I tagli agli italiani Il governo è stato costretto a chiedere il ritiro dell’aumento ai ministri, vice e sottosegretari da 7 mila euro. Dopo Crosetto lo ha fatto Meloni. Ma le opposizioni: «Hanno cambiato il nome in rimborso da 2500 euro». Il dato politico è un altro: perché la manovra fa poco per i salari
Ritirare l’emendamento che aumenta di 7 mila euro al mese le varie indennità ai ministri, viceministri e sottosegretari «tecnici», cioè non eletti in parlamento. La presidente del Consiglio Meloni ha dato ragione al ministro della Difesa Crosetto. Lo ha detto ieri in una replica alla Camera tra una dichiarazione e l’altra in vista del Consiglio Europeo per dare più ufficialità possibile a un intervento che si è fatto aspettare per giorni. «Non credo – ha aggiunto Meloni – che l’attenzione per la manovra che abbiamo varato debba essere spostata su un’iniziativa del genere. Ma per dovere di giustizia è un tantino diverso da come viene raccontato: l’emendamento voleva solo equiparare i trattamenti dei ministri parlamentari e non».
IL FATTO È STATO RACCONTATO invece com’è avvenuto. Le motivazioni sono state riportate da tutti correttamente. Si è invece discusso, a cominciare dallo stesso Crosetto, sull’opportunità di adottare un simile provvedimento a due anni dall’inizio del mandato in una paese dove i salari sono fermi. La legge di bilancio sulla quale Meloni ha invitato a concentrare l’attenzione compenserà in minima parte quanto i dipendenti con un contratto nazionale sotto rinnovo hanno perduto negli anni della maxi inflazione. E il «taglio del cuneo fiscale», che dal 2025 sarà «strutturale» per i prossimi 5 anni, è costosissima compensazione simbolica da 10 miliardi che esclude i più poveri e non recupera il potere di acquisto del «ceto medio». Dunque, parliamo della manovra. E parliamo del fatto che le destre hanno cercato di aumentare di oltre 7 mila euro al mese gli stipendi dei ministri. Perché ora? Perché non due anni fa?
È UN INCIAMPO POLITICO da dilettanti. I meloniani si spolmonano, si muovono come una corazzata e si arenano in una pozzanghera. E, per di più, si fanno incastrare su una delle questioni populiste per eccellenza: il taglio dei«costi» alla politica. Ieri c’è stato il prevedibile siparietto tra Meloni che accusava i Cinque Stelle di usare 300 mila euro di fondi pubblici per pagare Grillo e Conte che si indignava per il fatto che Meloni ha omesso che loro si «tagliano gli stipendi per 100 milioni di euro» complessivi. Dibattiti di una certa levatura. Ma il punto è un altro. Nella politica considerata come una piazzata da talk show questi argomenti dovrebbero essere usati da Meloni in uno dei suoi comiziacci. Invece ieri è stata costretta a giustificarsi alla Camera durante un intervento che avrebbe dovuto volare alto. Il governo si è fatto intrappolare dalla sua maggioranza troppo devota e ora si mette a baccagliare in aula su quanti soldi vanno nelle tasche dei ministri e sono negati ai cittadini.
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Più soldi ai ministri, non agli stipendi, rincarano i pedaggiNELLE ORE FATALI dell’approvazione di una legge di bilancio già impacchettata – e non lo è affatto – alcuni garibaldini dell’opposizione hanno trovato l’inganno anche nell’emendamento che ha riformulato la norma sull’aumento degli stipendi. L’ultima stesura del testo riformulato ieri sera dai relatori ha previsto che i «tecnici», «non residenti a Roma» avranno diritto al rimborso delle spese di trasferta «da e per il domicilio o la residenza» al fine di «espletare le proprie funzioni». È stato previsto un fondo presso la presidenza del Consiglio da mezzo milione di euro dal 2025.
SUBITO DOPO quelli dell’opposizione (da Italia Viva al Pd fino ai Cinque Stelle) hanno preso la calcolatrice e hanno fatto qualche conto. «L’aumento per i ministri ha cambiato nome, questa è un’altra presa in giro degli italiani» ha detto uno. «Ora è diventato un rimborso spese: sono 2500 euro netti al mese, molto più dello stipendio medio. Perché continuano a mascherarsi?» ha detto un’altra. E poi, ovviamente, è scattato il moralismo della satira con sapidi giochi di parole: «Nel meraviglioso mondo di “Ameloni” le cose sono due: o Meloni è stata contraddetta dalla sua maggioranza, o siamo di fronte all’ennesima strategia comunicativa pensata per distogliere l’attenzione con notizie fuorvianti». Così l’accusa rivolta in aula da Meloni le è stata rivolta contro. E siamo punto e a capo. Che i ministri si prendano il loro regalo di Natale, anche se qualcuno lo rifiuterà. Il problema è che nessuno intende affrontare il problema dei salari. Questo è il dato politico.
NELLA CONFUSIONE è cambiata anche la norma cosiddetta «anti-Renzi». Saranno i ministri, i parlamentari anche eletti in Europa, i presidenti di Regioni e province a non dovere accettare incarichi con compensi da paesi extra-europei. I parlamentari potranno chiedere una deroga entro i 100 mila euro, i ministri no.