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Palestina/Israele Il tipo e la durata delle operazioni militari israeliane e lo sfollamento forzato indicano un obiettivo chiaro: rendere le comunità invivibili. Nella Striscia un raid israeliano distrugge uno dei pochi bulldozer per rimuovere le macerie

Khan Younis, un mercato delle verdure improvvisato tra le macerie foto Ap/Abed Rahim Khatib Khan Younis, un mercato delle verdure improvvisato tra le macerie – Ap/Abed Rahim Khatib

Va avanti ormai da più di tre settimane l’operazione militare israeliana nella Cisgiordania occupata. 40mila persone sfollate, secondo i dati dell’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei profughi palestinesi. I numeri, la violenza e le modalità dell’attacco lo rendono diverso dalle centinaia di raid degli ultimi anni. «Il tentativo – dice il sindaco di Jenin, Mohammad Jarrar – è rendere permanente lo sfollamento».

Questa volta le persone sono costrette a rimanere lontane dalle proprie case per periodi più lunghi e, se hanno il permesso di ritornare, ciò che trovano è distruzione. I campi profughi, che portano già i segni dell’occupazione e delle distruzioni operate dall’esercito israeliano in passato, stanno diventando luoghi invivibili. Grazie al «metodo Gaza» di esplosioni e incendi. L’esercito israeliano ha dichiarato di non voler cacciare i palestinesi, ma di offrire loro un passaggio sicuro per lasciare i campi durante i combattimenti.

BEN DIVERSE le testimonianze degli abitanti. I militari usano bombe e spari contro le case di chi si rifiuta di andar via. Annunci intimidatori vengono emessi in arabo dagli altoparlanti delle moschee, diffusi attraverso volantini e poster. La sensazione di tanti è che questo attacco intenda completare l’espulsione dell’Unrwa: se i campi profughi non esistono più, non c’è motivo che l’agenzia rimanga in Cisgiordania.

Secondo il commissario generale Philippe Lazzarini, Israele porta avanti una campagna di disinformazione in giro per il mondo, con cartelloni e annunci pubblicitari che descrivono l’Unrwa come un’entità terroristica. L’obiettivo, per Lazzarini, è «spogliare i palestinesi del loro status di rifugiato» e l’attacco starebbe «mettendo a rischio la vita del personale, specialmente in Cisgiordania».

Ma non sono solo i campi profughi del nord a essere attaccati. Ieri un bambino palestinese di 14 anni è stato colpito al collo dalle schegge di un proiettile sparato dai soldati israeliani a Nablus. L’esercito è entrato anche a Betlemme e Hebron, improvvisando nuovi posti di blocco e chiudendo le arterie principali con cancelli elettrici. Centinaia di auto sono rimaste in coda per ore.

Le strade riservate ai coloni israeliani rimangono, invece, liberamente percorribili. Coloni che moltiplicano i propri raid nei villaggi palestinesi, attaccando gli abitanti, le loro proprietà e occupando le terre.

Anche nella Striscia proseguono le aggressioni, soprattutto con droni. Ieri l’agenzia Wafa ha fatto sapere che ad al-Mughraga, nel centro dell’enclave, l’esercito ha bombardato un bulldozer impegnato a rimuovere le macerie delle case distrutte. Due feriti.

ALTRE DECINE di corpi, intanto, sono state recuperate e il ministero della salute ha aggiornato il numero delle vittime nella Striscia a 48.264 dal 7 ottobre 2023. A cui si aggiungono le circa 12mila persone rimaste sotto le macerie. Mentre riaprono i panifici gestiti dal Programma alimentare mondiale, gli aiuti restano insufficienti e in migliaia sono costretti a sistemarsi tra le macerie o a dormire nei cimiteri.