All’alba missili israeliani colpiscono un’altra scuola-rifugio a Gaza City: oltre 100 uccisi. I soccorritori: molti bambini straziati. Tel Aviv: presi di mira 20 miliziani. Il nuovo massacro a pochi giorni dal tavolo negoziale sulla tregua. Il mondo condanna, la strage continua
Striscia di sangue. L’attacco aereo è scattato all’alba contro la scuola Al Tabain di Gaza City. Per Tel Aviv dentro c’erano militanti di Hamas e Jihad. Il massacro è avvenuto mentre si prepara il tavolo negoziale, il 15 agosto, per la tregua nella Striscia
L'ospedale Ahli di Gaza city dopo la strage - Ansa
«Siamo riusciti a identificare solo 70 corpi, delle altre vittime ci sono arrivati pezzi, braccia, gambe e altre parti, avvolti dentro coperte. C’è stato un incendio dopo le esplosioni che ha reso irriconoscibili diversi degli uccisi». Fadel Naim, direttore dell’ospedale Ahly di Gaza city, si affannava ieri a dare informazioni ai giornalisti mentre i soccorritori della Protezione civile e della Mezzaluna rossa, aiutati da decine di volontari continuavano a portare i feriti dalla scuola Al Tabain nel quartiere di Daraj. Da mesi rifugio per circa 2.400 sfollati, la scuola è stata centrata ieri da missili sganciati da un cacciabombardiere israeliano durante il Fajr, la preghiera dell’alba. «Abbiamo ricevuto feriti molto gravi, alcuni hanno perduto uno o entrambi gli arti e subito ustioni su gran parte del corpo», ha aggiunto Naim.
L’attacco aereo sulla Al Tabain è scattato mentre centinaia di persone pregavano. Due missili hanno preso di mira i due piani della scuola: il primo ha colpito la zona occupata dalle donne, il secondo ha centrato in pieno il piano terra usato come sala di preghiera in aggiunta alla moschea. È stato un massacro. I video arrivato da Gaza mostrano corpi e arti carbonizzati sparsi sul pavimento della sala di preghiera, in gran parte rosso per il sangue; persone sconvolte che, tra urla e pianti, cercano i loro cari; un ragazzino con ustioni e ferite su tutto il corpo bendato e disteso su una barella in un corridoio dell’ospedale Ahli. E decine di corpi coperti da teli con i parenti che provano a riconoscerli. I morti sono tra 70 e 100 secondo alcune fonti. 93 per il ministero della sanità di Gaza, in prevalenza uomini che pregavano al piano inferiore della scuola ma anche donne e bambini.
Le forze armate israeliane ridimensionano il
Leggi tutto: 100 palestinesi uccisi da missili israeliani - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
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Alta partecipazione anche a Faenza alla raccolta firme per il referendum contro la legge sull’Autonomia Differenziata. In questi giorni il comitato referendario ha organizzato banchetti a Ravenna, Cervia, Bagnacavallo, Lugo e Castel Bolognese. Nel periodo a cavallo di Ferragosto gli appuntamenti diminuiranno, ma sarà sempre possibile aderire alla campagna referendaria online.
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Commenta (0 Commenti)Medio Oriente. Mediatori e governi premono per un accordo tra Israele e Hamas che fermi la corsa al conflitto regionale. Gli Usa convinti che un cessate il fuoco frenerà la risposta di Iran ed Hezbollah. Intanto la Striscia è un inferno: Israele manda gli sfollati da Khan Younis nelle tende di al-Mawasi, poi le bombarda
Palestinesi in fuga da Khan Younis - Ap/Abdel Kareem Hana
La rinnovata offensiva terrestre contro Khan Younis, la seconda città più grande di Gaza ridotta in macerie dalle avanzate israeliane precedenti, si intreccia alla pressione sempre più affannosa per un accordo di tregua nella Striscia. Quasi un film distopico con appelli inviati dalle cancellerie di mezzo mondo, mentre la popolazione di Gaza – ormai interamente sfollata – continua a girare in circolo. In cerca di un rifugio che si tramuta ogni volta nell’ennesima trappola: chi scappava da Khan Younis due giorni fa, ieri è stato bombardato ad al-Mawasi.
L’IMPRESSIONE è che la crescente impazienza internazionale sia il segno di una lapalissiana consapevolezza: solo la fine dell’offensiva israeliana su Gaza può davvero frenare l’escalation mediorientale, fornendo ai due principali attori dell’attesa risposta militare a Tel Aviv – Iran e l’Hezbollah libanese – una via d’uscita. Ovvero l’opzione di una risposta più debole (che ne salvaguardi le rispettive basi di consenso) a cui il governo israeliano non potrebbe rispondere con piena forza, come confermavano fonti statunitensi ad Axios.
La possibilità di cui si congettura dietro le quinte è un attacco dell’Iran o dei suoi alleati nella regione che non prenda di mira obiettivi civili, ma basi militari per evitare una guerra aperta che, ribadiva ieri su Haaretz l’analista Amos Harel, «le attuali valutazioni dicono non essere lo scopo degli iraniani e di Hezbollah».
In particolare Teheran, aggiungeva Arel, per cui «è importante mantenere un canale di dialogo con Washington per proteggere il proprio progetto nucleare». Non rassicurano le parole attribuite ieri dall’agenzia Tasnim al leader supremo Ali Khamenei: avrebbe chiesto ai pasdaran di «punire con durezza Israele».
Nel «gioco» alla guerra, da qualsiasi parte la si guardi, i palestinesi sono la pedina, protetti da nessuno e sfruttati da tutti, nell’idea che la tregua sia strumento per altro, prima che indispensabile strumento a fermare la carneficina.
FONTI VICINE ai negoziatori riportano da giorni della frustrazione dei player del dialogo, Egitto, Qatar e Stati uniti. La si coglieva tra le righe del comunicato congiunto consegnato alle agenzie stampa giovedì sera: il tempo è scaduto, non ci sono scuse per un altro rinvio, Israele e Hamas devono presentarsi al tavolo negoziale il 15 agosto per finalizzare l’accordo. Come ci fossero solo da limarne i dettagli. Le distanze ci sono e sono enormi rispetto alla proposta che il presidente Usa Joe Biden, con una palese forzatura, aveva reso pubblica a fine maggio, attribuendola alla farina del sacco israeliano.
Nessun seguito, anche per i continui giochi al rialzo del premier israeliano Netanyahu, in aperta frattura con i suoi stessi negoziatori e il ministero della difesa che da settimane fanno filtrare alla stampa la reprimenda al capo: è lui, dicono, che non vuole l’accordo.
Netanyahu, che in risposta all’appello dei mediatori ha annunciato l’invio di una delegazione il 15 agosto tra gli schiamazzi dell’ultradestra che minaccia di far saltare il governo, pare avere il mondo contro: ieri piovevano appelli per la tregua e lo scambio di ostaggi dagli Emirati alla Francia, dall’Oman all’Ue, dal Libano sulla graticola al Regno unito e al Canada.
Ma ha un pezzo significativo di società israeliana al fianco. L’ultimo sondaggio pubblicato dal quotidiano Maariv dava il premier «Mr. Sicurezza» in crescita nei consensi (il 42% lo vuole ancora come primo ministro, il 40% preferisce il rivale Benny Gantz) e il suo partito, il Likud, in testa con 22 seggi contro i 20 dell’avversario, fino a giugno in cima nelle preferenze di voto.
Di certo la terza offensiva su Khan Younis dal 7 ottobre non aiuta, come non aiuta l’aver ammazzato su suolo iraniano il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, seppur il movimento islamico che non muore nemmeno se lo decapitano non ha abbandonato il tavolo e ieri faceva sapere di aver messo in cima alla lista della richieste la liberazione del leader di Fatah, Marwan Barghouti, e del segretario del Fronte popolare, Ahmad Saadat.
LA FEROCIA dell’offensiva la danno le bombe cadute ieri su al-Mawasi, fazzoletto di terra beduina lungo la costa sud, da mesi tramutata in una tendopoli senza pace. Decine di palestinesi sono stati uccisi giovedì e di nuovo venerdì a Khan Younis e a Deir al-Balah, altri cinque ad al-Mawasi «zona sicura», tra loro due bambini. I nuovi avvertimenti israeliani hanno generato il terrore accompagnato alla rabbia per quella che viene definita «una tortura psicologica».
«Colpiscono ovunque, hanno già colpito al-Mawasi e in tanti sono stati uccisi», diceva uno sfollato, Ahmed al-Farra alla Reuters, in fuga insieme ad altre 70mila pestone. L’intrinseca insicurezza delle «zone sicure» è ormai certificata, quasi divenuta la normalità. Lo dimostra il picco di raid aerei contro le scuole rifugio agli sfollati. Ieri l’ong Euro-Med ha fatto qualche calcolo dopo gli ultimi due bombardamenti di scuole a Gaza City: in otto giorni, 79 palestinesi sono stati uccisi e 143 feriti dentro un istituto scolastico. Sale anche il numero di giornalisti uccisi: 167 in dieci mesi, l’ultimo è morto ieri, Tamim Muammar, colpito in una casa a Khan Younis insieme ad altre sei persone.
Intanto al confine libanese-israeliano continua lo scambio di fuoco. Due persone sono state uccise ieri nel villaggio libanese di Naqoura da un drone israeliano, mentre lo Shin Bet dice di aver ucciso in un raid un alto ufficiale di Hamas, Samer al-Hajj, indicandolo come capo del gruppo nel campo di Ain al-Hilweh, a Sidone. Lontano dalla frontiera, «linea rossa» ben poco rispettata da Israele negli ultimi mesi ed ennesima provocazione al movimento islamico palestinese, in vista del tavolo negoziale
Commenta (0 Commenti)Il conflitto a est. Mosca non riesce a respingere l’offensiva di Kiev, che va avanti ormai da quattro giorni
Un frame di un video che mostra dei soldati ucraini che festeggiano nei dintorni di Kursk davanti ad un impianto della Gazprom
Per il quarto giorno consecutivo i soldati ucraini si trovano in territorio russo, nella regione di Kursk, e dato il prolungarsi dell’operazione oltreconfine si è iniziato a parlare dei possibili obiettivi di Kiev. La tesi che va per la maggiore al momento è che le truppe di Zelensky vogliano colpire le infrastrutture energetiche russe in modo da «far sentire ai russi sulla propria pelle cosa voglia dire la guerra», come ha dichiarato Zelensky ieri. Gli obiettivi sarebbero due in particolare: il gasdotto che ha un importante snodo nella città russa di Sudzha, a meno di 10 km dal confine e la centrale nucleare di Kursk.
MA ENTRAMBE le ipotesi presentano diversi punti deboli. Per quanto riguarda il gas, bisogna ricordare che parliamo di una tubatura di oltre mille km che, sebbene transiti per la regione di Kursk prima di entrare in territorio straniero, non ha l’unico passaggio in quel luogo. Se Kiev avesse davvero voluto interrompere il transito del gas che dalla Federazione Russa arriva ancora in alcuni Paesi dell’Europa centrale come Ungheria, Slovenia e Austria, avrebbe potuto colpire in molti altri punti, dalla distanza magari, e con un rischio molto minore. Anche se ieri sera alcuni soldati ucraini si sono ripresi proprio di fronte a una sottostazione della Gazprom.
Caccia ai coscritti, fuga dai “ladri di uomini” del Tzk
PER QUANTO RIGUARDA la centrale nucleare di Kursk, una delle infrastrutture energetiche più importanti della Russia occidentale, lo scenario di un possibile sabotaggio alla luce del sole appare ancora più inverosimile. Per danneggiare davvero la rete russa bisognerebbe occupare o distruggere la centrale.
Nel primo caso gli ucraini avrebbero dovuto inviare più uomini e più mezzi e tentare un attacco frontale. Anche se i soldati di Kiev che hanno partecipato all’azione fossero mille come dice il Comandante dello stato maggiore russo Gerasimov e non 3-400 come sostengono ufficiosamente gli ucraini, considerata la copertura aerea di droni e artiglieria e i mezzi corazzati inviati di scorta, non si raggiunge comunque una forza sufficiente a cacciare le difese russe indietro di decine di chilometri e, magari (ma si parla di fantascienza al momento), a occupare la centrale.
La seconda opzione, ovvero la distruzione di alcune strutture della centrale che non danneggino i reattori, plausibilmente delle sottostazioni di scambio, appare assurda. A meno che i vertici ucraini non vogliano rischiare di causare un disastro atomico, che tra l’altro colpirebbe anche i propri cittadini dall’altro lato della frontiera.
Al momento quindi l’ipotesi più realistica resta quella dell’azione eclatante di disturbo. Certo, degli effetti ci sono stati: decine di prigionieri, due elicotteri d’assalto Mi-28 distrutti (l’ultimo ieri) e l’attenzione dei media di tutto il mondo spostata da Gaza all’impreparazione delle guardie di confine russe e alla temerarietà degli ucraini. Inoltre, Kiev non ha mai nascosto i tentativi per costringere Mosca a dislocare altrove alcuni dei reparti di stanza nel Donbass e a Kharkiv in modo da alleggerire il compito dei difensori nell’est che sono pochi e stanchi, anche se tengono le posizioni.
Senza considerare la soddisfazione di poter mostrare al mondo che la Russia non è la potenza militare che Putin vuole far credere. Tutto ciò ha un costo e le autorità ucraine si preparano alla reazione russa da un momento all’altro. Secondo la polizia, «circa 20.000 persone devono essere evacuate» da 28 insediamenti nella regione di Sumy, al confine con Kursk.
INTANTO LA GUERRA continua in territorio ucraino, qualche centinaio di chilometri più a sud. Ieri i missili russi hanno colpito un supermercato a Kostyantynivka, nella parte di Donetsk controllata ancora dagli ucraini, lungo la direttrice che dalla cittadina arriva fino a Pokrovsk, altro obiettivo dell’avanzata di Mosca in quell’area. Il bilancio, nella serata di eiri, è di 14 morti e 44 feriti ma si scavava ancora sotto le macerie. Secondo la Ukrainska Pravda «sono stati danneggiati anche edifici residenziali, negozi e più di una dozzina di automobili»
Commenta (0 Commenti)Balneari. Due ore di serrata, a partire dalle 7.30, ma la situazione non cambia. E i correttivi della destra non funzionano: la proroga al 2030 dove le spiagge sono occupate per meno del 25% è vietata dall’Ue
Si narra di una Giorgia Meloni inviperita, nel resort a 5 stelle dove sta trascorrendo le vacanze in Puglia. Dopo averle creduto, i balneari ora le sono quasi tutti contro. Secondo Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, gli organizzatori della serrata di ieri, l’80% dei concessionari ha aderito all’iniziativa che contestava l’inerzia del governo. D’altronde il sacrificio era minimo, tenere chiusi gli ombrelloni fino alle 9.30. Sta di fatto che, mentre prima la categoria andava d’amore e d’accordo col centrodestra, ora la rottura è evidente.
IL VOLTAFACCIA DI FDI è clamoroso, ma il testo a cui sta lavorando lo è ancora di più. L’idea è di intervenire a fine agosto nel dl Salva infrazioni. In campagna elettorale Meloni si impegnava a salvare i balneari dalle gare, mentre oggi ha sul tavolo una bozza che disciplina i bandi. Ma con le concessioni scadute per la legge Concorrenza di Draghi, il diritto Ue non prevede altra strada. La premier ha avuto la faccia tosta di promettere l’impossibile e ora si trova nell’imbarazzante situazione di doverci mettere una pezza, senza andare contro Bruxelles. Una missione difficile, soprattutto se è in mano a Raffaele Fitto.
IL MINISTRO agli Affari europei ha un vecchio conto in sospeso coi balneari: quando nel 2009 firmò il primo ddl per introdurre i bandi delle concessioni, ricevette lanci di monetine dagli operatori contrari. Erano i tempi dell’ultimo governo Berlusconi, quando iniziò la lunga serie di proroghe. Difficile credere che oggi l’ultraeuropeista Fitto sia disposto a puntare i piedi contro l’Ue. Rispetto ad allora, a pretendere di tenere le concessioni per sempre sono rimasti in pochi. La maggioranza delle associazioni balneari si è dichiarata pronta ad affrontare i bandi, ma chiede gli indennizzi economici per i titolari uscenti.
LA LEGGE ATTUALE non li contempla; anzi il Codice della navigazione impone che al termine della concessione, il gestore restituisca l’area come l’ha avuta decenni fa, ovvero con la sola sabbia. In alternativa, lo stato può diventare proprietario delle strutture a titolo gratuito. La legge Draghi ha introdotto gli indennizzi solo in linea di principio e l’attuale governo deve stabilire i criteri di calcolo. Se non lo ha ancora fatto, è perché ciò significa accettare per implicito i bandi e dunque ammettere di non avere mantenuto le promesse. Ma ora per Meloni è l’unico modo per accontentare almeno in parte i balneari.
LE DIFFICOLTÀ sono però molteplici. Il valore di uno stabilimento è un calcolo complesso e non si sa se dovrà farlo un perito indipendente o nominato dal concessionario. Inoltre, la direttiva Bolkestein proibisce qualsiasi preferenza agli attuali gestori, come potrebbero essere gli indennizzi. Ma c’è di peggio: questo meccanismo di fatto ammetterebbe l’accesso ai bandi solo ai balneari storici o ai grandi capitali. Nelle aree di maggiore pregio turistico il valore di uno stabilimento può superare i 2 milioni e ciò taglierebbe fuori la piccola imprenditoria locale che vuole entrare nel settore. Ma a Meloni non sembra interessare; anzi, fosse per lei, metterebbe tutte le coste italiane in concessione. Con la sua mappatura di ottobre, voleva far credere all’Ue che solo il 33% dei litorali è occupato e che fosse possibile garantire la concorrenza facendo aprire nuove imprese sulle aree libere, senza toccare quelle esistenti.
LA TESI È STATA RESPINTA al mittente, con tanto di procedura di infrazione. Secondo Bruxelles, la disponibilità della risorsa va calcolata con parametri qualitativi, cioè distinguendo le coste sature da quelle libere. Il governo ci starebbe provando, ma anche in questo fa acqua da tutte le parti. Palazzo Chigi vorrebbe approvare una proroga al 2030 solo nelle regioni in cui le spiagge sono occupate per meno del 25%, ma sarebbe comunque un rinnovo automatico, proibito dal diritto europeo. Il Consiglio di Stato, che ha già cancellato la proroga al 2033 del primo governo Conte, annullerebbe la norma nel giro di pochi giorni.
SECONDO UNIONCAMERE gli stabilimenti balneari nel 2023 erano 7.244, con un aumento di quasi 1.500 unità in 13 anni. La spiaggia è una risorsa sempre più scarsa e anziché sfruttarla, sarebbe meglio preservarla. Chissà che Meloni non ci mediti sopra dal suo resort
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A Parigi si chiudono le olimpiadi, a Washington si riapre la campagna elettorale. Le folle entusiaste ai comizi di Harris allarmano Trump, solitario e confuso a Mar-a-Lago. Si rifugia negli insulti e tace sull’aborto. Pur di attirare l’attenzione, accetta il dibattito tv
Giochi aperti. Le tv statunitensi mettono a confronto il comizio della democratica in mezzo alla gente e la conferenza solitaria del repubblicano. Il tycoon spiazzato dall’abbandono di Biden cerca di attirare l’attenzione riscrivendo la realtà
L’ultima conferenza stampa di Donald Trump, giovedì scorso, a Mar-a-Lago - Ap/Alex Brandon
Dopo alcuni tentennamenti Donald Trump ha ceduto: anche se il candidato democratico è cambiato, il 10 settembre farà il dibattito con Kamala Harris su ABC. Parlando dal suo resort di Mar-a-Lago in Florida, Trump ha detto che «non vede l’ora» di discutere con Harris e ha rilanciato, chiedendo non uno ma tre dibattiti televisivi, uno dei quali sull’emittente amica Fox news.
Dal canto suo Harris ha confermato la sua partecipazione alla resa dei conti del 10 settembre: sarà «felice» di confrontarsi con il tycoon anche in ulteriori dibattiti. I dettagli su luoghi, regole e moderatori saranno determinati e resi noti nelle prossime settimane.
Da quando Joe Biden si è ritirato dalla corsa e la sua vice è diventata candidata democratica alla presidenza, Trump ha cercato di ricalibrare tutta la sua campagna presidenziale. La conferenza stampa organizzata nella sua tenuta di Mar-a-Lago è sembrata un palese tentativo di riacquistare l’attenzione dei media che ora si è spostata tutta sui democratici.
È STATO il primo incontro con la stampa dopo molto tempo, ma l’intera faccenda è sembrata molto più uno sfogo personale di Trump che il discorso su temi politici di un candidato presidenziale, mentre la sua rivale e il suo vice sono impegnati in un giro di comizi che sembrano quelli di rock band in tour, visto l’entusiasmo con cui vengono accolti.
Questo parallelo stridente è stato sottolineato da tutti i principali canali tv che hanno coperto entrambi gli eventi in contemporanea, ricorrendo allo split screen: metà schermo dedicato alla conferenza di Trump e metà al comizio del ticket democratico.
Così si è visto Trump solo, sul palco vuoto, con uno sfondo di bandiere statunitensi, rispondere in modo erratico alle domande e insistere su quanto la sua campagna sia in realtà più animata, di successo e seguita di quella democratica, mentre Harris e Tim Walz parlavano a migliaia di sostenitori che scandivano i loro nomi ed esplodevano in applausi ogni due minuti.
Durante il comizio al suo solito Trump ha insultato
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