CONGRESSI CGIL. All'assise della sua Fiom, un discorso inedito: «Serve un nuovo modello sociale, come dice il papa, la sinistra non l’ha mai perseguito, serve essere veramente confederali, le categorie categorie vanno superate»
Maurizio Landini parla al congresso della Fiom di Padova
Torna a casa, Maurizio Landini. Dal congresso della sua Fiom a Padova, il segretario generale della Cgil tiene un discorso a cuore aperto, molto più dei tanti tenuti nei vari congressi di categoria in corso in queste settimane.
Un Landini visibilmente teso e preoccupato per «una crisi della democrazia mai vissuta dalla nostra generazione» propone ai suoi metalmeccanici «di cambiare noi per primi, con più confederalità», «di aver coraggio e osare». Allargando «la marcia della dignità» con associazioni e movimenti lanciata giovedì da Michele De Palma , Landini difende la scelta di allearsi con papa Francesco – «come noi vuole cambiare il modello di sviluppo» – e i cattolici per mettere in discussione «il fordismo e il capitalismo», come «non ha mai fatto la sinistra con socialismo, comunismo e socialdemocrazia, e per questo è in crisi». E Giorgia Meloni che «sfrutta la crisi della democrazia» per «cambiare la costituzione», avendo «i numeri per farlo».
La disamina della situazione è cruda e mette in discussione lo stesso sindacato: «Domenica a Roma in alcuni municipi ha votato il 27%. Chi è che si astiene? Sono soprattutto le persone che stanno peggio, quelle che vogliamo rappresentate. Quelle stesse persone pensano che non serve a nulla scioperare». Dunque per Landini «la crisi della democrazia riguarda anche noi».
La risposta passa per una sola strada: «Noi abbiamo bisogno più di prima di praticare la democrazia: mettere nelle condizioni le persone di poter partecipare e decidere come
migliorare la loro esistenza».
L’insegnamento viene dalla storia. «L’abbiamo vissuto insieme: – dice riferendosi alla battaglia della Fiom contro Marchionne – se si è potuto reggere è per il rapporto con i lavoratori».
Il governo Meloni «sfrutta questa crisi della democrazia» per cambiare la costituzione. «Ho fatto due incontri con Meloni – racconta Landini con il suo solito gergo colloquiale – Lei dice: “Situazione più difficile dal dopoguerra a oggi, serve un confronto” ma anche subiro ha specificato che ” il governo durerà 5 anni”. È vero, può piacere o non piacere, ma i numeri ce li ha. Meloni ci dice: “Voi dite anche cose giuste però voi rappresentati degli interessi particolari mentre io governo, devo rappresentare l’interessi generale”. Capite? – urla Landini – Il governo vuole mettere in discussione il ruolo di sindacato generale di Cgil, Cisl e Uil, non abbiamo il diritto di rappresentare tutto. Così si uccide qualsiasi rappresentanza sociale e si mette in discussione la democrazia. Chi ha vinto le elezioni pensa di poter fare quello che vuole senza confrontarsi. In più convocando tutti si tenta di costruire un consenso di alcuni».
La sfida di Meloni ha anche un’altra faccia: «Ho contestato radicalmente la Flat tax – continua Landini – . Di fronte all’obiezione che si andava a ridurre le tasse a pochi tramite chi le tasse le paga, Meloni ha risposto: “Ma i dipendenti hanno le imprese che pagano i contributi e i diritti”. Ho risposto che noi chiediamo che i diritti siano per tutti e che maternità, ferie, costano molto di più dello sconto alle partite Iva. Ma è vero che noi sindacalmente non riusciamo a tutelare le partite Iva così come i precari. Serve dare gli stessi diritti a tutti i lavoratori: scioperare per un contratto unico».
E qui si passa alle richieste al suo sindacato, a partire dalla Fiom, impaurita per la prospettiva di un «sindacato dell’industria assieme alla Filctem», ripresa da De Palma: «Non so come finirà questo processo ma è indispensabile essere veramente confederali, far parlare tutti i lavoratori, mischiarli, le categorie come le conosciamo non rappresentano più il mondo del lavoro degli appalti e delle filiere», spiega Landini.
Che quindi ambisce alla «costruzione di un blocco sociale nuovo». «Questo è il cuore della questione. La crisi democratica è figlia della crisi sociale, alle politiche della precarietà, fatte da tutti i i governi e quelli di sinistra.
Serve un altro modello, oggi è necessario di poter discutere di perché lo faccio, le persone devono partercipare alla definizione del modello. Rimettere al centro il lavoro significa rimettere al centro le persone per un nuovo modello di democrazia e di sviluppo: serve un pensiero diffuso per battere questa destra. È una partita che non prevede pareggio, ma non dobbiamo avere paura, come non l’avemmo con la Fiat», conclude fra gli applausi. Di chi, come lui, è metalmeccanico