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NATALE IN PURGATORIO

Si è parlato molto del Natale in questi ultimi giorni, con servizi televisivi in cui veri e propri eserciti della fede vomitavano odio su questa o quella persona al grido “NON CI TOGLIERETE LE NOSTRE TRADIZIONI, DIO #@%§!”.
Anche nei talk show non passa giorno in cui non ci siano personaggi che se ne escono con sparate al limite della legge Scelba additando il diverso come nemico della patria e dei “veri” principi fondamentali su cui si basa la “nostra” “inaffondabile” fede.
E, come molti di noi sanno, dove nascono questi battibecchi, il nero avvoltoio della politica suole abitualmente affondare i suoi lunghi e adunchi artigli.
Come il caso della scuola di Rozzano, in cui il preside è stato ben poco metaforicamente messo alla gogna (prima dai genitori di alcuni alunni e successivamente da ogni politico che fosse capitato nei paraggi o su un’emittente televisiva) distorcendo e riadattando una notizia, facendo passare il rifiuto alla richiesta di due mamme di insegnare canti cattolici durante l’orario della mensa, per la totale abolizione della festa del Natale in quella scuola.
Per alcuni giorni il paese è diventato l’anfiteatro della battaglia del Presepe, con certi pseudo-politicanti che regalavano statuine della greppia e proteste dai toni ingiuriosi davanti ai cancelli della scuola.
Nessuno si è neanche lontanamente posto il quesito se quel satanasso di preside volesse effettivamente abolire il Santo Natale, o se la notizia fosse stata oltremodo ingigantita; eppure, sempre nel pieno rispetto della morale cattolica, sui social network un mucchio di falsi leoni da tastiera non si sono fatti scrupoli ad augurare guai sciagure e disastri al preside nel nome del bambin Gesù.
Ma ora mettiamo da parte questo fuoco di paglia, forte quanto basta da infiammare gli animi, ma non da accendere i cervelli.
Le nostre tradizioni cattoliche natalizie...

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Dove ci sarebbe da riformare si sceglie di “deformare".
Il triste caso dell’elezione dei giudici della Corte Costituzionale.

Una premessa: lo spettacolo di questi giorni, il Parlamento in seduta comune che dopo 28 votazioni non riesce ancora ad eleggere tre giudici della Corte Costituzionale (ben 3, dovrebbe essere più facile in una logica spartitoria!), viene presentato come una dimostrazione dell’incapacità del Parlamento e porta acqua al mulino del discredito delle istituzioni parlamentari e della rappresentanza dei cittadini.
È invece l’ennesima dimostrazione dell’arroganza del Governo e del redivivo patto del Nazareno, cioè dell’abusiva (dato che deriva dal Porcellum dichiarato incostituzionale) maggioranza renziana + le truppe di Berlusconi sgangherate sì, ma sempre pronte al supporto in cambio di qualche elemosina di potere.

Vediamo un po’, la Costituzione richiede una maggioranza “qualificata” dei componenti dei 2/3 nei primi 2 scrutini e dei 3/5 nei successivi.
Insomma, ben consapevoli dei rischi di politicizzazione spinta dei membri di nomina parlamentare (gli altri 10 li nominano il PdR e la magistratura) i costituenti avevano richiesto un largo consenso parlamentare allo scopo, se non altro, di garantire un’equa distribuzione degli orientamenti politici o giurisprudenziali dei nuovi giudici. Poi, se il dissidio è profondo o il Parlamento molto frammentato si ripiega (i 3/5) su di un consenso più ridotto, ma sempre più ampio di una semplice maggioranza di governo. Pensate che quando la Costituzione (1948) e l’ultima legge costituzionale che regola la materia (1967) furono scritte vigeva ed era considerata scontata una legge elettorale pienamente proporzionale: insomma i 3/5 dei parlamentari volevano dire proprio circa i 3/5 degli lettori, che per parte loro, andavano a votare in massa alle politiche (affluenza di circa o più dell’80%.

E così, giusto per fare la parte degli arroganti, Renzi – Verdini – Berlusconi nemmeno li consultano quelli che in parlamento rappresentano più del 35% degli elettori e cercano di imporre una spartizione dei posti che gode dell’appoggio di misura dei 3/5 dei parlamentari.
C’è da stupirsi allora che non si riesca ad eleggerli? E di chi è la colpa? Tanto più se si presentano candidati che proprio asettici non sembrano: Paolo Sisto è parlamentare ed è stato relatore

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Ripristinare il diritto contro il caos

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, interpretando i sentimenti più profondi di tutti i suoi aderenti e del popolo italiano, condivide il dolore delle famiglie delle vittime ed esprime la propria vicinanza all’intero popolo francese per l’orribile strage ed il vile attacco alla democrazia francese, culla dei diritti dell’uomo.
I tragici fatti di Parigi, difficili persino da immaginare prima che accadessero, sono una dimostrazione eclatante della crisi dell’ordine pubblico internazionale e del fallimento delle politiche di potenza con cui, al termine della guerra fredda, le principali potenze occidentali hanno ritenuto di regolare le relazioni internazionali con la pretesa di sostituire la forza al diritto.
Dopo l’89 è stato sprecato il patrimonio di saggezza elaborato dalle nazioni che avevano sconfitto il nazismo e che puntava a creare un nuovo ordine internazionale in cui la pace era assicurata dal diritto.
L'umanità, nel corso della prima metà del secolo scorso, ha sperimentato con le due guerre mondiali, con Auschwitz, con Hiroshima, una vera e propria discesa agli inferi. Nel 1945 i leaders delle principali potenze alleate, per necessità storica, hanno deciso di chiudere la porta dell'inferno, sbarrandola con pesanti lastre di acciaio. Quelle lastre si chiamano ripudio della guerra, astensione dalla minaccia o dall'uso della forza nelle relazioni internazionali, eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, risoluzione pacifica delle controversie, cooperazione internazionale per lo sviluppo, rispetto del diritto internazionale, repressione di ogni violazione della pace, ricorrendo, come estrema ratio all’uso della forza attraverso una forza armata dell’ONU.
Il diritto internazionale, con le garanzie previste dalla Carta dell’ONU, costituiva il principale e più efficiente sistema di sicurezza collettivo. Il diritto dei diritti umani, fondato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e le Costituzioni democratiche del dopoguerra operavano per il rafforzamento ed il rilancio del diritto internazionale e, quindi, della sicurezza collettiva.
La Costituzione italiana, traendo insegnamento dai tragici fatti della storia, coerentemente con lo Statuto della Nazioni Unite, aveva ripudiato lo strumento della guerra ed impegnato l’Italia ad operare nelle relazioni internazionali per costruire la pace attraverso la giustizia nel rispetto del diritto internazionale.
A partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, il diritto internazionale è stato brutalmente calpestato ed è stato abrogato il sistema di sicurezza collettivo bastato sul diritto e sul ruolo di mediazione e di garanzia dell’ONU. Le nazioni che avevano in mano le chiavi della forza le hanno utilizzate per imporre i propri interessi nazionali al di fuori di ogni contesto di giustizia. In questo modo è stata avviato un percorso verso il caos, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo con la nascita ed il radicamento dell’Isis.
Gli eventi di questi giorni sono una tragica conferma che non vi può essere sicurezza collettiva senza diritto.
Occorre ripristinare i principi di pace e giustizia e le garanzie del diritto internazionale che si realizzano attraverso l’intervento dell’ONU, occorre ricostruire l’unità fra le nazioni che sconfissero il nazismo per ripristinare i principi ed i valori del diritto internazionale, a cominciare dall’inviolabilità delle frontiere e dal dovere di reprimere il genocidio, nel rispetto delle procedure e con le sanzioni previste dal diritto internazionale.

Domenico Gallo -  Alfiero Grandi

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Vis Politica
Nelle città-simbolo una sinistra diffusa lancia la sfida al Pd
 
di Michele Prospero 28 ottobre 2015 ore 19.16
 
L’obiettivo è acciuffare il ballottaggio o comunque rimescolare le carte, per graffiare Renzi e costringerlo a misurarsi con il senso della sconfitta. La scomparsa delle griglie coalizionali e dei simboli della competizione tra destra e sinistra
 
 
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Un impatto pari allo 0,3%. Que­sta sarebbe la forza espan­siva che il Cen­tro Studi di Con­fin­du­stria rico­no­sce alla legge di sta­bi­lità pre­sen­tata con ritardo dal governo Renzi. Dato e non con­cesso che la stima sia atten­di­bile, non è dav­vero un granché.

Tanto più che in Europa vi è grande ecci­ta­zione dopo l’annuncio di Dra­ghi che dichiara la Bce pronta a un nuovo Quan­ti­ta­tive Easing e addi­rit­tura ad una ridu­zione del tasso già nega­tivo dei depo­siti delle ban­che presso la Banca cen­trale euro­pea. Il tutto dovrebbe essere deciso nella riu­nione di dicem­bre, ma l’euforia è già scat­tata. Le Borse volano, spread sotto i 100, l’euro sci­vola in pochi minuti a 1,12 nei con­fronti del dollaro.

Illu­sioni, poi­ché gli effetti di una poli­tica mone­ta­ria espan­siva di per sé rica­dono essen­zial­mente sui mer­cati finan­ziari, men­tre l’economia reale resta debo­lis­sima. Anche negli Usa dove pure il Pil cre­sce con ben altri ritmi. Nello stesso tempo il Qe spinge i capi­tali verso i mer­cati azio­nari, con con­se­guente dila­ta­zione ulte­riore delle dise­gua­glianze sociali in ter­mini di red­dito. Ma tutto que­sto alle élite euro­pee poco importa. Conta per loro aggrap­parsi a Dra­ghi, novello Wolfe come nel cele­bre film di Taran­tino, che non aspetta, ma lavora e risolve i problemi.

La legge di sta­bi­lità di Renzi si con­ferma così stru­mento di con­senso elet­to­rale e insieme di for­ma­zione di un blocco di potere. Ma tra i post alti­so­nanti e il testo finale qual­cosa si è per­duto per strada. I punti gioco ven­gono ridotti a 15mila rispetto ai 22mila ini­ziali. La Tasi viene rein­tro­dotta su ville e castelli, non­ché sulle abi­ta­zioni signo­rili se si tratta di prima casa. Ma i pos­ses­sori dei 74mila immo­bili citati godranno comun­que di uno sconto non da poco: quasi mille euro in media, in virtù della ridu­zione della ali­quota mas­sima. Non si sa ancora in quante tran­che verrà pagato il canone Rai, ma resta la misura di accor­parlo alle bol­lette elettriche.

Curiosa misura anti­e­va­siva per un governo che invece ha ele­vato il con­tante da mille a tre­mila euro e che minac­cia di difen­dere la misura pro-evasione a colpi di voti di fiducia.

Ma il piatto forte delle ultime ore è stato lo scon­tro sulla sanità. Il fondo per il Ser­vi­zio sani­ta­rio nazio­nale (Ssn) verrà incre­men­tato di un miliardo di euro invece che di tre. Ma non si sa se quell’aumento com­pren­derà i nuovi Lea (livelli essen­ziali di assi­stenza) o no; se è già com­preso l’aumento con­trat­tuale per il per­so­nale medico o meno; che ne sarà dei far­maci inno­va­tivi. Incer­tezze non da poco, per­ché quel miliardo potrebbe risul­tare del tutto insuf­fi­ciente. In que­sto caso le Regioni dovreb­bero aumen­tare i tic­ket, già robu­sti e salati.

Prov­ve­di­mento quanto mai impo­po­lare, che aumen­te­rebbe la rinun­cia alla cura e alle pre­sta­zioni del ser­vi­zio sani­ta­rio pub­blico da parte di ampi strati della popo­la­zione dotati di minore red­dito, come già met­tono in rilievo diverse inda­gini e ricerche.

Ne è nato uno scon­tro tra il Governo e le Regioni, che si è mate­ria­liz­zato nelle dimis­sioni, irre­vo­ca­bili, ma per ora con­ge­late, di Ser­gio Chiam­pa­rino, il “gover­na­tore dei gover­na­tori”, ovvero il pre­si­dente della Con­fe­renza Stato-Regioni. I rap­porti si erano già ina­ci­diti a seguito delle dichia­ra­zioni della mini­stra della sanità Loren­zin, sulle pre­va­lenti respon­sa­bi­lità delle Regioni nella mala­sa­nità e quindi sul fal­li­mento del federalismo.

Ipo­cri­sia a palate, come si vede. Da un lato il governo si fa vanto della revi­sione della Costi­tu­zione che dote­rebbe il paese di un Senato delle auto­no­mie. Dall’altro, alla prima occa­sione, svela la vera natura accen­tra­trice e neo­cen­tra­li­stica di quella scia­gu­rata con­tro­ri­forma – che ci augu­riamo di can­cel­lare nel refe­ren­dum dell’anno pros­simo – riba­dendo la subor­di­na­zione delle Regioni. Il tutto men­tre la spesa sani­ta­ria ita­liana rimane a un livello infe­riore rispetto a molti paesi della Ue, mal­grado que­sta mano­vra finan­zia­ria. La stessa Corte dei Conti ha rico­no­sciuto al Ssn di avere con­tri­buito non poco al risa­na­mento dei conti pubblici.

Non è una novità. Suc­cede così da anni con il sistema pen­sio­ni­stico dei lavo­ra­tori dipen­denti. Ovvero i prin­ci­pali isti­tuti del wel­fare state sono finan­zia­tori dello Stato, più che essere finan­ziati dal mede­simo o quanto meno pro­ta­go­ni­sti di una ridu­zione del suo defi­cit. Poi­ché il ricamo della spen­ding review si è rive­lata un fal­li­mento e anche Perotti, il terzo della serie, è pro­cinto di get­tare la spu­gna, Renzi usa la scure.

Dimi­nu­zione di spesa sociale e dimi­nu­zione delle tasse per i ceti più abbienti sono dun­que le reali colonne della cosid­detta mano­vra espan­siva di Renzi. La rac­co­man­da­zione della Com­mis­sione euro­pea a pro­po­sito della neces­sità di dimi­nuire la pres­sione fiscale sulle imprese e sul lavoro può creare qual­che fri­zione, ma può essere aggi­rata dal fatto che comun­que agli impren­di­tori il governo ha già dato non poco con gli incen­tivi del Jobs Act. Renzi ha par­lato di un’opposizione a pre­scin­dere, rife­ren­dosi alla mino­ranza dem. Al con­tra­rio qui c’è un over­dose di mate­riale su cui opporsi e con­tro cui costruire un’alternativa. La stessa sini­stra dem dovrebbe trarne le debite con­se­guenze, anzi­ché acco­darsi al voto.

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LA VIA REFERENDARIA È INEVITABILE, NON TENTARLA VORREBBE DIRE CONSEGNARE A RENZI LA VITTORIA SENZA COMBATTERE

ATTACCO ALLA COSTITUZIONE: costruiamo il fronte del ‘no’

Non si tratta di difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, bensì di sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie: altrimenti ci troveremmo di fronte ad una mera sottrazione

■ di ALFIERO GRANDI

 

La maggioranza dei senatori sem­bra determinata ad approvare le modifiche della Costituzione in­curante dei danni che questa ma­nomissione degli equilibri istitu­zionali del nostro paese, insieme alla nuova legge elettorale, provocherà nel già malandato funzionamento della nostra democrazia.

Parto da un episodio minore accaduto pochi giorni fa. La Camera ha approvato quello che molti definiscono un tentativo di mettere un bavaglio alle intercettazioni e un limite alle indagini della magistratura. Non è un provvedimento di cui il governo possa andare fiero, tuttavia l’aspetto che mi interessa sottolineare è che il Ministro Orlando, per cercare di ammorbidire le dure critiche, provenienti soprattutto dalla magistratura, ha promesso che in seconda lettura il Senato potrà cambiarne alcuni aspetti. E’ un comportamento molto fre­quente. Governo e parlamento perfezio­nano spesso in seconda lettura testi altrimenti inaccettabili o quanto meno im­perfetti.

E’ uno dei modi in cui hanno funzio­nato le garanzie democratiche nel nostro paese: una prima lettura di massima delle leggi e il loro perfezionamento nella se­conda. In futuro le leggi verranno appro­vate senza la doppia lettura che resterà solo per casi rarissimi e fermo restando che la Camera potrà sempre confermare in con­clusione la sua versione della legge. Natu­ralmente si possono scegliere altri sistemi di garanzia e cercare un nuovo equilibrio, a partire dalla possibilità che fiducia e sfi­ducia verso il governo siano attribuite alla sola Camera dei deputati. Quindi la que­stione non è difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, ma sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie, altrimenti è una mera sottrazione. La manomissione della Costituzione che porta le firme di Renzi e Boschi non crea un nuovo equilibrio demo­cratico, basato su pesi e contrappesi, anzi prospetta una Camera sproporzionata ri­spetto al senato (630 contro 100) che, di­ventando di fatto l’unico organo di rappresentanza che dà la fiducia ­o la to­glie ­al governo, per di più viene eletta con un sistema ipermaggioritario che consegna al partito vincitore delle elezioni tutto il po­tere. Se poi il vincitore è anche in grado di decidere liste ed eletti grazie alla doppia veste di Presidente del Consiglio­ segretario del Pd il gioco è fatto: la Camera diventa totalmente subalterna al governo, ribal­tando i principi della nostra Costituzione. Inoltre il vincitore delle elezioni deciderà di fatto il Presidente della Repubblica e influenzerà pesantemente la composizione della Corte costituzionale e del Csm.

Alla fine di questo percorso decisionale il “capo” del governo diventerà l’unico vero decisore, senza possibilità di essere contraddetto, almeno non prima delle nuove elezioni. Per completare questo disegno autoritario ed accentratore viene modificato in profondità anche il titolo V che attribuisce poteri alle Regioni e ai Comuni. Per fare un esempio, le Regioni hanno promosso un referendum abrogativo della legge del governo che autorizza trivelle a gogò, ma in futuro con la nuova divisione dei poteri questo diventerà pressochè impossibile perché le Regioni perdono sostanziali poteri sul territorio. Inoltre la RenziBoschi, non appagata da questo accentramento, ha pensato bene di imporre tempi prefissati per l’approvazione dei provvedimenti del governo, norme che si aggiungono ai decreti legge che già la fanno da padrone nei lavori parlamentari. Così non solo la Camera sarà subalterna al governo per effetto del sistema elettorale ma dovrà lavorare con i tempi e le modalità decise dal governo.

Sorge un altro serio problema. La Corte costituzionale ha sanzionato pesantemente la legge elettorale (porcellum) con cui è stato eletto questo parlamento. E’ vero che gli atti decisionali adottati fino alla sentenza della Corte sono stati fatti salvi. Tuttavia in seguito alla sentenza della Corte un poco di prudenza nei comportamenti di questo parlamento non avrebbe guastato. Può un parlamento eletto con un premio di maggioranza sotto accusa decidere un nuovo premio di maggioranza che potrebbe perfino essere maggiore di quello del porcellum in caso di ballottaggio? Può modificare la Costituzione introducendo un premierato forte (anzi fortissimo)? Non dovrebbe ma lo sta facendo, dimenticando che modifiche della Costituzione così impegnative dovrebbero avvenire attraverso una rappresentanza effettiva quindi proporzionale delle posizioni politiche e culturali presenti nel paese. Senza dimenticare che queste modifiche contraddicono lo spirito della Costituzione vigente, nata dalla Resistenza.

E’ un fatto molto grave e serio quanto sta avvenendo e riguarda la democrazia del nostro paese. Purtroppo il Pd sembra non rendersi conto dei guasti che provocheranno queste decisioni. Purtroppo le speranze destate dall’opposizione a queste scelte da parte di esponenti del Pd oggi sembrano rientrate nella logica della prevalenza dell’accordo interno al partito, che su questioni come la Costituzione non dovrebbe prevalere. Si finge di non vedere l’esplicito soccorso al governo (Verdini e c.) a sostegno di queste modifiche da parte di settori del centro destra. La ragione è chiara, in fondo queste scelte del governo sono largamente ispirate ad una logica di accentramento del potere per far passare, piaccia o non piaccia, scelte politiche che hanno visto sempre più nel mirino i sindacati e hanno sposato il punto di vista delle imprese, imponendo sacrifici e rinunce ad alcuni e vezzeggiando altri. Le scelte autoritarie servono a questo. Se si vogliono dare soldi alle imprese occorre tagliare la spesa sociale e l’accentramento decisionale è l’unico modo per imporre le scelte, o almeno per provarci. Del resto nella scuola un grande e forte movimento unitario ha subito l’onta dell’approvazione di una legge che non voleva. Ora che può fare il mondo della scuola, se non vuole subire, se non opporsi con gli strumenti che restano a disposizione? Per questo occorre considerare seriamente il ricorso ai referendum per tentare di bloccare questo disegno di stabilizzazione moderata, di cui purtroppo il Pd di Renzi è protagonista.

Lo spiazzamento in questa situazione è determinato dal fatto che politiche moderate e conservatrici vengono sostenute da chi dovrebbe costituire parte importante del centro sinistra e il Pd sta subendo un’evidente e preoccupante deriva moderata.

Troppi pensano che i problemi del funzionamento istituzionale siano della casta. E’ un errore gravissimo, in parte effetto della propaganda dei gruppi dominanti che sperano in questo modo di allontanare ancora di più i cittadini dalla vita politica e da ogni velleità di partecipazione, in modo da lasciare campo libero alle tecnocrazie e alle classi dominanti del paese, secondo una linea che vuole definire chi governa e chi è governato, punto e basta.

Le forme della rappresentanza parlano della democrazia, delle forme di partecipazione, della vita delle persone. Lungo il sentiero immaginato da Renzi la governabilità è tutto, la partecipazione e la possibilità di contrastare scelte non condivise non ha alcuna importanza. Eppure i padri costituenti avevano immaginato una democrazia com plessa, con contrappesi, tale da favorire la partecipazione delle classi sociali, in particolare di quelle subalterne, alla vita politica e alle decisioni. Qui cambia tutto, l’astensione viene data per scontata, la partecipazione che serve è quella che consente di scegliere all’interno della classi dominanti chi deve governare e basta. Quindi l’astensionismo crescente non è visto come un problema, anzi peggio viene considerato costitutivo di una democrazia matura.

L’assetto istituzionale che Renzi disegna serve alla stabilizzazione dei poteri dominanti, quindi ritenere che sia un problema di altri vuol dire lasciare campo libero a questa manovra e subirne gli effetti futuri. Purtroppo il Pd si è ricompattato su queste scelte istituzionali. La minoranza ha accettato un terreno di compromesso che non ha risolto alcunché e di fatto si è consegnata alla maggioranza renziana. Non c’è affatto la certezza che i senatori verranno eletti dai cittadini perché il pasticcio linguistico dell’emendamento condiviso anche dalla minoranza del Pd non garantisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori perché questo potere è a mezzadria con i consigli regionali e rinviato ad una futura legge di cui nulla è dato sapere. Inoltre resta la sostanza di un Senato ridotto a dopolavoro, tranne che per l’immunità, con troppo pochi componenti rispetto alla Camera e con una drastica riduzione dei poteri. Non si tratta di difendere acriticamente il ruolo attuale del Senato quanto della pretesa di conoscere quali garanzie sostituiranno quelle esistenti, in corso di smantellamento. Questa risposta non c’è ed è per questo che al referendum confermativo sulle modifiche costituzionali occorre organizzare il no, sia per contrastare il tentativo di ottenere un plebiscito da parte di Renzi sia per inserire il no nel contesto di un contrasto del disegno renziano, che non comprende solo le modifiche costituzionali. Questo referendum obbligherà tutti a scegliere e non impegnarsi in questa battaglia sarebbe un errore storico. Quindi occorre mettere in discussione insieme le modifiche che stravolgono la Costituzione attuale che la legge elettorale promuovendo referendum abrogativi e, se possibile, mettendo in discussione alcuni dei provvedimenti più odiosi come la legge sulla scuola e il jobs act, la legge che autorizza trivellazioni in barba alla difesa dell’ambiente.

La via referendaria è a questo punto inevitabile, non tentarla vorrebbe dire consegnare a Renzi la vittoria senza nemmeno combattere. Sulle modifiche della Costituzione il referendum ci sarà perché difficilmente, malgrado tutto, il governo otterrà i 2/3 dei voti necessari per evitarlo. Sulla legge elettorale e su altri argomenti di grande peso sociale perché è necessario che i cittadini italiani sappiano cosa accadrà per effetto della combinazione di queste leggi con le modifiche costituzionali. La modifica dei meccanismi decisionali trova infatti delle illuminanti anticipazioni in leggi che sono un’autentica forzatura della Costituzione vigente e un’anticipazione di quello che verrà, se le modifiche andranno in porto. C’è stato un tentativo di anticipare i tempi dei referendum che non ha avuto il consenso necessario. Per condurre questa sfida occorre costruire uno schieramento ampio e unitario, perché la raccolta delle firme per arrivare ai referendum che pure è impegnativa è solo il problema iniziale in quanto i referendum si promuovono per vincerli, non per fare testimonianza e quindi occorre convincere la maggioranza degli elettori che vale la pena di andare a votare, cosa non facile di questi tempi. Fin dall’inizio occorre cercare di costruire un fronte largo, unitario ed includente con l’obiettivo di convincere a votare almeno il 50% più uno degli elettori. Se i referendum vincessero arriverebbe al governo un segnale forte che ne bloccherebbe la deriva moderata. La vera questione e’ se i referendum riusciranno a diventare occasione per ridare fiducia e per promuovere una mobilitazione di massa, del resto questo e’ il carattere proprio dei referendum.

Naturalmente sarebbe importante avere anche in contemporanea lo sviluppo di una parte più costruttiva, di proposte, come la presentazione connessa alla campagna referendaria di leggi di iniziativa popolare sugli argomenti più importanti.

La proposta avanzata dal coordinamento per la democrazia costituzionale che si occupa in particolare di modifiche costituzionali e legge elettorale è di costruire per la prossima primavera una campagna per il ‘no’ al referendum sulle modifiche della Costituzione e per abrogare 2 aspetti fondamentali della legge elettorale. Anzitutto per togliere il premio di maggioranza al primo e al secondo turno e poi per ridare ai cittadini il diritto di scegliere i deputati che di fatto verranno nominati anche in futuro dai capi partito. Se a questi impegni si aggiungeranno altri obiettivi, come la promozione di referendum su lavoro e scuola, si profilerà una campagna referendaria importante e in questo ambito non va dimenticato che su proposta di un movimento Notriv e per il ricorso di 10 regioni nella prossima primavera potrebbe esserci un fronte sufficientemente ampio da costringere il governo per la prima volta a rivedere le sue scelte di merito e questo non potrebbe che essere positivo. ■

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