Non abbiamo perso perché il governo Draghi è caduto, ma esattamente per il suo contrario, ovvero per la natura di quel governo, e ancor di più per la percezione di distanza avvertita da milioni di persone provati dalla pandemia, dalla guerra e dalla crisi economica. Un governo di emergenza e unità nazionale trasformato via via in opzione politica, l’agenda Draghi.
Confondendo l’indubbio prestigio individuale di Draghi, anche a livello internazionale, con il consenso nel Paese. Un governo che non ha scelto come priorità un’ azione riformatrice redistributiva capace di entrare nelle case degli italiani.
La rottura del campo largo ha fatto il resto, rendendo la contesa elettorale una pura formalità testimoniale di fronte alla avanzata delle destre. E anche qui la responsabilità a me pare chiarissima. Come si può pensare di costruire un rapporto strategico con Conte e il suo movimento e contestualmente delegittimare, irridere, forzare scissioni parlamentari che valgono zero nella società, non favorire il rapporto con S&d in Europa, metterli fuori dal board della presidenza del parlamento europeo favorendo il partito della Meloni (si, anche questo è accaduto).
Abbiamo perso perché non abbiamo combattuto nelle viscere di una società impoverita e impaurita. Abbiamo perso perché dal 2011 il Paese vive sospeso in una bolla tecnocratica che ha svilito la politica, le sue forme organizzate, la sua spinta ideale. Con l’unica eccezione di “Piazza grande”, un momento promettente, capace di attivare centinaia di migliaia di persone, soffocato in culla da meccanismi asfissianti che ordinano gli equilibri del Pd dalla sua nascita.
Ma la destra ha vinto non solo perché il campo democratico era diviso. Ha vinto perché la sua leader appare, agli occhi degli elettori, credibile e coerente. Una vittoria figlia di un percorso lineare, identitario e popolare, fondato sul no alla deriva tecnocratica e
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Commenta (0 Commenti)C’è una radicale, profonda iniquità in questa nuova fotografia elettorale del Paese: è la legge con la quale sono stati chiamati al voto oltre 50 milioni di italiani. È utile ripeterlo finché non ci sarà modo di cambiarla. Intanto perché è sfacciatamente antidemocratica visto che cancella dal panorama istituzionale chi non raggiunge il 3 per cento dei suffragi, e visto che premia, oltre ogni giusta misura, chi riesce ad ottenere anche un solo consenso in più dell’avversario. Uno specchio deformante che ingigantisce o assottiglia le formazioni politiche senza curarsi delle loro reali dimensioni.
Per di più, ironia della sorte, va detto che proprio chi l’ha voluta, anzi imposta, il Partito democratico (all’epoca renziano), è stato severamente e meritatamente punito per non averla neppure saputa usare contro la vittoria annunciata della destra.
Tuttavia sarebbe riduttivo pensare di trovarci semplicemente di fronte ad un errore tattico, perché, al contrario, la crisi del Pd è figlia di pesante miopia politica, frutto della stupefacente sopravalutazione, fino all’identificazione, con il “sistema Draghi”, fino a scambiare il prestigio internazionale del capo del governo con l’identificazione programmatica tout court del partito.
Di conseguenza, il muro anti 5Stelle, lungi dal penalizzarli per lesa maestà draghiana, non solo li ha premiati ma ha regalato all’Italia la svolta storica di una larga maggioranza di estrema destra, spianando così la strada verso il potere a un avversario molto pericoloso sul piano dei diritti, delle libertà personali, dello schieramento europeo. Eppure Letta ieri, nello sprofondo del day after, presentandosi al rendiconto con gli elettori, ha rivendica questo perentorio vade retro verso i 5S, non ha fatto
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Commenta (0 Commenti) Giorgia Meloni nel 2020 a Roma in una manifestazione contro il Green Pass - Tiziana Fabi /Getty Images
Tutto come previsto. La destra post fascista ha vinto, l’area progressista e di sinistra ha perso, l’astensionismo ha battuto tutti i record della storia repubblicana.
Le urne non hanno riservato sorprese, nonostante le voci diffuse negli ultimi giorni su qualche risultato – tra le forze progressiste – sottovalutate dai sondaggi.
Tra i partiti della destra Fratelli d’Italia ha prosciugato la Lega che subisce un crollo e vede traballare la leadership di Salvini. Da sola la fiamma tricolore doppia i suoi alleati.
Siamo di fronte a un partito che – fuori da qualsiasi governo dopo la fine del berlusconismo – è passato dal 4 al 26 per cento che le stime provvisorie gli assegnano.
Nel complesso l’area elettorale del centrodestra resta più o meno costante, spostando il suo baricentro sulla leader individuata come la carta vincente. Dunque verosimilmente Sergio Mattarella dovrà designare Giorgia Meloni presidente del consiglio dei ministri.
L’area progressista e di sinistra ce l’ha messa tutta a organizzare la propria sconfitta presentandosi in ordine sparso a dispetto di una legge elettorale costruita per le coalizioni.
Il Pd si ritrova intorno al 18 per cento, suo minimo storico, in un testa a testa con un M5S che, stimato al 16-17 per cento, porta a casa una netta vittoria di Conte.
E’ invece modesto, se si fermerà poco sopra la tagliola del 3 per cento, il consenso di Sinistra italiana-Verdi, equivalente a quello di +Europa. Tutti insieme avrebbero sfiorato una soglia competitiva con le destre. Senza considerare il buon risultato di Calenda e Renzi.
L’astensione, che sferza tutto il Sud, mantiene lo scettro del primo partito. Nonostante la possibilità dei diciottenni di esprimersi anche per il Senato, la percentuale dei votanti, 64 per cento, è la più bassa di sempre.
Oggi misureremo la profondità delle scosse di questo terremoto, ma l’impressione è che gli elettori di destra siano arrivati al voto motivati, spinti dalla voglia di mettere i loro partiti di appartenenza alla guida del Paese.
Le forze del nostro campo portano la grave, pesante responsabilità di non averci neppure provato.
Commenta (0 Commenti)Il risultato condizionerà le scelte future, non tanto – o non solo – politiche ma identitarie del Pd. E del segretario del partito: già circolano i nomi dei possibili successori
Alle urne. - Aleandro Biagianti
Votiamo sperando di sorprenderci. Prendiamo a prestito l’immaginazione di Altan sull’Espresso, per sperare che il risultato elettorale non confermi quello che tutti i sondaggi ci hanno annunciato fino alla nausea in queste settimane: la vittoria a mani basse della destra.
Se la previsione degli esperti è esatta, allora, come si dice, tutte le famiglie felici sono uguali e ogni famiglia infelice lo è a modo suo. È così per la famiglia felice della destra, che pregusta la vittoria e la conquista del potere grazie a un gioco di squadra. È invece triste il fronte democratico che si presenta agli elettori come un’armata sperduta nel territorio di guerra, con frizioni e competizioni interne sfibranti, stucchevoli, vecchie. E però questo è il nostro argine contro la svolta illiberale che preoccupa anche l’Europa.
Se siamo a questo punto di pesante incertezza sull’esito del voto, lo si deve in buona parte alla mancata alleanza tra il Pd e il M5Stelle, nonostante un sistema elettorale che premia gli accordi tra più partiti piuttosto che la singola forza politica.
Anche per questo grave, esiziale errore, non a caso una parte delusa della sinistra tradizionale voterà, più o meno convintamente, per
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Commenta (0 Commenti)CAMBIAMO ARIA. In Italia da nord a sud decine di migliaia di giovani protestano in settanta piazze per lo sciopero globale dei Fridays For Future
Fridays for future ieri a Roma - Patrizia Cortellessa
Da nord a sud tre anni dopo le prime manifestazioni Fridays For Future ha riportato in piazza decine di migliaia di giovani, 80 mila diranno gli attivisti a fine giornata. Un movimento che fin dalla nascita aveva detto che la giustizia climatica è connessa a quella sociale, ieri ha allargato definitivamente gli orizzonti dicendo con forza che la lotta per il clima è connessa alle lotte per i diritti civili, sociali e lavorativi. Questa generazione sarà un’opposizione naturale per chiunque da dopodomani governerà l’Italia.
GIORGIA MELONI È AVVISATA, e del resto è stata la più bersagliata negli slogan delle settanta piazze italiane. Ma è avvisato anche il Pd che non gode di alcuna credibilità tra chi ha manifestato. «Siamo stati ignorati dalla politica, queste elezioni sono una sconfitta per le migliaia di giovani che sono scesi in piazza in questi anni per il clima e la giustizia sociale» ha detto sotto al palazzo della Regione Lombardia uno dei portavoce dei Fridays Milano alla fine del corteo. «Tra la destra negazionista e l’alternativa cosiddetta progressista che riaccende il carbone, non scegliamo nessuno».
PAROLE SEGUITE da un lungo applauso dei 10 mila che hanno sfilato a Milano. «Non sosterremo nessun partito, perché nonostante le differenze tra i diversi programmi nessuno difende le rivendicazioni che abbiamo portato oggi in piazza» ha ribadito uno dei portavoce nazionali, Filippo Sotgiu, dal corteo dei 30 mila a Roma. Il non voto in realtà è più una questione anagrafica che altro: buona parte di chi ha manifestato è ancora minorenne e non potrà votare. Alla domanda «ma vi sentite rappresentati da qualcuno? Sapreste chi votare?» le risposte variavano tra «no, non mi rappresenta nessuno» e «se votassi sceglierei il meno peggio ma farei fatica a trovarlo». Tra i più grandicelli è limpida, quasi antropologica, l’opposizione alla destra, ma sui temi concreti anche ai partiti della cosiddetta agenda Draghi. Chi guarda agli altri partiti lo fa più per necessità che per convinzione. Il mosaico che si ricompone a fine giornata è di una generazione distante anni luce dai salotti politici del blablabla, come dice qualcuno citando le parole di un anno fa della fondatrice di Fridays For Future Greta Thunberg in piazza a Milano per la pre-Cop 26.
UN PO’ DI SFOTTÒ li riceve anche il sindaco di Milano Beppe Sala che negli ultimi mesi con gli ambientalisti non ne azzecca una e anche ieri è riuscito a scentrare il commento alla manifestazione: «Andate a votare così poi potrete lamentarvi». Risposta lapidaria di una delle attiviste milanesi: «Grazie del consiglio sindaco, ora però torna a lavorare e rispondi coi fatti a quello che ti chiediamo».
AMBIENTE E CRISI climatica, transizione ecologica tradita, ma non solo. In molte città gli studenti hanno ricordato i loro coetanei morti in fabbrica durante le ore di alternanza scuola-lavoro. A Milano davanti ad Assolombarda, la sede degli industriali, si sono seduti a terra per un minuto di silenzio con in mano decine di cartelli rossi con scritto in bianco i nomi di Giuliano, Lorenzo e Giuseppe, i tre studenti morti negli stage legati all’alternanza in questo 2022.
«NON POSSONO MORIRE anche gli studenti di lavoro» hanno poi urlato agli industriali. A terra una scritta: «Contro un sistema colpevole». A Torino lo striscione d’apertura era per i morti sul lavoro: «Difendiamo il nostro futuro, basta stragi». A Trieste con gli studenti hanno sfilato anche gli operai della Wärtsilä, ad Ancona su diversi cartelli le scritte «Non si può morire a 18 anni lavorando gratis; sono tutti responsabili della morte di Giuliano, Lorenzo, Giuseppe; «No alla scuola di padroni e Confindustria». Davanti alla sede della Regione Marche gli studenti hanno lasciato dei sacchi pieni di fango a ricordo della strage nella recente alluvione e delle responsabilità della politica.
DIRITTI AMBIENTALI, del lavoro, sociali, civili. Quando si dice «un movimento intersezionale». A Milano hanno parlato ragazze femministe e di seconda generazione, che hanno preso parola per chiedere cittadinanza: «Perché non possiamo essere italiani anche noi che siamo cresciuti in questo paese?» hanno chiesto. «Perché dobbiamo essere marchiati come diversi?». Sui cartelli autoprodotti spazio all’ironia: « Meloni li voglio solo nella macedonia» oppure «Non sciogliamo i due poli, sciogliamo il terzo polo» o ancora «Il Titanic nel 2022 non avrebbe avuto problemi».
SE QUALCUNO PENSAVA che due anni di restrizioni Covid avrebbero ucciso il movimento dovrà ricredersi. Certo, i numeri delle piazze del 2019 sono un ricordo lontano, ma quello che emerge dalle mobilitazioni di ieri è che questa generazione non parla solo di ambiente, è una generazione che tiene unito quello che i partiti dividono.
Commenta (0 Commenti)A due giorni dalle politiche in Italia, il 23 settembre i giovani di Fridays for Future manifestano in 70 piazze del nostro Paese e 540 città in tutto il mondo, per chiedere alla politica azioni concrete per fermare il riscaldamento globale, tema ignorato in campagna elettorale
Scendono di nuovo in piazza oggi, venerdì 23 settembre, con cortei in oltre 70 città italiane e in 540 centri in tutto il mondo, i giovani di Fridays For Future per lo sciopero globale per il clima, che chiede alla politica azioni concrete per fermare il riscaldamento del Pianeta. E lo fanno proponendo un’agenda ricca di idee, cose da fare nell’immediato che avrebbero un impatto positivo nell’affrontare la crisi climatica e sociale.
Da noi la manifestazione, che ha al centro lo slogan People not Profit nella convinzione che è necessario dare priorità alle persone e non ai profitti, ha un significato in più: si tiene a due giorni dalle elezioni e vuole riportare l’attenzione su un tema fondamentale per la sopravvivenza della vita sulla Terra, la cui rilevanza è marginale nell’agenda politica nazionale e internazionale.
La Cgil aderisce e sostiene la mobilitazione a livello nazionale e territoriale, per la giustizia climatica e sociale, la pace, la piena e buona occupazione, la Fiom partecipa alle iniziative in diverse città, la Flc, categoria dell’istruzione, dell’università, della ricerca, ha indetto una giornata di sciopero: