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Ultradestre Questa ostilità e la plateale discesa in campo di Washington al fianco della destra nazionalista in Germania (che presto si estenderà in forme altrettanto cogenti a tutte le analoghe formazioni […]

Elonk Musk all'Ufficio ovale della Casa bianca insieme a Donald Trump foto Alex Brandon/Ap Elonk Musk all'Ufficio ovale della Casa bianca insieme a Donald Trump – foto Alex Brandon/Ap

Questa ostilità e la plateale discesa in campo di Washington al fianco della destra nazionalista in Germania (che presto si estenderà in forme altrettanto cogenti a tutte le analoghe formazioni nazionalpopuliste nel resto d’Europa) sono strettamente connesse e funzionali a una politica che lavora non da ieri alla disgregazione dell’Unione europea, ma mai in forme così perentorie.

I rapporti tra gli Stati uniti e i gruppi dell’estrema destra eversiva in Europa hanno una lunga storia. Ma si è trattato, nella stagione della guerra fredda, di relazioni occulte, di reti ausiliarie destinate a entrare in funzione in particolari momenti di crisi e in chiave di repressione anticomunista. Non certo di una affinità ideologica baldanzosamente sbandierata, di modelli politici e culturali additati come valore comune ed esemplare. Chiunque sedesse alla Casa bianca prima di Trump, malgrado i più torbidi rapporti con golpisti e dittature, non poteva esimersi dal rimarcare una netta distanza tra la democrazia liberale e le dottrine autoritarie incistate nella tradizione dell’estrema destra.

Il quadro è ora completamente cambiato: Trump e il suo seguito si rispecchiano pienamente in una versione plebiscitaria dell’investitura popolare che non tollera ostacoli o limitazioni. Che pretende di incarnare la volontà del popolo e rivendica in conseguenza una pienezza di poteri senza regole e senza controlli.

È lo stesso ammodernamento del Führerprinzip, lo stesso strapotere dell’esecutivo cui aspira l’estrema destra europea. Dunque, per la nuova amministrazione statunitense, partiti come Afd in Germania, il Rassemblement national in Francia o il Fidesz di Viktor Orban in Ungheria, con le loro ossessioni xenofobe e identitarie e il patriottico rifiuto di ogni conflittualità sociale, rappresentano qualcosa di più di una sponda occasionale, quasi una sorta di «partiti fratelli» dai quali attendersi il superamento di quelle resistenze europee alla totale deregulation che non lasciano il campo sufficientemente libero ai colossi del capitalismo americano.

I centristi europei erano soliti discriminare queste formazioni della destra radicale accusandole, fra l’altro, di essere manovrate da Mosca. Ma dopo l’insediamento di Trump l’argomento deperisce: non sarebbe più Putin l’interlocutore privilegiato dei partiti nazionalisti, bensì proprio lo storico alleato d’oltreatlantico che li chiamerà semmai a fiancheggiare quel rapporto diretto con la Russia che non contempla il parere dell’Unione europea e ancor meno un qualche suo ruolo.

I nazionalismi europei sono in tutta evidenza lo strumento più adeguato allo scopo di spezzettare un’Europa già debolmente coesa a favore di interessi a dire il vero più americani che russi.

La minaccia che incombe su questa Unione, che avendo seminato molta retorica bellicista e poca intelligenza diplomatica non può aspettarsi un grande raccolto, non è un’improbabile espansione della Russia verso Ovest, da contrastare con una corsa al riarmo che dissanguerà i bilanci degli stati europei e rimpinguerà i profitti dell’industria bellica statunitense senza peraltro mettere davvero il Vecchio continente in condizione di difendersi dai giganteschi apparati militari delle superpotenze.

Il pericolo ben più reale e incombente sono le forze politiche dell’estrema destra dove già governano, dove condizionano i governi o dove si accingono a farlo. Sono queste forze che possono stravolgere completamente quel che resta delle democrazie del dopoguerra e mettere fine a ogni velleità di autonomia dell’Europa unita. Ed è proprio su queste formazioni che punta le sue carte la controrivoluzione trumpista.

Spostare risorse dal sostegno dei livelli di vita e di benessere della società civile europea, dai redditi e dal welfare all’escalation militare significa sguarnirsi sul fronte più reale e concreto del conflitto, quello contro il nazionalismo populista dell’estrema destra che si nutre della crisi economica e del malcontento popolare, per prepararsi invece a uno scontro immaginario e fuori dalla storia con l’armata bianca del nuovo Zar.

Non vi è saggezza né realismo nel lasciare a Trump il monopolio del dialogo diplomatico con Mosca per riservarsi il ruolo di falchi guerrieri. E Macron, prima di promettere truppe e armamenti sul fronte dell’est, dovrebbe preoccuparsi dei governi in ostaggio del Rassemblement national che insistentemente impone alla Francia. Perché è da lì che può arrivare il colpo mortale per l’Unione europea, così come da un grande successo, benedetto da Washington, dell’estrema destra in Germania. Tra pochi giorni.