Un impatto pari allo 0,3%. Questa sarebbe la forza espansiva che il Centro Studi di Confindustria riconosce alla legge di stabilità presentata con ritardo dal governo Renzi. Dato e non concesso che la stima sia attendibile, non è davvero un granché.
Tanto più che in Europa vi è grande eccitazione dopo l’annuncio di Draghi che dichiara la Bce pronta a un nuovo Quantitative Easing e addirittura ad una riduzione del tasso già negativo dei depositi delle banche presso la Banca centrale europea. Il tutto dovrebbe essere deciso nella riunione di dicembre, ma l’euforia è già scattata. Le Borse volano, spread sotto i 100, l’euro scivola in pochi minuti a 1,12 nei confronti del dollaro.
Illusioni, poiché gli effetti di una politica monetaria espansiva di per sé ricadono essenzialmente sui mercati finanziari, mentre l’economia reale resta debolissima. Anche negli Usa dove pure il Pil cresce con ben altri ritmi. Nello stesso tempo il Qe spinge i capitali verso i mercati azionari, con conseguente dilatazione ulteriore delle diseguaglianze sociali in termini di reddito. Ma tutto questo alle élite europee poco importa. Conta per loro aggrapparsi a Draghi, novello Wolfe come nel celebre film di Tarantino, che non aspetta, ma lavora e risolve i problemi.
La legge di stabilità di Renzi si conferma così strumento di consenso elettorale e insieme di formazione di un blocco di potere. Ma tra i post altisonanti e il testo finale qualcosa si è perduto per strada. I punti gioco vengono ridotti a 15mila rispetto ai 22mila iniziali. La Tasi viene reintrodotta su ville e castelli, nonché sulle abitazioni signorili se si tratta di prima casa. Ma i possessori dei 74mila immobili citati godranno comunque di uno sconto non da poco: quasi mille euro in media, in virtù della riduzione della aliquota massima. Non si sa ancora in quante tranche verrà pagato il canone Rai, ma resta la misura di accorparlo alle bollette elettriche.
Curiosa misura antievasiva per un governo che invece ha elevato il contante da mille a tremila euro e che minaccia di difendere la misura pro-evasione a colpi di voti di fiducia.
Ma il piatto forte delle ultime ore è stato lo scontro sulla sanità. Il fondo per il Servizio sanitario nazionale (Ssn) verrà incrementato di un miliardo di euro invece che di tre. Ma non si sa se quell’aumento comprenderà i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) o no; se è già compreso l’aumento contrattuale per il personale medico o meno; che ne sarà dei farmaci innovativi. Incertezze non da poco, perché quel miliardo potrebbe risultare del tutto insufficiente. In questo caso le Regioni dovrebbero aumentare i ticket, già robusti e salati.
Provvedimento quanto mai impopolare, che aumenterebbe la rinuncia alla cura e alle prestazioni del servizio sanitario pubblico da parte di ampi strati della popolazione dotati di minore reddito, come già mettono in rilievo diverse indagini e ricerche.
Ne è nato uno scontro tra il Governo e le Regioni, che si è materializzato nelle dimissioni, irrevocabili, ma per ora congelate, di Sergio Chiamparino, il “governatore dei governatori”, ovvero il presidente della Conferenza Stato-Regioni. I rapporti si erano già inaciditi a seguito delle dichiarazioni della ministra della sanità Lorenzin, sulle prevalenti responsabilità delle Regioni nella malasanità e quindi sul fallimento del federalismo.
Ipocrisia a palate, come si vede. Da un lato il governo si fa vanto della revisione della Costituzione che doterebbe il paese di un Senato delle autonomie. Dall’altro, alla prima occasione, svela la vera natura accentratrice e neocentralistica di quella sciagurata controriforma – che ci auguriamo di cancellare nel referendum dell’anno prossimo – ribadendo la subordinazione delle Regioni. Il tutto mentre la spesa sanitaria italiana rimane a un livello inferiore rispetto a molti paesi della Ue, malgrado questa manovra finanziaria. La stessa Corte dei Conti ha riconosciuto al Ssn di avere contribuito non poco al risanamento dei conti pubblici.
Non è una novità. Succede così da anni con il sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti. Ovvero i principali istituti del welfare state sono finanziatori dello Stato, più che essere finanziati dal medesimo o quanto meno protagonisti di una riduzione del suo deficit. Poiché il ricamo della spending review si è rivelata un fallimento e anche Perotti, il terzo della serie, è procinto di gettare la spugna, Renzi usa la scure.
Diminuzione di spesa sociale e diminuzione delle tasse per i ceti più abbienti sono dunque le reali colonne della cosiddetta manovra espansiva di Renzi. La raccomandazione della Commissione europea a proposito della necessità di diminuire la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro può creare qualche frizione, ma può essere aggirata dal fatto che comunque agli imprenditori il governo ha già dato non poco con gli incentivi del Jobs Act. Renzi ha parlato di un’opposizione a prescindere, riferendosi alla minoranza dem. Al contrario qui c’è un overdose di materiale su cui opporsi e contro cui costruire un’alternativa. La stessa sinistra dem dovrebbe trarne le debite conseguenze, anziché accodarsi al voto.
Commenta (0 Commenti)LA VIA REFERENDARIA È INEVITABILE, NON TENTARLA VORREBBE DIRE CONSEGNARE A RENZI LA VITTORIA SENZA COMBATTERE
ATTACCO ALLA COSTITUZIONE: costruiamo il fronte del ‘no’
Non si tratta di difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, bensì di sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie: altrimenti ci troveremmo di fronte ad una mera sottrazione
■ di ALFIERO GRANDI
La maggioranza dei senatori sembra determinata ad approvare le modifiche della Costituzione incurante dei danni che questa manomissione degli equilibri istituzionali del nostro paese, insieme alla nuova legge elettorale, provocherà nel già malandato funzionamento della nostra democrazia.
Parto da un episodio minore accaduto pochi giorni fa. La Camera ha approvato quello che molti definiscono un tentativo di mettere un bavaglio alle intercettazioni e un limite alle indagini della magistratura. Non è un provvedimento di cui il governo possa andare fiero, tuttavia l’aspetto che mi interessa sottolineare è che il Ministro Orlando, per cercare di ammorbidire le dure critiche, provenienti soprattutto dalla magistratura, ha promesso che in seconda lettura il Senato potrà cambiarne alcuni aspetti. E’ un comportamento molto frequente. Governo e parlamento perfezionano spesso in seconda lettura testi altrimenti inaccettabili o quanto meno imperfetti.
E’ uno dei modi in cui hanno funzionato le garanzie democratiche nel nostro paese: una prima lettura di massima delle leggi e il loro perfezionamento nella seconda. In futuro le leggi verranno approvate senza la doppia lettura che resterà solo per casi rarissimi e fermo restando che la Camera potrà sempre confermare in conclusione la sua versione della legge. Naturalmente si possono scegliere altri sistemi di garanzia e cercare un nuovo equilibrio, a partire dalla possibilità che fiducia e sfiducia verso il governo siano attribuite alla sola Camera dei deputati. Quindi la questione non è difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, ma sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie, altrimenti è una mera sottrazione. La manomissione della Costituzione che porta le firme di Renzi e Boschi non crea un nuovo equilibrio democratico, basato su pesi e contrappesi, anzi prospetta una Camera sproporzionata rispetto al senato (630 contro 100) che, diventando di fatto l’unico organo di rappresentanza che dà la fiducia o la toglie al governo, per di più viene eletta con un sistema ipermaggioritario che consegna al partito vincitore delle elezioni tutto il potere. Se poi il vincitore è anche in grado di decidere liste ed eletti grazie alla doppia veste di Presidente del Consiglio segretario del Pd il gioco è fatto: la Camera diventa totalmente subalterna al governo, ribaltando i principi della nostra Costituzione. Inoltre il vincitore delle elezioni deciderà di fatto il Presidente della Repubblica e influenzerà pesantemente la composizione della Corte costituzionale e del Csm.
Alla fine di questo percorso decisionale il “capo” del governo diventerà l’unico vero decisore, senza possibilità di essere contraddetto, almeno non prima delle nuove elezioni. Per completare questo disegno autoritario ed accentratore viene modificato in profondità anche il titolo V che attribuisce poteri alle Regioni e ai Comuni. Per fare un esempio, le Regioni hanno promosso un referendum abrogativo della legge del governo che autorizza trivelle a gogò, ma in futuro con la nuova divisione dei poteri questo diventerà pressochè impossibile perché le Regioni perdono sostanziali poteri sul territorio. Inoltre la RenziBoschi, non appagata da questo accentramento, ha pensato bene di imporre tempi prefissati per l’approvazione dei provvedimenti del governo, norme che si aggiungono ai decreti legge che già la fanno da padrone nei lavori parlamentari. Così non solo la Camera sarà subalterna al governo per effetto del sistema elettorale ma dovrà lavorare con i tempi e le modalità decise dal governo.
Sorge un altro serio problema. La Corte costituzionale ha sanzionato pesantemente la legge elettorale (porcellum) con cui è stato eletto questo parlamento. E’ vero che gli atti decisionali adottati fino alla sentenza della Corte sono stati fatti salvi. Tuttavia in seguito alla sentenza della Corte un poco di prudenza nei comportamenti di questo parlamento non avrebbe guastato. Può un parlamento eletto con un premio di maggioranza sotto accusa decidere un nuovo premio di maggioranza che potrebbe perfino essere maggiore di quello del porcellum in caso di ballottaggio? Può modificare la Costituzione introducendo un premierato forte (anzi fortissimo)? Non dovrebbe ma lo sta facendo, dimenticando che modifiche della Costituzione così impegnative dovrebbero avvenire attraverso una rappresentanza effettiva quindi proporzionale delle posizioni politiche e culturali presenti nel paese. Senza dimenticare che queste modifiche contraddicono lo spirito della Costituzione vigente, nata dalla Resistenza.
E’ un fatto molto grave e serio quanto sta avvenendo e riguarda la democrazia del nostro paese. Purtroppo il Pd sembra non rendersi conto dei guasti che provocheranno queste decisioni. Purtroppo le speranze destate dall’opposizione a queste scelte da parte di esponenti del Pd oggi sembrano rientrate nella logica della prevalenza dell’accordo interno al partito, che su questioni come la Costituzione non dovrebbe prevalere. Si finge di non vedere l’esplicito soccorso al governo (Verdini e c.) a sostegno di queste modifiche da parte di settori del centro destra. La ragione è chiara, in fondo queste scelte del governo sono largamente ispirate ad una logica di accentramento del potere per far passare, piaccia o non piaccia, scelte politiche che hanno visto sempre più nel mirino i sindacati e hanno sposato il punto di vista delle imprese, imponendo sacrifici e rinunce ad alcuni e vezzeggiando altri. Le scelte autoritarie servono a questo. Se si vogliono dare soldi alle imprese occorre tagliare la spesa sociale e l’accentramento decisionale è l’unico modo per imporre le scelte, o almeno per provarci. Del resto nella scuola un grande e forte movimento unitario ha subito l’onta dell’approvazione di una legge che non voleva. Ora che può fare il mondo della scuola, se non vuole subire, se non opporsi con gli strumenti che restano a disposizione? Per questo occorre considerare seriamente il ricorso ai referendum per tentare di bloccare questo disegno di stabilizzazione moderata, di cui purtroppo il Pd di Renzi è protagonista.
Lo spiazzamento in questa situazione è determinato dal fatto che politiche moderate e conservatrici vengono sostenute da chi dovrebbe costituire parte importante del centro sinistra e il Pd sta subendo un’evidente e preoccupante deriva moderata.
Troppi pensano che i problemi del funzionamento istituzionale siano della casta. E’ un errore gravissimo, in parte effetto della propaganda dei gruppi dominanti che sperano in questo modo di allontanare ancora di più i cittadini dalla vita politica e da ogni velleità di partecipazione, in modo da lasciare campo libero alle tecnocrazie e alle classi dominanti del paese, secondo una linea che vuole definire chi governa e chi è governato, punto e basta.
Le forme della rappresentanza parlano della democrazia, delle forme di partecipazione, della vita delle persone. Lungo il sentiero immaginato da Renzi la governabilità è tutto, la partecipazione e la possibilità di contrastare scelte non condivise non ha alcuna importanza. Eppure i padri costituenti avevano immaginato una democrazia com plessa, con contrappesi, tale da favorire la partecipazione delle classi sociali, in particolare di quelle subalterne, alla vita politica e alle decisioni. Qui cambia tutto, l’astensione viene data per scontata, la partecipazione che serve è quella che consente di scegliere all’interno della classi dominanti chi deve governare e basta. Quindi l’astensionismo crescente non è visto come un problema, anzi peggio viene considerato costitutivo di una democrazia matura.
L’assetto istituzionale che Renzi disegna serve alla stabilizzazione dei poteri dominanti, quindi ritenere che sia un problema di altri vuol dire lasciare campo libero a questa manovra e subirne gli effetti futuri. Purtroppo il Pd si è ricompattato su queste scelte istituzionali. La minoranza ha accettato un terreno di compromesso che non ha risolto alcunché e di fatto si è consegnata alla maggioranza renziana. Non c’è affatto la certezza che i senatori verranno eletti dai cittadini perché il pasticcio linguistico dell’emendamento condiviso anche dalla minoranza del Pd non garantisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori perché questo potere è a mezzadria con i consigli regionali e rinviato ad una futura legge di cui nulla è dato sapere. Inoltre resta la sostanza di un Senato ridotto a dopolavoro, tranne che per l’immunità, con troppo pochi componenti rispetto alla Camera e con una drastica riduzione dei poteri. Non si tratta di difendere acriticamente il ruolo attuale del Senato quanto della pretesa di conoscere quali garanzie sostituiranno quelle esistenti, in corso di smantellamento. Questa risposta non c’è ed è per questo che al referendum confermativo sulle modifiche costituzionali occorre organizzare il no, sia per contrastare il tentativo di ottenere un plebiscito da parte di Renzi sia per inserire il no nel contesto di un contrasto del disegno renziano, che non comprende solo le modifiche costituzionali. Questo referendum obbligherà tutti a scegliere e non impegnarsi in questa battaglia sarebbe un errore storico. Quindi occorre mettere in discussione insieme le modifiche che stravolgono la Costituzione attuale che la legge elettorale promuovendo referendum abrogativi e, se possibile, mettendo in discussione alcuni dei provvedimenti più odiosi come la legge sulla scuola e il jobs act, la legge che autorizza trivellazioni in barba alla difesa dell’ambiente.
La via referendaria è a questo punto inevitabile, non tentarla vorrebbe dire consegnare a Renzi la vittoria senza nemmeno combattere. Sulle modifiche della Costituzione il referendum ci sarà perché difficilmente, malgrado tutto, il governo otterrà i 2/3 dei voti necessari per evitarlo. Sulla legge elettorale e su altri argomenti di grande peso sociale perché è necessario che i cittadini italiani sappiano cosa accadrà per effetto della combinazione di queste leggi con le modifiche costituzionali. La modifica dei meccanismi decisionali trova infatti delle illuminanti anticipazioni in leggi che sono un’autentica forzatura della Costituzione vigente e un’anticipazione di quello che verrà, se le modifiche andranno in porto. C’è stato un tentativo di anticipare i tempi dei referendum che non ha avuto il consenso necessario. Per condurre questa sfida occorre costruire uno schieramento ampio e unitario, perché la raccolta delle firme per arrivare ai referendum che pure è impegnativa è solo il problema iniziale in quanto i referendum si promuovono per vincerli, non per fare testimonianza e quindi occorre convincere la maggioranza degli elettori che vale la pena di andare a votare, cosa non facile di questi tempi. Fin dall’inizio occorre cercare di costruire un fronte largo, unitario ed includente con l’obiettivo di convincere a votare almeno il 50% più uno degli elettori. Se i referendum vincessero arriverebbe al governo un segnale forte che ne bloccherebbe la deriva moderata. La vera questione e’ se i referendum riusciranno a diventare occasione per ridare fiducia e per promuovere una mobilitazione di massa, del resto questo e’ il carattere proprio dei referendum.
Naturalmente sarebbe importante avere anche in contemporanea lo sviluppo di una parte più costruttiva, di proposte, come la presentazione connessa alla campagna referendaria di leggi di iniziativa popolare sugli argomenti più importanti.
La proposta avanzata dal coordinamento per la democrazia costituzionale che si occupa in particolare di modifiche costituzionali e legge elettorale è di costruire per la prossima primavera una campagna per il ‘no’ al referendum sulle modifiche della Costituzione e per abrogare 2 aspetti fondamentali della legge elettorale. Anzitutto per togliere il premio di maggioranza al primo e al secondo turno e poi per ridare ai cittadini il diritto di scegliere i deputati che di fatto verranno nominati anche in futuro dai capi partito. Se a questi impegni si aggiungeranno altri obiettivi, come la promozione di referendum su lavoro e scuola, si profilerà una campagna referendaria importante e in questo ambito non va dimenticato che su proposta di un movimento Notriv e per il ricorso di 10 regioni nella prossima primavera potrebbe esserci un fronte sufficientemente ampio da costringere il governo per la prima volta a rivedere le sue scelte di merito e questo non potrebbe che essere positivo. ■
Commenta (0 Commenti)(Luciana Castellina da il manifesto)
Non sono greca e perciò domenica non voto. Tantomeno sono autorizzata a suggerire ai greci come votare. Ma non me la sento nemmeno di dire che questa mia astensione deriva dal fatto che i loro sono affari che non mi riguardano. Se un anno fa in tanti ci siamo ritrovati a sostenere (o meglio a costruire) una lista che si è chiamata l’«altra Europa con Tsipras» non è stato per via di una stravaganza modaiola, perchè Siryza stava vincendo e noi in Italia no. E’ stato perchè abbiamo capito che la partita che Alexis stava ingaggiando con i mostri dell’euro capitalismo era anche la nostra partita. Per questo oggi, almeno virtualmente, votiamo anche noi. Come andrà a finire la vicenda greca riguarda tutti gli europei. Perché il governo di Syriza ha aperto, finalmente, un contenzioso di carattere generale su cosa debba e cosa non debba essere l’Unione Europea, una questione che è destinata a segnare il nostro futuro e dunque tutti ci coinvolge. Fino al luglio scorso su quale fosse la nostra parte politica non ci sono stati dubbi. È facile quando le cose si sviluppano in modo lineare. Purtroppo, però, non accade quasi mai. Non è accaduto neppure in questo caso. Sappiamo tutti di cosa sto parlando: della rottura che si è verificata in Syriza per via di un diverso giudizio su un quesito reso drammatico dalle condizioni feroci in cui è stato posto: accettare, pur considerandolo tremendo, di gestire il memorandum che conteneva il diktat della Troika, sperando di riuscire ad evitare i danni peggiori, e cioè cercando di rendere almeno un po’ più equa la stupida austerità imposta, oppure rifiutare, e scegliere la strada impervia di una isolata uscita dall’Eurozona. Io sono fra coloro che ritengono
Leggi tutto: Grecia, restare sul ring per tenere aperta la possibilità di una alternativa
Commenta (0 Commenti)Ricordare la strage: per chi ha vissuto quegli anni già adulto è un esercizio sempre più faticoso e per alcuni aspetti straziante. Ma è anche un dovere: un obbligo morale e un dovere politico. Per le generazioni successive che oramai costituiscono la maggioranza degli italiani, per loro dobbiamo farlo, e per le vittime di quell'ignobile attentato. Cittadini qualunque, gente come noi, furono le vittime di quell'atto terroristico: vittime innocenti si suole dire; ma quando mai le vittime del terrorismo non sono innocenti? Quasi che le motivazioni personali di questa o quella organizzazione terroristica (anche quando si tratta di uno stato) possano giustificare le uccisioni o le stragi.
Dunque innocenti in ogni senso e in quella occasione anche scelti a caso. Oramai specie dopo l'esplosione dello stragismo d'ispirazione islamista, dopo l'11 settembre, ci si è fatta l'abitudine ed appare quasi normale. Ma allora, nel '69, nel '74, nel '80, nel '92 non lo era e non lo appariva affatto.
Gli italiani di allora, negli anni 70 e soprattutto dopo la strage di Bologna fecero la loro parte: non si lasciarono intimidire. E' una frase che i governanti usano oggi con facilità ed a volte con ingiustificata spocchia, ma che per le persone comuni significò allora scendere in piazza, non cedere alla paura, rischiare a volte il posto di lavoro o la carriera, spesso rischiare di prenderle, facendo argine come cittadini a quel progetto fascista denominato “strategia della tensione” che si basava proprio sulla scommessa che la gente comune si sarebbe chiusa in casa per la paura, e che lo stato, sempre depistatore, ed a volte complice, avrebbe reagito riducendo le libertà e favorendo quella svolta autoritaria che oramai è storicamente provato, molti nostri alleati (USA e Gran Bretagna innanzitutto) auspicavano e attraverso i servizi segreti tramavano per realizzare.
I cittadini fecero la loro parte, e salvarono la democrazia in Italia, ed i governi? Anche i governi, a modo loro: depistarono, coprirono, inquinarono; attraverso i servizi a volte manovrati e spesso manovratori fecero di tutto per impedire ai giudici di scoprire la verità. E' per questo, notoriamente, che per la maggior parte delle stragi fasciste non ci sono state condanne e colpevoli giudiziariamente accertati. Ma per la strage di Bologna no, lì c'è stata una sentenza definitiva dopo tre gradi di giudizio, e che dice tre cose: quale fu la matrice politica: fascista. Chi furono gli autori materiali: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Chi coprì e depistò: i servizi segreti italiani, deviati o meno, che fecero di tutto per impedire l'accertamento della verità.
Certamente si è trattato di un processo indiziario e ci sono ampie zone d'ombra, soprattutto per quanto concerne i mandanti ed i rapporti fra fascisti e loggia P2 e massoneria deviata in genere, ed allora molti, ancora oggi, per ricordare quella strage non riescono a fare di meglio che continuare l'opera dei servizi deviati rispolverando la pista palestinese che l'irresponsabile Cossiga, nel tentativo di allontanare i sospetti dall'amata massoneria, a suo tempo sollevò. Lo fa ad esempio Il Resto del Carlino del 1 agosto con un'intervista al giudice Priore (in pensione) evidentemente non ancora soddisfatto per il suo operare in occasione delle indagini sulla strage di Ustica (per la quale fu l'inconcludente giudice istruttore). Forse è bene ricordarlo, anche se il Carlino si guarda bene dal farlo: quella “pista” è stata indagata a lungo dalla magistratura bolognese che nel febbraio di questo anno ha archiviato l'indagine per manifesta infondatezza. Ma non è un caso che Cossiga prima, il Tempo ed i giornali della destra periodicamente tornino alla carica; il loro scopo è chiaro: smacchiare la destra italiana dalla sua contiguità con una così tremenda strage ed allontanare lo stragismo dal ruolo della massoneria e dei servizi segreti italiani.
E' l'Associazione dei famigliari delle vittime delle stragi, con il suo presidente, Bolognesi, a chiedere invece di continuare ed approfondire le indagini, perché quello che tutti vogliamo è sapere chi furono i mandanti e quale fu la trama politica. Dice Bolognesi nell'intervista rilasciata a Loris Mezzetti sul Fatto Quotidiano del 31 luglio, che anche l'attuale governo mostra limiti e reticenze che non si aspettava: “Renzi era partito bene, quando nel 2014 fece declassificare i documenti delle stragi dal 1969 al 1984. La direttiva non doveva essere lasciata andare al caso”. Secondo Bolognesi il governo
Leggi tutto: Il 2 agosto, 35 anni fa. Vogliamo ancora la verità
Commenta (1 "Commento")Abbiamo tutti festeggiato con balli e canti, sventolio di bandiere bianche-azzurre ed inni a Tsipras e Varoufakis la splendida vittoria politica del popolo greco nel referendum contro l’austerity senza fine!
Bene hanno fatto gli esponenti della sinistra italiana e del M5s ad andare ad Atene ad appoggiare la campagna del NO ed a sfilare con i greci (con i greci e non solo con Syriza: 61% il No al referendum, 36% i voti per Syriza alle politiche del 2015!). Lo hanno fatto per l’Italia e per l’Europa, ancor prima che per solidarietà verso la Grecia. In fondo alla strada lastricata dai ricatti dei creditori e dalle politiche antipopolari senza fine c’è il trionfo delle destre nazionaliste e populiste e la dissoluzione dell’Europa!
Anche se è più che legittimo avere delle riserve sull’uso spregiudicato che è stato fatto in Grecia dello strumento referendario, (vedi ad es. Grecia 5 luglio: referendum o sondaggio? ) ora che i cittadini greci si sono espressi, tutti noi che abbiamo ancora a cuore quell’idea di Europa che ci ha garantito 60 anni di pace e di prosperità, qui in Italia e negli altri paesi europei dobbiamo agire e in fretta. Altrimenti la nostra solidarietà avrà lo stesso valore del tifo sportivo.
Dobbiamo tutti da oggi esercitare il massimo di pressione sui nostri governi, a partire da quello italiano perché all’interno del Consiglio Europeo, della Commissione e anche dell’Eurogruppo siano immediatamente messi in discussione i punti dirimenti di un progetto equo di aiuto alla Grecia affinché possa risollevarsi, promuovendone la ripresa economica, unica possibilità per una parziale restituzione dei prestiti che ha ricevuto e per la sostenibilità politica dell’Europa stessa.
I punti cruciali dovranno essere:
1) taglio di una parte del debito, come minimo il 30% cosa che tutti ormai riconoscono necessaria e che può essere finanziato con il lancio di eurobond (la cd ristrutturazione del debito).
2) concessione immediata da parte della BCE della liquidità necessaria alle banche greche: ricordo a tutti che la situazione di pericolo non è dovuta ad un’improvvisa crisi di liquidità ma al fatto che per ricattare gli elettori greci in modo del tutto irresponsabile l’Eurogruppo non ha voluto autorizzare la BCE alla concessione di liquidità per 5 giorni in attesa del referendum!!!
3) Concessione di una moratoria nel pagamento degli interessi ai creditori per un numero di anni sufficienti ad innescare in Grecia una salda ripresa e una forte crescita economica. Senza questa condizione ogni altra misura volta al taglio della spesa (austerity) o agli investimenti per favorire la crescita risulterebbe vana, anzi peggio, com’è avvenuto in questi cinque durissimi anni, spreco di risorse.
Non può più continuare il gioco penoso del nostro capo del governo: abbaiare al vento contro le politiche di austerità e la mancanza di vere misure per la crescita, e poi scodinzolare, come un animaletto da compagnia della sig.ra Merkel, nelle sedi istituzionali, e con la faccia feroce verso la debolissima Grecia (“tweet maramaldesco: «Il punto è: il referendum greco non sarà un derby tra la Commissione europea e Tsipras, ma un derby dell'euro contro la dracma. Questa è la scelta.»).
Credo che tutto il mondo politico italiano se ne renda ora drammaticamente conto. La marginalità dell’Italia in questa partita è un pericolo anche per la nostra economia!
Raccogliamo e diamo un senso politico alle parole che ha pronunciato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "I cittadini greci hanno preso oggi, con il referendum, una decisione della quale occorre, in primo luogo, prendere atto con rispetto. Una decisione, tuttavia, che proietta, oltre ad Atene, la stessa Unione europea verso scenari inediti, che richiederanno a tutti, sin d'ora, senso di responsabilità, lungimiranza e visione strategica".
In tutte le sedi politiche ed istituzionali, consigli regionali e comunali, vengano promossi dei forti pronunciamenti, ispirati ai principi sopra esposti, rivolti al governo italiano e direttamente al Parlamento europeo, al Consiglio europeo ed alla Commissione affinché dalle istituzioni europee venga formulata una proposta di accordo sul debito greco, di sostegno alla liquidità del sistema, e un progetto di risanamento e sviluppo della sua economia che tenga conto anche della richiesta di solidarietà e di equità sociale espressa con il referendum dal popolo greco.
La redazione di Qualcosadisinistra.info
6 luglio 2015
Qui di seguito una piccola scelta di articoli di economisti e giornalisti sulla natura della crisi greca e sugli errori commessi dal FMI e dall’UE in questi anni.
Da "Repubblica" del 1/07/2015 Mariana Mazzucato: Quando l’errore è nella diagnosi
da “Il Manifesto”del 6/07/2015 intervista di Marta Fana sempre a Mariana Mazzucato: Il no ha sconfitto l'arrogante Europa
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Luisa Palmerini: Scenari inediti: ora l'Europa solidale.
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Adriana Cerretelli: No al Grexit. L’Europa eviti il suicidio collettivo.
da “Il Sole24ore”del 6/07/2015 Isabella Bufacchi: Subito un prestito ponte
da “Il Sole24ore”del 5/07/2015 Paul Krugman: Perché il “no“ potrebbe non essere irreparabile
da "Repubblica" del5/07/2015 Paul Krugman: Ma l’Europa è un disastro la moneta unica è diventata una camicia di forza
da "Repubblica" del 30.6.15 intervista di Eugenio Occorsio a Jean-Paul Fitoussi: La Germania potrebbe ricordarsi che dopo la seconda guerra mondiale le fu condonato un immane debito
da “Il Sole24ore”del 5/07/2015 Roberto Napoletano: L'Europa che serve a loro e a noi
da "Repubblica" del 29 giugno 2015 intervista di Roberto Brunelli a Thomas Piketty: Europa in agonia sono i conservatori ad averla devastata. Serve una conferenza per ristrutturare i debiti più insostenibili