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Nei prossimi giorni sarà pubblicato come ogni anno l’Osservatorio regionale sull’Economia e il Lavoro realizzato da IRES Emilia-Romagna, uno strumento ormai diventato fondamentale per analizzare, sulla base dei dati disponibili, l’evoluzione della nostra regione da molteplici punti di vista: della demografia, del sistema economico, del mercato del lavoro, della società. Una particolare attenzione è stata data negli ultimi anni anche ai temi dell’ambiente e del territorio. Queste le anticipazioni in materia ambientale.

città consumo di suolo

Nel dettaglio, sono 4 i temi affrontati: la qualità dell’aria, la situazione climatica, il consumo di suolo e la produzione di rifiuti.

La qualità dell’aria

I dati sulla qualità dell’aria in regione per il 2022 suggeriscono una doppia lettura. Si conferma, infatti, il rispetto dei limiti di legge in materia di concentrazione di particolato PM10 e PM2,5: 27 microgrammi per il primo a fronte dei 40 da non superare e 16 microgrammi per il secondo a fronte dei 25 del limite di legge (fonte ARPAE).

Occorre però ricordare che quelle stabilite dalla legge sono soglie molto superiori a quelle indicate dall’OMS come limiti da non superare per evitare danni alla salute umana. È peggiorato inoltre nel 2021, come ricorda il rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente 2022, il posizionamento dell’Emilia-Romagna tra le regioni d’Italia: Modena risulta tra i primi cinque capoluoghi più esposti e la Regione nel suo insieme torna a ricoprire i primi posti per la concentrazione di particolato PM10. Occorre sottolineare che non si tratta di un vero e proprio peggioramento, quanto piuttosto dell’esito del miglioramento degli altri territori italiani. Dove si è fatto di più prima, come in Emilia-Romagna, oggi i risultati sono meno rilevanti. Ovviamente questo deve essere uno stimolo a fare ancora meglio.

La grande attenzione dedicata alla riduzione del particolato, infine, non sembra avere riscontri se ci riferiamo ad altri inquinanti come l’anidride carbonica (CO2), causa dell’effetto serra e quindi concorrente al peggioramento della qualità dell’aria e del clima.

Il cambiamento climatico

Il 2021 ha segnato nuovi record in materia di anomalie climatiche: le precipitazioni cumulate da gennaio a luglio sono state le più basse dal 1961. La scarsità delle piogge ha determinato la crisi idrica che ha coinvolto la Romagna e l’appennino bolognese, favorendo gravi sofferenze per le specie arboree. Ma alla siccità è anche dovuta la crisi idro potabile che si è avuta in settembre nei comuni dell’alta valle dell’Arda.

soffrire di più il riscaldamento sono state le zone a ridosso della via Emilia e le zone, anche interne, delle province di Forlì-Cesena, Rimini e della montagna modenese. Anche la scarsità delle piogge coinvolge l’intera regione, dalla pianura alle zone montuose, dove l’anomalia delle precipitazioni è in larghissima parte negativa (vedi Fig. 1).

Le attività economiche più esposte al rischio siccità sono l’agricoltura, gli allevamenti intensivi e il settore del turismo invernale, i cui consumi idrici, oltre a rendere queste attività sempre meno economicamente sostenibili, rischiano di aggravare una situazione – quella della carenza d’acqua – già molto problematica.

Il consumo di suolo

Nonostante la Legge Regionale 24/2017 indichi come priorità la riduzione del consumo di suolo fino all’obiettivo del saldo zero da raggiungere entro il 2050, anno dopo anno il suolo consumato in regione aumenta.

Nel 2021 l’Emilia-Romagna ha perduto altri 661,2 Ha, accrescendo dello 0,33% il suolo consumato e portandolo all’8,9%. L’Emilia-Romagna è così la quarta Regione in Italia per incremento di suolo consumato nel 2021, dopo Abruzzo, Piemonte e Campania (vedi Tab. 1). Tutte le province emiliano-romagnole contribuiscono a questo incremento, a partire da Modena e Ravenna, che portano il suolo consumato a quota, rispettivamente, 11 e 10,2%. Più consumate di così sono solo Reggio nell’Emilia, con l’11%, e Rimini, con il 12,4%. Si consideri, inoltre, che Ravenna faceva registrare il primato di incremento del suolo consumato in regione già nel 2020, l’anno della pandemia.

Il consumo di suolo in Emilia-Romagna non risparmia le zone esposte a rischi idrogeologici anche diffusi. Le aree con pericolosità franosa e idraulica coperte, rispettivamente, per l’8% e 8,1% (Pericolosità idraulica 3 e Pericolosità franosa 2, 3 e 4), sono infatti superiori a quelle rilevate mediamente per l’Italia (6,3 e 7,2%). Il primato per il suolo coperto in aree ad elevata pericolosità idraulica spetta alle provincie di Rimini e Forlì-Cesena (24,9% e 12,7%). La provincia con il maggior consumo di suolo in aree a pericolosità franosa elevata o molto elevata è Modena, con il 4,3%.

I rifiuti urbani

Stando ai dati diffusi dall’Ispra, nel 2021, l’Emilia-Romagna incide per il 9,6% della produzione nazionale di rifiuti, la terza regione dopo la Lombardia (16,1%) e il Lazio (9,7%). Rispetto al numero degli abitanti il dato emiliano-romagnolo continua ad essere il più significativo: 640,7 Kg per abitante, a fronte dei 479,9 Kg in Lombardia e i 504,5 Kg del Lazio. La provincia di Reggio nell’Emilia detiene il record di produzione per abitante (763 Kg), seguita da Ravenna e Piacenza, con 735 e 720 Kg.

Pur facendo registrare il quinto valore più elevato in Italia di differenziazione dei rifiuti (72,3%), i dati sui quantitativi di rifiuti prodotti riducono il senso di quello che dovrebbe essere un buon risultato. Va da sé, infatti, che a fronte di quantitativi così elevati, le tonnellate di indifferenziato finiscono per essere maggiori di quelle prodotte in zone con minore cura nella raccolta.

Si registra inoltre molta disomogeneità in ambito regionale: si va dall’82% della provincia di Reggio Emilia al 67% della Città Metropolitana di Bologna, fino al 62,1% di Ravenna.

Questi dati ci confermano che le maggiori criticità nei sistemi di raccolta si verificano nelle aree ad elevata attrazione turistica, oltre che in quelle montuose più interne dove la stagionalità delle presenze e l’utilizzo delle abitazioni a fini diversi da quello abitativo si intreccia alla complessità morfologica dei territori.

“La grande mole di dati riportati nel rapporto di IRES si presta a diverse considerazioni – ha dichiarato Massimo Bussandri, segretario generale della Cgil dell’Emilia-Romagna -. È evidente che alcuni degli obiettivi e degli impegni contenuti nel Patto regionale per il Lavoro e per il Clima vengono confermati non solo nella loro importanza ma anche nella loro urgenza”.

“Qualità dell’aria, cambiamento climatico, consumo del suolo e produzione e smaltimento dei rifiuti sono tutte tematiche fortemente interconnesse tra di loro, che occorre affrontare avendo ben chiaro che non ci si può più limitare a tamponare i fenomeni e a “tirare a campare” – ha aggiunto -. Bisogna avere la capacità di guardare avanti, affrontando i problemi alla loro radice e facendo evolvere anche le attività produttive, senza traumi occupazionali, verso sistemi di produzione sempre meno impattanti e più sostenibili”.

“Sulla qualità dell’aria la Giunta regionale ha appena adottato un nuovo piano di interventi che prevedono uno stanziamento importante di risorse, ma è chiaro come a questo tema siano strettamente connesse anche altre grandi questioni come quelle della mobilità, non solo delle persone ma anche e forse soprattutto delle merci, e dei consumi energetici per la produzione e il riscaldamento. In tema di interventi volti a prevenire il dissesto idrogeologico, l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal PNRR, e in gran parte già acquisite, è un’occasione da non perdere per finanziare i molti interventi necessari su un territorio complesso com’è il nostro”, ha dichiarato.

“Occorrerà tornare a riflettere sul tema del consumo di suolo – ha proseguito -, perché il fatto che esso continui a crescere anche nella nostra regione rischia di vanificare alcuni degli obiettivi del Patto per il Lavoro e per il Clima e di ripercuotersi anche su altre criticità di carattere ambientale. In tal senso, la programmazione di nuove coperture dentro e fuori le nostre città non può essere affrontata con leggerezza. Grande attenzione dovrà essere dedicata anche al tema della produzione e della differenziazione dei rifiuti urbani: anche in questo caso le tendenze in atto, pur migliorative, rischiano di essere insufficienti al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Patto”.

“Infine – ha concluso – anche il tema del cambiamento climatico richiede interventi urgenti, non solo per impedire una sua ulteriore accelerazione, i cui effetti rischierebbero com’è noto di essere drammatici, ma anche per mettere in campo da subito politiche di adattamento, ad esempio in tema di risparmio delle risorse idriche, attraverso la riduzione degli sprechi produttivi nel suo utilizzo e anche della ancora troppo elevata dispersione della rete. Aspetto quest’ultimo sul quale il ruolo delle multiutility a maggioranza pubblica può essere fondamentale”