America First L’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca a qualcuno è potuto sembrare uno spettacolo euforizzante. Mai si era visto un tale avanspettacolo della politica se non in certe rappresentazioni grottesche […]
L’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca a qualcuno è potuto sembrare uno spettacolo euforizzante. Mai si era visto un tale avanspettacolo della politica se non in certe rappresentazioni grottesche del cinema o del teatro, con il braccio teso di Elon Musk che sembrava una parodia di Fascisti su Marte, dove Trump – ci ha avvertito lunedì – vuole piantare la bandiera stelle e strisce.
La redazione consiglia:
Il grande balzo all’indietro, arriva il Nuovo Imperialismo AmericanoMa in un mondo tragico, percorso sempre più da guerre e da miseria, le pagliacciate sono di breve durata e dobbiamo farci una domanda: chi abbiamo davanti e dove vogliono portare il mondo? Su Le Monde Diplomatique (anche nell’edizione italiana del manifesto), prova a dare una risposta il professor Michael Klare dell’Hampshire College.
Mentre Biden e i suoi consiglieri – spiega Klare – immaginavano il mondo come un grande scacchiera, sulla quale le pedine amiche e nemiche cercavano di procurarsi un vantaggio geopolitico nelle regioni contese, Trump considera il pianeta come un grande Monopoli in cui i diversi rivali lottano per il controllo dei beni preziosi, delle tecnologie, dei mercati, delle proprietà immobiliari. Se per Biden il collante ideologico era «l’adesione ai valori occidentali» – visione per altro tragicamente smentita dalle stragi israeliane a Gaza – per Trump la politica estera deve essere mossa dalla sfrenata rincorsa di un primato economico, strategico e, ovviamente, militare.
Hollywood non basta più a rivestire la parte di intrattenimento del complesso militare-industriale come diceva un tempo Frank Zappa. Oggi servono di più i social media: così invece degli attori sono stati invitati i miliardari delle piattaforme digitali, dal fondatore di Amazon Jeff Bezos, al capo di Meta Mark Zuckerberg, fino al Ceo di Apple Tim Cook e l’ad di Google Sundar Pichai. Siamo in pieno Monopoli perché questi signori, insieme a Musk, detengono una ricchezza maggiore del Pil di molti stati. Tutti comunque, nell’ottica trumpiana, sono chiamati a perseguire quattro obiettivi: la supremazia mondiale degli Stati uniti, contenere la Cina, manovrare le alleanze in funzione filo-americana, mettere le mani sulle risorse più importanti anche a spese degli altri stati, che siano alleati o meno.
Lo slogan “America First” sul piano internazionale significa questo. A partire dal Medio Oriente dove Trump è intervenuto direttamente nell’accordo di tregua ancora prima di insediarsi alla Casa Bianca e Netanyahu ha appena lanciato l’operazione Muro di Ferro a Jenin. Il suo entourage è stato il primo a esserne informato. Il cessate il fuoco non era ancora firmato che il genero Jared Kushner aveva subito raddoppiato la sua quota nella società immobiliare Phoenix, diventandone il maggiore azionista insieme ai fondi sauditi. La società, che ha già finanziato insediamenti illegali dei coloni in Cisgiordania, punta a partecipare da protagonista agli affari dell’eventuale ricostruzione di Gaza. Il percorso è quello di portare l’Arabia Saudita nel patto di Abramo, nonostante Riad continui a insistere su una soluzione della questione palestinese. Ma Trump e il principe Mohammed bin Salman sono sempre più vicini.
Durante la prima presidenza Trump, il cerchio magico del presidente si era già aggiudicato affari lucrosi con i sauditi. E ora i legami si stringono sempre di più perché il presidente appena in carica e i sauditi condividono la comune determinazione a confermare il primato dei combustibili fossili. «Perforeremo, tesoro, perforeremo», ha esclamato Trump e nei suoi primi minuti in carica ha proclamato che avrebbe dichiarato una «emergenza energetica nazionale» per contribuire ad abbassare i prezzi. Insomma musica per le orecchie degli sceicchi petroliferi del Golfo. E questo non esclude – anzi indica come possibile – che il nuovo presidente voglia intavolare qualche trattativa con gli altri grandi produttori di petrolio e di gas naturale, come Russia, Iran e Venezuela. Non è detto che questo porterà nel breve a un alleggerimento delle sanzioni contro l’Iran, visto che Trump sostiene Netanyahu nella sua ossessione anti-Teheran, ma è chiaro che il nuovo presidente ha una spiccata predilezione per gli accordi con i Paesi petroliferi.
All’orizzonte c’è anche l’accordo con Putin. «Il nostro potere fermerà tutte le guerre e porterà un nuovo spirito di unità in un mondo», ha detto Trump, secondo il quale gli ucraini continueranno a ricevere aiuto militare solo se accetteranno di negoziare un accordo di pace con la Russia che prevede la cessione di territori. E qui si lega il discorso anche con gli europei e la Nato. Trump ha minacciato che se gli stati europei dell’Alleanza non aumenteranno i propri fondi per la difesa, gli Usa ridurranno drasticamente i loro aiuti militari. L’obiettivo è di portare al 3-3,5% del Pil le spese militari europee: una manna per le industria bellica americana. Una pressione sull’Europa che include anche la negoziazione di dazi doganali: gli Usa hanno un deficit commerciale con la Ue di 240miliardi di dollari.
Con Trump le cose andranno meglio o peggio che con Biden? Il nuovo presidente non è certo uno che si diffonde in temi come la “democrazia”, il “rispetto delle regole” o dei “diritti umani”. Argomenti che disprezza, come l’Onu, il diritto internazionale e le politiche di genere. È sostanzialmente un uomo d’affari – per altro dal carattere imprevedibile – che guarda al tornaconto suo, dei suoi amici e degli Usa. Ma Biden, che faceva tutti quei discorsi alati sui “valori occidentali”, non era poi così affidabile. Basta chiedere ai palestinesi massacrati a Gaza.