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POLITICA. Il commento della direttrice del manifesto alla luce dell'esito delle elezioni comunali
Non c’era davvero bisogno di aspettare la serata per capire il doppio segno politico di questa parziale ma significativa tornata elettorale amministrativa. A cominciare dall’aumento dell’astensionismo che fa scendere l’affluenza sotto il 60% riducendo così ancora di circa due punti la partecipazione. Il secondo vistoso elemento del voto arriva invece dal confronto tra la compattezza di un centrodestra che marcia unito tanto quanto il centrosinistra arranca verso i ballottaggi o retrocede diviso verso la sconfitta. Ed è davvero poco il tempo perché alla segretaria del Pd riuscisse di invertire la tendenza al contrario di una destra che ha dissodato il terreno profondamente.
Nella maggior parte dei 13 capoluoghi, i partiti di opposizione hanno deciso di replicare il tafazziano schema del famigerato 25 settembre delle elezioni politiche: correre divisi alla meta, per lasciare tranquilla la falange del centrodestra giunta senza divisioni all’appuntamento, con qualche eccezione a conferma della regola (come a Massa). I due comuni che ben rispecchiano, con modalità diverse, lo sconfittismo del centrosinistra sono Ancona e Pisa.
Dopo aver consegnato la Regione ai fratelli di Meloni, il centrosinistra ha lavorato per provare a perdere anche il capoluogo, capace di resistere agli assedi della sua lunga storia, ma indifeso di fronte al masochismo della sinistra. I candidati sindaci di Ancona erano 6: uno di destra e 5 ben divisi a sinistra tra Pd, 5Stelle, 2 liste civiche, verdi. L’ultima speranza è strappare il ballottaggio. Forte l’istinto a privilegiare le spinte divisive su quelle unitarie anche a Pisa dove pure Pd e 5Stelle hanno fatto fronte comune, ma non sufficiente a strappare la città ai meloniani perché l’ala sinistra dell’opposizione ha trovato nel congruo, meritato pacchetto di voti dell’attivista Ciccio Auletta la crepa perché la torre continuasse a pendere verso destra.
Perseverare nel tirare ciascuno l’acqua al proprio mulino produce poca farina, che sempre meno elettori sono disposti a comprare per impastare il cambiamento
Commenta (0 Commenti)Il presidente in carica rivendica di essere in testa e, dunque, di uscire vincitore il 28 maggio dal secondo turno. Per parte sua, invece, Kemal Kilicdaroglu è convinto che al ballottaggio prevarrà sul Sultano. A spoglio quasi ultimato, dopo lo scrutinio del 99,37% delle schede, il presidente del Consiglio elettorale turco Ahmet Yener ha dichiarato che Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto il 49,4% nelle elezioni di ieri in Turchia, secondo i dati forniti come riporta la tv di Stato Trt, facendo sapere che il principale candidato dei partiti di opposizione Kilicdaroglu ha ottenuto il 44,96% delle preferenze, Sinan Ogan il 5,2% e Muharrem Ince lo 0,44% dei consensi. Intanto, all’indomani del voto, la Borsa di Istanbul ha aperto in netto calo, con l’indice Bist che cede il 6,6% a 4.502 punti.
È la prima volta in vent’anni, da quando è al potere in Turchia, che il capo dello Stato è costretto a un ballottaggio, previsto per il 28 maggio contro
GUERRA UCRAINA. Oggi il presidente ucraino potrebbe far visita a Bergoglio. Ma sul negoziato la Russia tace. Visita lampo a Roma, incontri previsti anche con la premier Meloni e il presidente Mattarella
Papa Francesco in Vaticano con una bandiera ucraina arrivata da Bucha - Ap/Alessandra Tarantino
Zelensky è atteso oggi a Roma per una visita lampo durante la quale vedrà il presidente della Repubblica Mattarella e molto probabilmente anche papa Francesco e la premier Meloni.
I dettagli non sono ancora noti, manca anche qualche conferma ufficiale, ma tutti gli indizi indicano che il presidente ucraino si recherà prima in Vaticano per essere ricevuto dal pontefice, poi al Quirinale e infine a palazzo Chigi.
DEI TRE APPUNTAMENTI quello con il papa è il più importante, anche alla luce delle indiscrezioni delle scorse settimane sulla missione diplomatica condotta dalla Santa sede: annunciata da Bergoglio nel volo che il 30 aprile lo riportava a Roma da Budapest, subito smentita da Kiev prima e da Mosca poi, infine confermata dal cardinale segretario di Stato Parolin, che ancora mercoledì scorso, a margine di un convegno alla Pontificia università lateranense su don Milani, ribadiva che «ci sono novità riservate» e che quindi la missione «andrà avanti».
Rispetto all’incontro di oggi, da Mosca minimizzano: non è legato alla «missione di pace» di cui ha parlato il pontefice nei giorni scorsi – scrive l’agenzia ufficiale russa Tass, citando «una fonte vaticana» –, Zelensky avrebbe fatto richiesta «solo alcuni giorni fa» di essere ricevuto da Bergoglio durante la sua visita a Roma e la richiesta è stata accolta.
L’agenda di papa Francesco per oggi è stata lasciata libera da impegni, proprio per consentire di accogliere in Vaticano il presidente ucraino in qualsiasi momento della giornata.
SI TRATTEREBBE del secondo faccia a faccia tra i due, dopo
Leggi tutto: Aspettando Zelenksy (e Mosca). Il papa lavora alla pace vaticana - di Luca Kocci
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le cause di questo disastro sono molte e diverse.... ma a proposito di pulizia degli alvei e degli argini alleghiamo una considerazione, ricevuta tra le tante che circolano:
Buongiorno, le considerazioni dell'amico Maurizio Nieddu sono condivisibili per la regimazione dei canali, ma a mio parere non per i corsi d'acqua naturali quali sono i fiumi, tema che indubbiamente trova pareri discordanti da parte degli "esperti" sulla velocità dell'acqua da favorire con la pericolosità che comporta o da rallentare con la presenza ad esempio di vegetazione negli argini, che li rende anche più sicuri contro il rischio di rotture.....alla pag 16 delle Linee guida regionali per la riqualificazione integrata dei corsi d’acqua naturali
dell’Emilia-Romagna troviamo infatti quanto segue:
"Le associazioni vegetali ripariali, oltre a costituire un importante valore ecologico e fungere da agenti di una notevole attività di depurazione del- le acque, possono essere considerate come la più naturale delle difese idrauliche, efficaci per la limitazione dell’erosione e per il rallentamento della corrente nelle zone d’alveo non soggette ad invaso permanente.
Risulta quindi evidente la necessità di mantenere, al di fuori dell’alveo normalmente attivo, la vegetazione esistente, limitando gli abbattimenti agli esemplari di alto fusto morti, pericolanti, debolmente radicati, che potrebbero essere facilmente scalzati ed asportati in caso di piena."
LINEE GUIDA REGIONALI PER LA RIQUALIFICAZIONE INTEGRATA DEI CORSI D’ACQUA NATURALI DELL’EMILIA-ROMAGNA
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Dalla trappola delle consultazioni di governo esce lo spot di Meloni «Mandato del popolo per cambiare la Costituzione, gli altri divisi»
Dialogano, ma per dire una il contrario dell’altra. A sera l’ultima consultazione della presidente del Consiglio dura il doppio delle altre e uscendo dopo due ore la segretaria del Pd Elly Schlein racconta di aver alzato un muro davanti alle proposte di Giorgia Meloni. Le ha detto anche che la modifica della forma di governo «non è una priorità del paese» e che le cose più urgenti sono altre: sanità, lavoro, scuola, ambiente. Persino nel capitolo riforme bisognerebbe guardare altrove, cominciare con la riforma elettorale e finire con quella dei partiti, comunque niente elezione diretta.
L’ipotesi del suffragio universale sul premier è quella che ha ricevuto una maggiore apertura. Sulla bicamerale il dibattito è aperto
Né del presidente della Repubblica né del presidente del Consiglio, secondo la formula della «doppia busta» che Meloni continua a offrire alle opposizioni, solo perché così potrà dire di aver scelto quella che almeno un pezzo dell’opposizione ha accettato. Si tratta di Renzi e Calenda, naturalmente, che insistono con il «sindaco di Italia». Soluzione peggiore, perché otterrebbe il risultato opposto di quello che contrabbandano: metterebbe in mora il capo dello Stato e farebbe del parlamento l’ostaggio del premier. Altro che sfiducia costruttiva.
MA È PROPRIO LÌ che il circo delle riforme costituzionali messo su da Meloni con scenografia degna delle consultazioni quelle vere, per la formazione del governo, va a parare. E l’umore delle opposizioni – Renzi e Calenda esclusi – volge al brutto, prevale l’idea che Meloni non si fermerà, anche sapendo
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