.
IL PROBLEMA principale che ieri ha riacceso le polemiche è la scelta di parlare prima del Ddl Calderoli e poi dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Senza contare quella di affidare la loro definizione alla presidente del Consiglio Meloni e di escludere il parlamento dalla definizione delle intese se non per ratificarle a fatto compiuto. «L’articolo 8 della bozza conferma tutti i nostri sospetti – ha sostenuto Francesco Boccia (Pd) – Dall’applicazione del ddl non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. È la riprova che non investono un centesimo per ridurre le diseguaglianze». «O in assenza di determinazione dei Lep l’autonomia non verrà attuata, oppure verrà realizzata senza che un solo Lep sia finanziato» ha spiegato Mara Carfagna (Azione-IV).
IL «TAVOLO NO AUTONOMIA» composto da numerosi soggetti che si oppongono alla secessione prospetta una manifestazione a Roma. I componenti si sono incontrati in un’assemblea domenica scorsa al liceo Tasso di Roma. Il progetto è dare vita ai comitati territoriali e coinvolgere i sindaci in una campagna di informazione e denuncia.