Il 21 settembre di ogni anno ricorre la giornata internazionale della Pace, quest'anno l'appello per fermare i conflitti è ancora più urgente visto l'imperversare della guerra in Ucraina. Ma i luoghi di scontro armato sono quasi 60 in tutto il mondo e oltre 300 le aree di crisi cronica mentre le spese per le armi e militari continuano ad aumentare ovunque
L' Assemblea delle Nazioni Unite istituì nel 1981 la giornata internazionale della Pace che successivamente venne fissata per il 21 settembre di ogni anno. Nel 2001 gli Stati membri votarono una risoluzione affinché in quella giornata vi fosse il cessate il fuoco su tutto il pianeta. Che si fermassero le armi di tutti i conflitti almeno nel giorno della pace. Un giorno che durasse per sempre.
Purtroppo, l’appello non ha messo a tacere le armi ma è sempre più urgente ricordarlo e rilanciarlo visto che la produzione e il commercio di armi, la spesa militare e le guerre godono di ottima salute. Chi sta male, invece, sono le popolazioni e il pianeta.
L’industria mondiale di armi, dal 2010 al 2020, ha prodotto un fatturato pari a 5.000 miliardi di dollari, con un trend di continua crescita
dal 2015 a oggi. La spesa militare degli Stati ha superato il tetto dei 2.000 miliardi di dollari nel 2021 e, come noto, gli Stati affiliati alla Nato aumenteranno la loro spesa militare al 2% del Pil. Non deve stupire, quindi, che le guerre si consolidano e aumentano: 59 sono i conflitti armati chiamati “guerre” e più di 300 sono i conflitti armati cosiddetti “crisi croniche o escalation violente minori”. L’Agenzia Onu per i Rifugiati informa che nel 2020 abbiamo superato la soglia dei 100 milioni di persone che fuggono da guerre, violazioni di diritti umani, persecuzioni e dittature. Sono oltre 230 milioni le persone che necessitano assistenza umanitaria, un aumento del 40% tra il 2020 e il 2021. Negli ultimi 12 mesi i morti vittime delle guerre sono stimati in circa 135.000 persone, quasi il 95% civili, secondo i dati dell’Acled.
Lo slogan scelto dalle Nazioni Unite per la giornata della pace 2022 suona come una provocazione agli stati membri: “Basta razzismi, costruiamo la pace”, in una fase storica dove riemergono idee, partiti e governi sovranisti che fanno del nazionalismo il brodo di coltura del razzismo, del rifiuto delle diversità, delle chiusure delle frontiere. Per non dimenticare l’ultima corsa al riarmo come risposta all’aggressione russa in Ucraina.
Un contesto che ha portato il Segretario generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres, a dichiarare pochi giorni fa che “l’Assemblea Generale si riunisce in un momento di grande pericolo. (...) Le divisioni geo-strategiche sono le più ampie dalla fine della guerra fredda.” E riferendosi all’attualità: “(...) in questo momento, le possibilità di un accordo di pace sono minime”.
Per la pace serve più Onu. Un' organizzazione delle Nazioni Unite dotata di maggiori strumenti e deleghe da parte degli stati membri, senza più il potere di veto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che di fatto toglie la possibilità di applicare il diritto, le convenzioni, i trattati e gli accordi internazionali nei casi di violazione o di conflitto tra stati, prevenendo le guerre o fermandole con proprie forze d'interposizione, siano esse militari o civili.
Fermare le guerre e far tacere le armi a partire da questo 21 settembre, dovrebbe essere l’impegno di tutti gli Stati e i governi che si riconoscono nella carta costituente delle Nazioni Unite, perché se si assume che “le possibilità di pace sono minime” non resta che la guerra. E la guerra è la sconfitta della società che chi ci ha preceduto ha costruito dalle macerie della guerra.
Più Onu e più investimenti per la pace a partire dalla convocazione di una conferenza internazionale per la pace sotto l’egida dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Gli Stati debbono scegliere: ridurre le spese militari e aumentare l’investimento per la pace. La sola riduzione del 2% delle spese militari a livello globale produrrebbe l’aumento di 72 miliardi di dollari da investire per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Il rischio è la guerra, l’opportunità è la pace.
* Sergio Bassoli, area politiche europee e internazionali Cgil nazionale