Tra Europa e Usa Per evitare il fuoco incrociato Meloni ha saltato anche l’appuntamento in Germania
Roma, la premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi – foto di Filippo Attili
Stare nel mezzo può voler dire fare da ponte, ruolo eminente che garantisce una invidiabile rendita di posizione. Può anche significare ritrovarsi nei panni del tordo preso in un fuoco incrociato ed è condizione meno gradevole. Giorgia Meloni è partita convinta di poter recitare la parte del grande mediatore nel palcoscenico sempre più tempestoso della politica internazionale. Sta scoprendo che rischia di finire in mezzo ai proiettili che fischiano da entrambe le sponde e forse per questo si è chiusa in un mutismo che ha dell’inaudito. Tanto da disertare anche la Conferenza di Monaco.
Bisogna capirla. Proporsi di mediare con la banda che comanda a Washington è una cosa. Farci concretamente i conti è un’altra storia. Vogliono far l’Europa di nuovo grande ma la ricetta che hanno in mente per avviare l’impresa è ridurla a spezzatino. Musk, una specie di Lex Luthor evaso dai fumetti per aggredire la realtà, nutre sogni interplanetari ma per intanto né lui né il suo presidente tycoon perdono di vista il portafogli. A sborsare per la difesa o per pagare a prezzi d’usura l’energia o per smerciare nel mercato più ricco del mondo dovrà essere il Vecchio Continente.
L’amica Ursula, da Bruxelles, risponde per le rime ma il dubbio che all’abbaiare non possano far seguito i morsi è legittimo e suggerisce alla premier di Roma prudenza. I gerarchi d’oltre Altantico già la guardavano con sospetto per il civettamento con Biden. Gliel’hanno perdonata ma non è detto che sarebbero altrettanto generosi se dovesse rifarci.
L’Ucraina è di per sé una spina affondata nel fianco. Passare dall’ombrello protettivo del vecchio Joe, che mirava alla disfatta del fellone russo costasse quel che costasse, a quello del nuovo presidente il cui unico interesse per Kiev è riavere indietro con gli interessi i miliardi americani si può anche fare. Ma eseguire la piroetta con disinvoltura e senza perdere faccia e credibilità sarebbe pretendere troppo.
La posizione dell’in-between, come direbbero il gatto Don e la volpe Elon, è doppiamente a rischio. Anche fare la spola fra l’incarognito sovranismo europeo e i salotti comme il faut di Bruxelles sta diventando impresa ardua. La vittoria negli Usa non è un incidente di percorso: è uno sfondamento del fronte e ad avvantaggiarsene in Europa sono quelli che con Trump hanno sempre condiviso orizzonte politico e visione del mondo, i Patrioti di Orbán, Le Pen e Salvini. Per riaprire le porte all’AfD tedesca, che tempo una decina di giorni sarà il secondo partito tedesco lanciato all’arrembaggio, non hanno aspettato l’ordine di Vance. Zelanti, lo hanno anticipato riammettendo i sospetti neonazi messi alla porta appena pochi mesi fa, in un’altra epoca storica. La destra europea sono loro e per i Conservatori di Meloni, sovranisti ma anche europeisti, populisti ma sotto braccio con l’establishment, lo spazio si è fatto esiguo.
Prima o poi, ma molto più prima che poi, la premier dovrà decidere ed è precisamente quel che detesta dover fare. Per ora se la cava lanciando alternativamente segnali opposti. È la sola leader di un grande Paese europeo, Gran Bretagna inclusa, che non abbia difeso la Corte dell’Aja dalle sanzioni di Trump e non abbia protestato per la ruvida brutalità con la quale il presidente americano ha tagliato fuori l’Europa dalla trattativa con Putin. Allo stesso tempo si attacca al telefono per assicurare a von der Leyen che nella guerra dei dazi l’Italia farà la sua parte. Si indigna a voce altissima per il veleno di Mosca contro Mattarella, le cui parole erano peraltro rivolte a Putin perché Trump intendesse. Ma basta prestare orecchio a quel che dicono i suoi ufficiali per scoprire che dell’eroico Zelensky non sanno più cosa farsene e se dovesse togliersi di torno festeggerebbero.
Ma il gioco già mostra la corda, potrebbe sfasciarsi anche prima del previsto. Ancora per un po’ e sino all’ultimo momento utile la premier italiana farà il possibile per mantenere il suo schema: a metà fra Washington e Bruxelles come fra Orbán e palazzo Berlaymont. Poi, obtorto collo, dovrà scegliere e ci vuole molto ottimismo per scommettere che si schiererà contro una destra globale che in fondo le somiglia moltissimo