ELETTORALE AMERICANA. Il governatore del Minnesota, ex professore di liceo, che ha difeso aborto e diritto di voto. Ha invocato il cessate il fuoco a Gaza e l’ascolto dei cittadini arabo americani
Il governatore del Minnesota Tim Walz - Ap
«Weird», strano, strambo. È la parola che ha proiettato il governatore del Minnesota Tim Walz nelle prime linee della campagna elettorale democratica, fino alla scelta di Kamala Harris, ieri, di nominarlo suo vice nella corsa alla Casa bianca. «Non ci piace quel che è successo – aveva detto durante il programma Msnbc Morning Joe criticando le politiche repubblicane – per cui non possiamo neanche andare alla cena del Ringraziamento con nostro zio senza finire in qualche strano litigio». «È la verità, questi tizi sono proprio strani!»
DEFINIZIONE nata per ridimensionare l’aura di malvagia imbattibilità di Donald Trump e i suoi, «weird» è diventata virale sui social, è stata abbracciata dalla campagna elettorale dem, ripresa da Harris e perfino dal rivale più temibile di Walz nella rosa dei candidati alla vicepresidenza, il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro.
La scelta di Walz non è però certo dovuta alla viralità di una felice trovata linguistica che fa infuriare il Gop («Non siamo weird» si è ridotto a dire di sé e del suo vice Trump), quanto a una scelta di campo desiderata e acclamata in particolare dalla sinistra del partito: si rallegrano Alexandria Ocasio Cortez – «un’ottima scelta» – e Bernie Sanders: «È un ex insegnante, coach di football e grande sostenitore dei sindacati», il presidente della Uaw (United Auto Workers) Shawn Fain lo ha citato come uno dei due favoriti del suo sindacato. Walz ha legiferato in favore di «pasti scolastici gratuiti, congedi familiari e per malattia, legalizzazione della marijuana e la protezione dei diritti riproduttivi», scrive Ilhan Omar su X. Congratulazioni anche da Barack Obama, Joe Biden, Nancy Pelosi e lo stesso centro del partito, fino alla destra: un messaggio di endorsement arriva dall’ex senatore dem, diventato indipendente, Joe Manchin.
NATO E CRESCIUTO in Nebraska, trasferitosi in Minnesota nel 1996, Tim Walz è l’”uomo bianco”, ammantato dall’aura di american dad e di pragmatismo rurale che spunta molte delle caselle di cui la campagna di Harris era evidentemente in cerca – anche se non viene da uno swing state o uno stato rosso: il Minnesota non vota per un presidente repubblicano dal 1972, e sotto il secondo mandato di Walz i democratici hanno conquistato sia il posto di governatore che Camera e Senato statali.
A lungo membro della Guardia nazionale e professore di liceo, Walz si avvicina alla politica già quarantenne: la sua candidatura al Congresso come deputato per un distretto rurale del Minnesota – che ha poi ricoperto per 5 cariche consecutive dopo aver strappato il seggio a un repubblicano – arriva nel 2006. Ex pupillo della National Rifle Association, che lo aveva insignito di una A, ha voltato le spalle alla tutela a oltranza del secondo emendamento dopo il mass shooting di Parkland, nel 2018, e da governatore ha sostenuto i controlli sul passato di chi cerca di acquistare un’arma. Ora la Nra «mi da delle F, e il mio sonno non ne è minimamente danneggiato», ha detto in un’intervista Walz.
«IL PIÙ GRANDE onore della mia vita», ha definito ieri la scelta di Harris. Che fino all’ultimo si pensava destinata ad appuntarsi su Shapiro (da cui è arrivato immediato l’endorsement per Walz): non è un dato di secondo piano che l’aspirante vice più vicino a Israele sia infine stato scartato, e non può che indicare un tentativo di avvicinamento alla comunità arabo americana che stava voltando le spalle al partito per il sostegno del governo alla guerra a Gaza. In merito, Walz non ha mai detto molto, ma si è schierato per il cessate il fuoco e ha invitato l’amministrazione Biden a prestare ascolto alla preoccupazione dell’ampia cittadinanza arabo americana di Minneapolis: durante le primarie democratiche, il Minnesota aveva espresso il 19% dei voti uncommitted – il voto di protesta contro il massacro nella Striscia – una percentuale perfino superiore al Michigan.
DURANTE il primo mandato di Walz da governatore, il suo Minnesota è stato teatro della miccia che ha catapultato Black Lives Matter sulla scena nazionale e globale: l’omicidio a Minneapolis di George Floyd. La destra critica Walz per non aver subito mobilitato la Guardia nazionale contro i manifestanti, la sinistra è giustamente più scettica del fatto che la Guardia nazionale sia stata infine chiamata a sedare con la forza la rabbia della cittadinanza per l’omicidio di un uomo inerme le cui ultime parole – I can’t breathe – sono rimaste scolpite nella storia del razzismo americano. Come nota The Intercept, anche l’approccio di Walz al movimento per la riforma della polizia e la giustizia innescato da Blm è stato ambivalente: a gennaio dell’anno scorso ha sostenuto il sindacato di polizia nella difesa dell’agente che aveva ucciso un altro uomo nero, Ricky Cobb II, dopo un fermo per una violazione stradale.
Dopo aver agevolmente rivinto la carica di governatore nel ’22, Walz si è però fatto campione di importanti misure progressiste, dalla protezione del diritto all’aborto alla tutela dell’accesso al voto; ha varato misure contro il cambiamento climatico e in favore dei migranti (una sua legge consente alle persone senza documenti di avere la patente).
IN CASO DI VITTORIA democratica a novembre, a rimpiazzare Walz alla guida del Minnesota sarà la sua vice Peggy Flanagan, della tribù degli Ojibway, che diventerebbe la prima nativa americana a ricoprire la carica di governatrice.
Le reazioni repubblicane che dipingono Tim Walz come un pericoloso «estremista di sinistra in stile San Francisco» (JD Vance) non si sono fatte attendere. Il suo diretto rivale Vance ha anche detto di avergli lasciato un messaggio di congratulazioni in segreteria. Intanto la campagna Trump dichiara ai quattro venti che una presidenza Harris/Walz «scatenerebbe l’inferno sulla terra». Weird
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LI FERMI CHI PUÒ. Nuovo discorso del leader sciita Nasrallah: «La risposta arriverà, da sola o collettiva». Raid reciproci al confine libanese-israeliano. Il Libano verso l’isolamento: pochi voli e con prezzi proibitivi. Si teme il bombardamento dell’aeroporto
Il discorso televisivo di ieri del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah - Epa/Wael Hamzeh
«La nostra risposta arriverà, da sola o nel quadro di una risposta collettiva di tutti i nostri fronti». Chiude così il suo attesissimo discorso il capo supremo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. «Hezbollah risponderà, l’Iran risponderà, lo Yemen risponderà e il nemico attenda, osservi e valuti ciascuna reazione. L’essenziale è che determinazione, decisione e capacità siano presenti».
NELLA PRIMA parte del discorso, cominciato alle cinque locali, proprio mentre l’aviazione israeliana rompeva per due volte il muro del suono su Beirut – prassi da parte di Israele per mettere pressione psicologica ai libanesi – Nasrallah si è concentrato sul ricordo di Fuad Shukr, il numero due del partito/milizia, «architetto della vittoria del 2000 e di quella del 2006», ucciso in un raid a Beirut una settimana fa, poche ore prima dell’eliminazione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a Tehran. I due assassinii sono un «successo israeliano che non cambia però la natura della battaglia».
Nasrallah torna anche su Majdal Shams, casus belli per l’uccisione di Shukr, ritenuto responsabile di aver dato l’ordine. Israele ha accusato Hezbollah (che ha sempre negato) di aver lanciato il missile che ha ucciso 12 tra bambini e ragazzi sul Golan occupato, ma mai riconosciuto territorio israeliano dalle Nazioni unite.
L’occasione è il ferimento ieri nella città israeliana di Nahariya, nord di Acre, di due persone, di cui una è grave. L’esercito israeliano ha ammesso che «un missile intercettatore ha mancato un target prima di cadere». Iron Dome aveva risposto a un attacco rivendicato da Hezbollah, mancandolo, sempre nella parte nord di Acre. Il ferimento era stato attribuito all’inizio a Hezbollah. «Hanno ammesso quello che è successo a Nahariya, ma non dicono la verità su Majdal Shams», ha commentato Nasrallah.
«STIAMO AGENDO con coraggio e cautela. (…) L’obiettivo di Hezbollah non è l’eliminazione di Israele, ma è prevenire l’eliminazione della resistenza palestinese e il fallimento della causa palestinese. (…) Chiediamo alla resistenza a Gaza e in Cisgiordania di dar prova di pazienza e fermezza. Chiediamo ai fronti del sud del Libano, dell’Iraq, dello Yemen di continuare a sostenere Gaza malgrado i sacrifici. Chiediamo ai paesi arabi di svegliarsi davanti al pericolo che minaccia la regione».
Rivolgendosi poi ai libanesi, o almeno a quella parte che specie negli ultimi anni ha fortemente avversato Hezbollah, come la destra conservatrice cristiana delle Forze libanesi, ha detto: «Hanno paura delle conseguenze di una vittoria di Hezbollah in questa battaglia. Dico loro che dovrebbero temere la vittoria del nemico (di Israele, ndr)».
Una giornata quella di ieri di attacchi violenti da una parte e dall’altra. In mattinata quattro miliziani del Partito di Dio sono stati uccisi. Hezbollah ha rivendicato un attacco con un drone alle Brigate Golani nel quartier generale di Egoz Unit 612 nella caserma di Shraga, a nord di Acre. Nel pomeriggio diversi villaggi della provincia di Bint Jbeil e di Tiro sono stati bombardati dall’aviazione israeliana.
In serata è stata colpita la cittadina di Kfar Kila, Marjayoune, il cui municipio era già stato abbattuto. Dieci razzi dal Libano in direzione della Galilea sono stati intercettati e si registrano incendi presso Kiryat Shmona. L’incertezza e l’instabilità stanno svuotando Beirut. Le ambasciate invitano i propri concittadini in via precauzionale a lasciare il paese.
Pochi i voli in entrata e poche le compagnie che fermano al Rafiq Hariri di Beirut, unica alternativa per chi voglia lasciare il paese, vista l’impossibilità di ingresso e di uscita via terra (a nord ed est c’è la Siria, ancora in guerra civile, a sud c’è Israele) e via mare (non ci sono più rotte commerciali da prima dell’esplosione al porto di Beirut del 2020).
LA PREOCCUPAZIONE di rimanere bloccati dentro (o fuori) è molto alta. I prezzi dei biglietti sono schizzati e sono proibitivi. Air France e Transavia, accodandosi ad altre, hanno esteso la sospensione dei voli fino al 13 agosto. La paura è soprattutto quella di un attacco israeliano all’aeroporto, che taglierebbe il Libano fuori dal mondo.
In serata Benny Gantz, ex membro del gabinetto di guerra israeliano, ha rilasciato un comunicato nel quale sottolinea il «bisogno di aumentare la pressione militare, in particolare distruggendo le infrastrutture del Libano. Sosterremo in pieno il governo se deciderà di prendere misure contro Hezbollah».
Continua il lavoro diplomatico e si moltiplicano gli appelli internazionali a un abbassamento della tensione. Si attende di capire l’impatto che avranno le risposte dell’«asse della resistenza» su Israele e come questi reagirà a sua volta
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FANNO PENA. Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera licenziano il testo governativo. Si suicidano altri due detenuti. Un uomo in sciopero della fame si è impiccato in cella a Biella, un altro nel bagno del Tribunale di Salerno. Il nuovo crimine della «rivolta» è perseguito sia negli istituti penitenziari che nelle strutture per rifugiati con protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati
Il carcere di Regina Coeli a Roma - Getty Immages
L’ultima possibilità di correggere almeno un po’ il furioso ddl governativo sulla «Sicurezza» nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera, prima del suo approdo il Aula fissato per il 10 settembre, si è inabissata proprio mentre si registravano i suicidi di altri due detenuti – 65 dall’inizio dell’anno, a cui vanno aggiunti 7 agenti penitenziari: un uomo di 55 anni di origine albanese, in sciopero della fame per ottenere il trasferimento in un carcere più vicino ai suoi familiari, si è impiccato nella sua cella a Biella e un altro si è suicidato nel bagno del Tribunale di Salerno. Nelle stesse ore a Potenza un giovane migrante di 19 anni è morto nel Cpr, ucciso o per colpa di qualcuno – secondo la stessa procura che ha aperto un fascicolo – che non lo ha preso in cura, perché appena qualche giorno fa il ragazzo aveva tentato di togliersi la vita ingerendo pezzi di vetro. Paradossalmente però la macchina repressiva contro la protesta che si è scatenata subito dopo – «rivolta», secondo la «nuova fattispecie delittuosa» introdotta nel codice penale con l’articolo 18 del disegno di legge Piantedosi -Nordio-Crosetto – era perfettamente oliata.
NELLE COMMISSIONI l’opposizione ha tentato di ridurre il danno ma gli emendamenti hanno trovato un muro, e così nei 28 articoli del ddl Sicurezza compaiono ben 13 nuove fattispecie di reato più un certo numero di aggravanti, alla faccia del sovraffollamento penitenziario. E se all’articolo 18 ci si inventa il reato di rivolta in carcere, con pene da 1 a 5 anni di reclusione per chi non obbedisce agli «ordini impartiti» anche mediante «resistenza passiva», all’articolo 19 la stessa fattispecie si estende anche alle strutture di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e per rifugiati titolari di protezione internazionale.
«Ho tentato di ricordare alla maggioranza di governo, in preda ad una furia ideologica, – riferisce la capogruppo M5S in commissione giustizia Valentina D’Orso – che i destinatari di questa norma sono soggetti liberi, non detenuti, ospiti di quelle strutture finalizzate all’accoglienza e all’integrazione. Come si può pensare che possano essere applicate anche a loro quelle
Commenta (0 Commenti)MIGRAZIONI. Nel decreto dello scorso maggio la definizione segue una logica singolare
La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e la ex premier del Bagladeshn Sheik Hasina in un incontro del luglio 2023 a palazzo Chigi - Ansa
Dopo 15 anni al potere e lasciandosi alle spalle almeno 300 manifestanti uccisi e 11mila arrestati nelle proteste contro il suo governo, la ormai ex premier del Bangladesh Sheik Hasina è fuggita in India dove potrebbe chiedere asilo, dice la Cnn. Se per assurdo lo facesse in Italia, la sua domanda sarebbe sottoposta a una «procedura accelerata». Dal 7 maggio di quest’anno, infatti, il Bangladesh è inserito tra i paesi di origine «sicuri».
Per i concittadini di Hasina, in pratica, l’iter per l’asilo segue un esame meno accurato, con tempistiche più rapide, in cui vale un ribaltamento dell’onere della prova: solo il richiedente, senza supporto della commissione, deve dimostrare la necessità che venga protetto. In base al dl Cutro, poi, queste persone possono essere detenute durante la procedura. Quelle salvate in alto mare rischiano di finire nei centri in Albania.
La prima lista di questo tipo è stata redatta in Italia nel 2018, da un decreto dell’allora ministro dell’Interno Salvini. Con il provvedimento del maggio scorso i «paesi sicuri» sono passati in un colpo da 16 a 22. Insieme al Bangladesh troviamo, tra gli altri, il Camerun – in cui lo stesso presidente governa dal 1982 – l’Egitto di Al Sisi o la Tunisia di Saied.
Questo nonostante la norma, che recepisce la direttiva procedure dell’Ue, stabilisca che uno Stato terzo può essere considerato sicuro non solo se sono assenti persecuzioni, torture, trattamenti inumani o degradanti, violenze indiscriminate o conflitti armati, ma anche se sono rispettate le principali convenzioni internazionali a tutela dei diritti fondamentali e se esiste un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni. In pratica: uno Stato è sicuro soltanto se vale lo Stato di diritto.
Secondo il governo anche Egitto e Bangladesh sono paesi sicuri
Sul sito dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si può leggere la scheda-paese alla base del giudizio sul Bangladesh. Si parla di scarsa indipendenza della magistratura, crescente autoritarismo, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, torture, repressione delle opposizioni.
Perché, allora, la definizione di «sicuro»? Il ragionamento del governo italiano è singolare: gli oppositori politici fuggono prevalentemente nei paesi vicini, mentre i migranti che arrivano in Italia sono di carattere economico. È vero che, secondo l’Agenzia europea per l’asilo, nell’Ue il tasso di ottenimento della protezione tra i bangladesi è di circa il 4%, ma la legge italiana non fa riferimenti alla valutazione dei flussi migratori, parla solo della situazione dei paesi di origine.
«I bangladesi sono il gruppo nazionale più numeroso negli sbarchi di clandestini nel Mediterraneo, nei richiedenti asilo in Italia e nei beneficiari di nulla osta per lavoro subordinato», dice la scheda. Se fosse questo il vero criterio, o comunque la principale preoccupazione, alla base dell’inserimento nella lista non avrebbe nulla a che fare con il dettato giuridico
Commenta (0 Commenti)L'ARMA BIANCA. Per fronteggiare i disordini dell’ultradestra il governo annuncia «un esercito permanente specializzato in servizio pubblico»
Scontri tra polizia e militanti dell’ultra-destra a Manchester foto Getty Images
«Quelli che hanno partecipato a queste violenze sentiranno tutta la forza della legge». «Tutte le persone di buon senso dovrebbero condannare questo tipo di violenza». «Avremo un esercito permanente di ufficiali specializzati in servizio pubblico in modo da avere abbastanza agenti per affrontare questo problema». Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate dal primo ministro laburista Keir Starmer, a proposito della prima crisi interna seria di ordine pubblico da lui affrontata da quando è salito al potere un mese fa. Ieri ha presieduto un’unità speciale anticrisi.
È un’altra estate di riots, un fenomeno abbastanza periodico in società liberoscambiste e scarsamente politicizzate come quelle anglosassoni: nel 2011 fu soprattutto il proletariato urbano nero che gridava la propria emarginazione, in questi giorni è la povertà bianca di provincia, razzista e fascista a urlare il proprio odio nei confronti dell’altro incarnato dal migrante, soprattutto quello musulmano. E questi riots sono essenzialmente islamofobici.
LA PROVINCIA del Regno Unito brucia in seguito a false informazioni diffuse online secondo cui il sospettato accoltellatore che ha ucciso tre ragazze a una lezione di danza per bambini a Southport lunedì scorso, era un migrante musulmano. Il giorno successivo orde di energumeni attaccavano una moschea della cittadina del Merseyside, con scontri in cui vari agenti di polizia restavano feriti. La polizia ha finito per rivelare il nome del presunto colpevole, il diciassettenne Axel Rudakubana, nato in Gran Bretagna (Galles) da genitori ruandesi. Ma i disordini hanno continuato a dilagare in tutta la provincia del paese: a Belfast, nell’Irlanda del Nord, a Bristol nel sud-ovest dell’Inghilterra, a Londra e in numerose città delle Midlands e del nord come Blackpool, Hull, Leeds, Manchester, Middlesbrough, Stoke-on-Trent e Sunderland.+
Ancora grazie, signora Thatcher
I DISORDINI hanno preso una piega ancora più sinistra domenica a Rotherham, una città afflitta da tensioni razziali a seguito di un
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Manifestanti assaltano un centro di accoglienza per richiedenti asilo, a Rotherham, in Gran Bretagna @GettyImages
Oggi un lunedì rosso che interroga il labile confine tra vero e falso.
La verità è sempre un punto di vista o si può restare ancorati ai fatti? Ne ha pagato le spese l’atleta algerina Imane Khelif travolta da una bufera mediatica che ha preteso di determinare la sua identità sessuale e il suo diritto alla competizione sportiva.
Ma anche la verità storica sullo stragismo è, ad ogni ricorrenza, minata dalle sfumature politiche che di volta in volta la interpretano. Si confrontano qui tre livelli: storico, politico e giudiziario.
Il punto fermo, e forse più scomodo, è la matrice neofascista. Fascismo che nonostante i buoni propositi aleggia minaccioso sul presente d’Europa.
Ne sono un esempio i riot e pogrom anti migranti che hanno scosso la Gran Bretagna. Anche quelli partiti da una fake news.
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