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Striscia di sangue La tregua resta in bilico. Linea dura di Netanyahu, ma le famiglie degli ostaggi premono. Il movimento islamico chiede l’ingresso a Gaza di case mobili e 200mila tende, come previsto dall'accordo di cessate il fuoco

Hamas: altri tre liberi sabato. Israele valuta «vari scenari» Nelle strade di Gaza City ingombre di macerie e spazzature – Ap

Quattordici corpi sono stati recuperati dalle macerie di Gaza tra mercoledì e giovedì. Altre tre persone sono state uccise dal fuoco dei soldati israeliani. E un ragazzo di 14 anni è stato ucciso da un razzo sparato da un gruppo armato e caduto nella Striscia. C’è la tregua, eppure il bilancio dei palestinesi uccisi nei passati 16 mesi e in questi giorni continua ad aumentare, ogni giorno. Ora i morti accertati dal 7 ottobre sono 48.239. Cifre destinate a raggiungere nuove drammatiche vette se non approderanno all’esito sperato le trattative in corso per mettere fine alla crisi divampata a inizio settimana, quando Hamas ha proclamato lo stop alla liberazione degli ostaggi israeliani in risposta, ha spiegato, al mancato rispetto da parte di Tel Aviv dell’accordo di cessate il fuoco. Annuncio seguito dalla dura reazione del governo Netanyahu e da quella persino più violenta dell’Amministrazione Trump che ha lanciato un ultimatum: il rilascio dei 76 israeliani (parecchi dei quali sono deceduti) ancora prigionieri a Gaza entro sabato (domani) alle ore 12 altrimenti, ha minacciato, «sarà un inferno».

Le notizie ieri davano Hamas pronto a restituire tre ostaggi domani mattina, in linea con quanto è avvenuto ogni weekend nell’ultimo mese, in cambio della liberazione di prigionieri politici palestinesi. E della fine delle restrizioni israeliane che, ha detto il suo portavoce militare Abu Obeida, impediscono l’ingresso di maggiori quantità di aiuti umanitari, delle case mobili per gli sfollati e dei macchinari necessari a rimuovere le macerie e a riaprire e riparare strade ed edifici. Risultati ottenuti, secondo la stampa palestinese, durante gli incontri tenuti in Egitto dalla delegazione del movimento islamico guidata da Khalil Al Hayya con il capo del servizio di intelligence, Hassan Rashad, e i colloqui telefonici con il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani. Hamas ha anche fatto sapere di essere pronto a rispettare la sua parte dell’accordo di cessate il fuoco, però insiste per l’ingresso nella Striscia di case prefabbricate, roulotte, tende, attrezzature pesanti, forniture mediche, carburante e un flusso continuo di generi di prima necessità. Salama Marouf, capo dell’ufficio stampa governativo a Gaza, afferma che sono arrivate solo 73.000 delle 200.000 tende richieste, mentre non è stata autorizzata alcuna casa mobile. I funzionari delle agenzie internazionali affermano che gli aiuti stanno entrando in quantità maggiori, ma ne servono molti di più. «Ci sono stati dei miglioramenti, tuttavia la risposta non è sufficiente a soddisfare le esigenze di così tante persone», ha detto alla Reuters, Shaina Low di Norwegian Refugee Council.

Foto e video apparsi sui social mostrano macchinari pesanti e camion con i prefabbricati da montare fermi sul lato egiziano del valico di Rafah, in apparenza pronti a entrare a Gaza. La tv pubblica israeliana Kan però, citando una «fonte autorevole», ha smentito la notizia sebbene le case mobili facciano parte dell’accordo di tregua raggiunto il mese scorso. Un freno di natura politica. Netanyahu, favorevole al piano di Donald Trump per la pulizia etnica nella Striscia – ieri decine di attori, artisti e personaggi pubblici ebrei americani, tra cui Joaquin Phoenix, Naomi Klein e Peter Beinart, e 350 rabbini hanno pubblicato un annuncio a tutta pagina sul New York Times contro le intenzioni della Casa Bianca – sa che far entrare macchinari per le macerie, tende migliori e case mobili aiuterebbe i palestinesi a sopportare meglio le pesanti condizioni di vita a Gaza. Perciò, sussurra qualcuno, esita a dare il via libera, anche per l’opposizione dei ministri più oltranzisti all’aiuto umanitario ai palestinesi. «In breve, Hamas ha minacciato e ha ottenuto ciò che voleva», ha protestato Noam Amir, analista di Canale 14, l’emittente tv dell’estrema destra. Dall’altro lato ci sono le manifestazioni delle famiglie degli ostaggi e degli israeliani che chiedono di proseguire la tregua in modo che siano liberati anche gli altri sequestrati. Ieri a migliaia hanno manifestato a Tel Aviv e davanti alle case di alcuni ministri.

Netanyahu ieri è rimasto riunito per ore con il ministro della Difesa Katz, i comandi militari e i vertici della sicurezza per discutere di «vari scenari» a Gaza. Quindi non è sventato il rischio di una ripresa dell’attacco israeliano alla Striscia già domani. In serata si diceva che Israele insisterà con forza per accelerare il rilascio degli ostaggi vivi. Cosa che Hamas difficilmente accetterà poiché sa che il ritorno a casa, in tempi stretti, di tutti gli israeliani sequestrati il 7 ottobre 2023 darebbe l’opportunità al governo Netanyahu, e alla Casa Bianca, di chiudere la partita lanciando subito un nuovo attacco militare.

I riflettori restano puntati su Gaza mentre porzioni della Cisgiordania, sotto l’urto dell’offensiva israeliana «Muro di Ferro» si stanno trasformano in cumuli di detriti e macerie come nella Striscia. Dopo quasi un mese di occupazione militare israeliana, 24 palestinesi sono stati uccisi e altri 120 arrestati a Jenin, dove 20.000 persone sono sfollate dal campo profughi in cui manca l’elettricità e scarseggia l’acqua potabile. Il comitato popolare locale denuncia che 470 strutture e case sono state completamente o parzialmente distrutte da 153 incursioni di soldati e 14 raid aerei. I quattro ospedali della città non riescono più a garantire assistenza medica. Il totale degli arrestati a Jenin, Tubas e Tulkarem è di 380 palestinesi. L’esercito israeliano ieri ha detto di aver ucciso «60 terroristi» in tutta la Cisgiordania. Ieri un giovane palestinese è stato ucciso a Nablus