Al senato La premier prova a raccogliere il messaggio del capo dello stato. Ma ne ha per tutti. Scontro con Monti su Musk
I toni sono quelli di sempre, se possibile più rissosi e a tratti striduli del solito. L’intento di Giorgia Meloni, nella replica al Senato dopo il dibattito sulle sue comunicazioni in merito al prossimo Consiglio europeo, invece è diverso da quello di 24 ore prima alla Camera. È arrivato a destinazione il messaggio del capo dello Stato: un invito perentorio rivolto a tutte le parti politiche ma anche ai media perché abbandonino l’uso smodato della categoria amico/nemico e della contrapposizione insanabile. Dunque qualche apertura al dialogo stavolta Meloni la cerca, anche se è difficile accorgersene nel fragore della rissa da strada in cui trasforma il suo intervento.
LA PREMIER COME al solito ne ha per tutti. Il caso Fitto se lo è legato al dito: «La Lega ha contestato la Commissione ma non il commissario italiano. Invece c’è chi ha difende la Commissione ma contesta il commissario italiano. C’è una bella differenza». Quando esalta l’aver sloggiato i camorristi da Caivano e qualcuno dall’aula rumoreggia perde quasi la testa. Gli fa il verso. Strilla e sbraita. Sbotta: «Voi non lo avete fatto e questi versi anche no». La rissa minaccia di non restare confinata nella sfera verbale. La presidente insiste: «Quando vengo accusata posso rispondervi o devo restare in silenzio?».
Ma la premier non ha alcuna intenzione di creare frizioni eccessive con il presidente della Repubblica e cerca spiragli d’apertura. Visto che Alfieri, Pd, riconosce l’importanza del piano Mettei, ci si potrebbe lavorare insieme. E se l’opposizione si accordasse per garantire l’approvazione della legge di bilancio entro il termine obbligatorio del 31 dicembre lei sarebbe prontissima a non mettere la fiducia. Sono segnali inviati all’opposizione ma con lo sguardo rivolto al Colle.
SOLO CHE L’ALLARME di Mattarella non riguardava solo la degenerazione del confronto politico in una specie di guerra civile mimata. Anche più marcata era la preoccupazione per il potere che stanno assumendo le corporation, sottratte «a ogni controllo pubblico», quasi in grado ormai di sfidare lo Stato quanto a monopolio della forza e sulla moneta. Ogni riferimento a Elon Musk era puramente intenzionale e quell’amicizia imbarazzante viene puntualmente rinfacciata alla premier in particolare da Mario Monti. «Non so che film abbiate visto. Io posso essere amica di Elon Musk e nello stesso tempo presidente del primo governo che in Italia ha fatto una legge per regolamentare l’attività dei privati nello spazio». Incrocia la lama con la Pd Malpezzi ancora sul tycoon: «Il miracolo di Musk è avervi fatto diventare sovranisti ma quando stava con i democratici non avevate niente da dire su di lui».
Altra amicizia pericolosa, quanto a quarti di democrazia, è quella con il presidente argentino Javier Milei. Se la cava con una battuta, duettando a suon di colpi bassi con Matteo Renzi: «Era lei a mettersi il cappotto come Obama. Io sono amica di Milei ma non mi faccio crescere le basette». Replica facile: «Obama non lo ho mai visto col cappotto. A vestirsi come il suo leader Trump è stato Salvini: ha sbagliato Matteo».
Ma le battute non bastano. La premier italiana è decisa a dar vita con Trump e con Milei a quella «internazionale di destra» che l’argentino ha proposto, non per la prima volta, proprio ad Atreju. Allo stesso tempo però intende difendere e rinsaldare quei rapporti con il Ppe che le hanno garantito quella centralità europea che le stesse opposizioni le hanno riconosciuto in questi giorni, sia pur per accusarla di non saperne trarre nulla di buono. È un esercizio di equilibrismo che potrebbe rivelarsi molto difficile.
SULL’UCRAINA la premier italiana, come del resto l’Unione europea, non ha modificato di un millimetro la posizione assunta quasi tre anni fa. Come se la situazione fosse la stessa di allora. Peraltro il compito di cercare una mediazione e un accordo con i nuovi Usa ricadrà in parte importante proprio su di lei, la «leader più influente in Europa». Forse il nervosismo che neppure più i suoi provano a negare, quello dimostrato ad Atreju ma ancor più in questa due giorni parlamentare perché qui a parlare e urlare non era la capopartito ma la presidente del consiglio, deriva proprio dalla consapevolezza di cosa la aspetta nei prossimi mesi.