In un’intervista al quotidiano Avvenire, il segretario generale della Cgil chiede all’Europa un ruolo più centrale per fermare la guerra. Ad un anno dall’invasione russa, si torna in piazza contro le bombe.
"L'Europa ritrovi il suo ruolo: è preoccupante che la Ue pensi solo a quante armi fornire, anziché promuovere negoziati per il cessate il fuoco. Siamo mobilitati; con tantissime associazioni laiche e cattoliche, per cancellare la guerra e costruire una società più giusta”. In una lunga intervista al quotidiano Avvenire, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, torna a parlare del conflitto in corso in Ucraina a quasi un anno dall’invasione russa.
Landini ribadisce la posizione del suo sindacato: “Mai stati equidistanti, siamo contro chi ha scatenato il conflitto. Ma il modo migliore di stare accanto agli ucraini è sforzarsi per creare le condizioni per cui possano vivere in pace e far crescere il loro Paese”. E spiega le motivazioni dell'adesione alla marcia PerugiAssisi e l'impegno del sindacato assieme al movimento pacifista: “Era l'impegno che avevamo assunto nella manifestazione di piazza San Giovanni: continuare a mobilitarci fin quando non si fosse arrivati a un cessate il fuoco per avviare negoziati di pace. La nostra mobilitazione sta diventando importante: il 24 alla PerugiAssisi e il 25 febbraio a Roma e poi saranno coinvolti in Italia quasi un centinaio di province e territori e anche all'estero si stanno tenendo manifestazioni e iniziative in molte città d'Europa”.
Per la Cgil l’obiettivo resta uno: “Rendere evidente la necessità di affermare la pace, di superare la guerra e creare le condizioni affinché si crei una società più giusta che non sia fondata sullo sfruttamento delle persone e sull'aumento delle diseguaglianze”. Per Landini la lotta per la pace contro la guerra, mai come oggi, “è
Leggi tutto: Landini: «Ogni sforzo per arrivare alla pace»
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. Il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense, generale Mark Milley ha ribadito che, a un anno dall’invasione russa, non c’è soluzione militare al conflitto in Ucraina
E tre. Nell’arco di poco più di tre mesi e per tre volte, il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense, generale Mark Milley ha ribadito che, a un anno dall’invasione russa, non c’è soluzione militare al conflitto in Ucraina.
Aveva cominciato a novembre 2022, quando aveva per la prima volta dato i numeri attendibili dei morti «duecentomila, e in egual misura da una parte e dall’altra, russi e ucraini», poi a conclusione del primo vertice di Ramstein il 25 gennaio, e ora in questi giorni lo ha ripetuto in un’intervista al Financial Times. Pragmatico e prudente sull’andamento del conflitto e credibilmente più consapevole della reale situazione sul campo di tanti «esperti» che affollano gli scranni tv partecipando, da lontano, alle battaglie, Mark Milley insiste: «Né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra che, invece, può solo concludersi ad un tavolo negoziale», perché «se è praticamente impossibile» che la Russia conquisti l’Ucraina, cosa che «non succederà», resta «pure estremamente difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Mosca dalle loro terre», e il crollo dell’esercito russo è improbabile, viste le massicce, nuove forze impegnate dal Cremlino per l’attesa offensiva. Della quale si avvertono: terrore dei civili, sferragliare di armi, sorvoli intercettati, sottomarini segnalati, ombre ai confini del «limite noto»: la minaccia nucleare avvertita dalle sconsolate parole del segretario Onu Guterres.
Mentre è arduo sospettare che il comandante in capo delle forze armate Usa sia un «putiniano», ci si chiede: ma chi glielo fa fare al generale Mark Milley di insistere? Credibilmente, almeno per due motivi. Il primo, non scontato, è di
Leggi tutto: «Generale dietro la collina…» - di Tommaso Di Francesco
Commenta (0 Commenti)CONGRESSI CGIL. All'assise della sua Fiom, un discorso inedito: «Serve un nuovo modello sociale, come dice il papa, la sinistra non l’ha mai perseguito, serve essere veramente confederali, le categorie categorie vanno superate»
Maurizio Landini parla al congresso della Fiom di Padova
Torna a casa, Maurizio Landini. Dal congresso della sua Fiom a Padova, il segretario generale della Cgil tiene un discorso a cuore aperto, molto più dei tanti tenuti nei vari congressi di categoria in corso in queste settimane.
Un Landini visibilmente teso e preoccupato per «una crisi della democrazia mai vissuta dalla nostra generazione» propone ai suoi metalmeccanici «di cambiare noi per primi, con più confederalità», «di aver coraggio e osare». Allargando «la marcia della dignità» con associazioni e movimenti lanciata giovedì da Michele De Palma , Landini difende la scelta di allearsi con papa Francesco – «come noi vuole cambiare il modello di sviluppo» – e i cattolici per mettere in discussione «il fordismo e il capitalismo», come «non ha mai fatto la sinistra con socialismo, comunismo e socialdemocrazia, e per questo è in crisi». E Giorgia Meloni che «sfrutta la crisi della democrazia» per «cambiare la costituzione», avendo «i numeri per farlo».
La disamina della situazione è cruda e mette in discussione lo stesso sindacato: «Domenica a Roma in alcuni municipi ha votato il 27%. Chi è che si astiene? Sono soprattutto le persone che stanno peggio, quelle che vogliamo rappresentate. Quelle stesse persone pensano che non serve a nulla scioperare». Dunque per Landini «la crisi della democrazia riguarda anche noi».
La risposta passa per una sola strada: «Noi abbiamo bisogno più di prima di praticare la democrazia: mettere nelle condizioni le persone di poter partecipare e decidere come
Commenta (0 Commenti)DAL FRONTE. Siamo due reporter freelance che dal 2014 seguono il conflitto in Ucraina. Il 6 febbraio, ovvero ormai dieci giorni fa, mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo […]
Andrea Sceresini e Alfredo Bosco
Siamo due reporter freelance che dal 2014 seguono il conflitto in Ucraina.
Il 6 febbraio, ovvero ormai dieci giorni fa, mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo realizzato un reportage per Rai3, il ministero della Difesa ucraino ci ha notificato la sospensione degli accrediti giornalistici.
«Da dieci giorni aspettiamo un interrogatorio del Sbu, i Servizi di Kyiv e ci è stato tolto l’accredito. E circola la voce, pericolosa in piena guerra, che saremmo “collaboratori del nemico”»
La sospensione degli accrediti – che ci erano stati regolarmente rilasciati nel marzo 2022 – comporta l’impossibilità di muoversi liberamente nel Paese, specie nelle zone vicino al fronte, e il rischio concreto di essere arrestati al primo posto di blocco. Di fatto, questo provvedimento ci ha messo nella totale impossibilità di lavorare e ha posto seriamente a rischio la nostra incolumità.
Nessuno ci ha comunicato le ragioni del provvedimento (entrambi siamo accorsi in Ucraina il 24 febbraio 2022 per raccontare le conseguenze dell’invasione russa, Bosco è stato probabilmente il reporter italiano che ha trascorso più tempo in Ucraina dal 24 febbraio, Sceresini ha da poco realizzato un reportage undercover in Siberia per raccontare il malcontento della popolazione russa e le molte diserzioni che si stanno verificando – il documentario è andato in onda in prima serata su Rai2 ed è visibile qui:
Da un anno i nostri servizi dall’Ucraina vengono pubblicati da Rai, LA7, Mediaset, il manifesto, la tv tedesca Rtl, l’Espresso, il Fatto Quotidiano, le Figaro Magazine, la Croix, eccetera).
Tuttavia, le voci che si sono sparse tra i fixer ucraini che lavorano nel Donbass – e di cui abbiamo prova scritta – ci indicano come «collaboratori del nemico» – un’accusa che in zona di guerra può avere conseguenze molto serie.
L’unica notizia ufficiale che ci è giunta, nonostante i molti solleciti effettuati anche tramite la nostra ambasciata, riguarda un ipotetico «interrogatorio» al quale dovremmo sottoporci, e che dovrebbe essere eseguito dagli uomini dell’Sbu, il
Commenta (0 Commenti)Più di 70 morti in un naufragio al largo della Libia. Altri 70 sulla rotta spagnola. È sempre più un viaggio senza speranza quello dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa. Intanto in Italia il primo sì della Camera al decreto che ostacola i salvataggi delle Ong
IL TESTO ATTESO AL SENATO PER L'APPROVAZIONE DEFINITIVA. 187 voti a favore, 139 contrari e 3 astenuti. Le opposizioni: «Decreto naufragi»
Tutto come previsto. Il decreto Piantedosi, che renderà più difficile il lavoro delle ong impegnate a salvare i migranti nel Mediterraneo, ha fatto il primo passo verso la sua trasformazione in legge. Con 187 voti a favore, 139 contrari e 3 astenuti la Camera ha licenziato ieri il testo che passa adesso al Senato per il via libera definitivo, che dovrà avvenire entro il 3 marzo prossimo. Inutili gli appelli a un ripensamento rivolti al parlamento dalle organizzazioni umanitarie, che anche ieri hanno denunciato come le nuove norme rischiano di avere «effetti mortali» sulle persone in fuga lungo quella che è considerata una delle rotte più pericolose al mondo. Inutile anche il richiamo del Consiglio d’Europa che per gli stessi motivi nelle scorse settimane all’esecutivo aveva chiesto di ritirare o almeno modificare il testo. Niente da fare.
Inascoltato di fatto in Europa per quanto riguarda l’immigrazione, il governo ha fatto del decreto ong una bandiera alla quale a tutti i costi non intende rinunciare, un risultato
Leggi tutto: Via libera della Camera alle norme anti ong
Commenta (0 Commenti)Il centrodestra di governo vittorioso in 5 mesi ha smarrito 1,4 milioni di voti. Ma il grande partito dell’astensione ha colpito un centrosinistra diviso e in cerca di futuro. Il Pd aspetta le primarie, i 5S smarriti nei territori, il Terzo polo con Calenda incolpa gli elettori
Non è uno scherzo. Per l’astensione ha smarrito 1,4 milioni di voti in cinque mesi. Ma gli altri (poco) di più. In Lombardia hanno votato due milioni di elettori in meno rispetto alle politiche. Nel Lazio un milione. Non sono turni omogenei, ma insieme hanno scritto il racconto di un’avanzata. Che i numeri smentiscono
Elezioni in Lombardia - LaPresse
Ma quanto ha vinto la destra nelle regionali di domenica e lunedì scorso? I dati assoluti, i voti veri, offrono la risposta che le percentuali nascondono. Perché quando la gara si fa su una base così ridotta dalle astensioni è una gara falsata. Valida, naturalmente, per assegnare vittorie e incarichi. Perché chi non partecipa e, nel caso delle liste, chi non riesce a motivare alla partecipazione, perde sempre. Molto meno valida però per valutare il peso reale delle forze in campo. Nei numeri assoluti il dominio della destra di cui parlano le percentuali dei candidati presidenti e dei partiti non si vede. Anche se questa non può essere una consolazione per l’opposizione che ha abbandonato il campo.
Prendiamo come riferimento i voti degli elettori residenti in Lombardia e nel Lazio alle elezioni politiche del 25 settembre scorso. Con l’avvertenza che naturalmente non si tratta di elezioni omogenee, le regionali hanno tradizioni e motivazioni diverse dal voto per il parlamento. Ma sono elezioni troppo vicine nel tempo per non essere considerate un punto di riferimento. Fanno parte della stessa narrazione, quella del risveglio della destra. La narrazione che i numeri veri mettono in
Leggi tutto: Quanto ha perso la destra - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)