Intervento. Se la scuola non crolla è solo per la serietà e la professionalità di centinaia di migliaia di docenti, dirigenti e lavoratori che la tengono in piedi; molti dei quali precari e, tutti, sottopagati.
«La scuola non mostra crepe» avrebbe dichiarato il Ministro dell’Istruzione Bianchi. È un’affermazione o provocatoria, o fuori dal mondo. E ancor più stridente con la realtà è stato il tono mellifluo – che avrebbe voluto essere rassicurante – nella conferenza stampa del governo. Evidentemente la loro fonte di informazione sono alcuni burocrati ministeriali o degli uffici scolastici; gli stessi che, in piena pandemia, hanno confermato, un po’ in tutta Italia, classi anche da trenta alunni. La scuola, oltre ad essere stata bombardata in questi decenni, è stata riaperta il 7 gennaio, dopo un “tana libera tutti” (per sostenere sua maestà il Pil), senza nessun tracciamento reale, senza nessun intervento di sicurezza (né sulle aule, né sui trasporti), con regole confuse e contraddittorie, con classi metà in presenza e metà in DaD, senza confermare l’ “organico Covid”; e senza fornire a tutti nemmeno le mascherine Ffp2. Piena di crepe, se la scuola non crolla è solo per la serietà e la professionalità di centinaia di migliaia di docenti, dirigenti e lavoratori che la tengono in piedi; molti dei quali precari e, tutti, sottopagati.
A due anni dall’inizio della pandemia, la scuola è ancora
sballottata tra il rischio del contagio e la DaD (che, voglio ripeterlo ancora una volta, è una modalità disastrosa e discriminante, sia sul piano pedagogico, che umano). Altrettanto chiaramente va detto che la retorica del “ritorno in presenza e in sicurezza”, da parte del governo ancora ieri, è un espediente propagandistico e una doppia bugia; perché con l’andamento dei contagi (e senza gli interventi necessari) la presenza è, e sarà, molto relativa; e la sicurezza altrettanto, o peggio.
Cioè, non sono contrari alla DaD – nonostante le dichiarazioni ipocrite – per ragioni didattiche e pedagogiche (come, invece, la stragrande maggioranza degli studenti e dei docenti); ai ragionieri del Pil interessa sbandierare una sicurezza inesistente e che i genitori vadano a produrre, senza ristori e coi loro lavori precari e sottopagati. È lo stesso governo (e la stessa maggioranza) che, qualche settimana fa, ha scritto e votato una finanziaria con pochi spiccioli per il sistema formativo, ma con regali fiscali a chi non ne ha alcun bisogno. Lo stesso che, col decreto “ristori bis” ha tradito il “patto per la scuola” firmato 48 ore prima con i sindacati e ha irriso lo sciopero della scuola e quello generale. E, d’altra parte, cosa questi pensino della scuola l’hanno scritto nel Pnrr: serbatoio per le esigenze delle imprese; mentre ciò che attende i giovani è chiaro: lavoro precario e sfruttamento. Oltre ad una “transizione ecologica” verso le centrali nucleari! Lo stesso governo che discute di “didattica orientativa” al lavoro per i bambini: altro che metodo Montessori, siamo al metodo Mackie Messer di brechtiana memoria.
Questo governo è nato per questo: garantire la produzione a qualunque costo, priorità al Pil rispetto alla salute e alla sicurezza; cioè per riempire l’involucro keynesiano del recovery di sostanza neoliberista. Che Draghi fosse questo, e che questo avrebbe fatto, lo sapevano tutti; infatti Sinistra Italiana ha scelto l’opposizione e Cgil e Uil (che non possono essere accusate di chiusura preventiva al governo), dopo mesi di seria ricerca di dialogo, hanno dovuto far ricorso allo sciopero generale.
Questa è l’“agenda Draghi” e questa è la cura darwiniana che il Paese dovrà sorbirsi, se essa dovesse stabilizzarsi, nel passaggio del Quirinale e in ciò che ne deriverà al governo. Pd e Movimento 5 Stelle sono a questo bivio, se condividere la stabilizzazione di una maggioranza che ha fallito la lotta al Covid, la difesa della salute e dei diritti, per ungere le macchine del Pil; oppure provare a creare un’alternativa di governo, contro le destre, che riprenda e rilanci la maggioranza che aveva dato vita al Conte 2. Ma che, soprattutto, parli ai cittadini, ai giovani, a lavoratrici e lavoratori, li mobiliti per portare l’Italia finalmente fuori non solo dalla pandemia, ma dalla suppurazione della crisi della politica; per aprire una nuova stagione della democrazia, di cui c’è urgente bisogno, perché i segnali di involuzione, qui e in tutto il mondo, sono brutti e preoccupanti.
A questo doveva servire il Pnrr, cambiando la ultima R, da resilienza a riforme e, soprattutto, cambiando il metodo e la sostanza. Anche questo hanno detto, il 16 dicembre scorso, Landini e Bombardieri, se si ha la volontà di riascoltarli: uno sciopero generale per non approfondire ancor più il solco tra le istituzioni e un Paese che vive una realtà drammatica. La medicina, quella vera, si chiama riforme e giustizia sociale, investimenti per il bene comune.
Studenti, docenti, lavoratori sono rientrati in una situazione di caos (altro che crepe!); mentre la sanità è in affanno crescente. Le responsabilità delle conseguenze hanno nomi e cognomi; ed erano in buona parte schierati in conferenza stampa. E bisognerà ricordarli ad alta voce.
* Responsabile Scuola e Università di Sinistra Italiana